Israele, il racconto di Daniele: il 7 ottobre l’inferno nel nostro kibbutz, vogliamo pace

Vatican News

La testimonianza di un trentenne di origine romana residente nel kibbutz di Nir Yitzhak con la moglie e tre figli. “Ho visto i terroristi di Hamas fuori dalla finestra. Ci siamo rinchiusi per ore nella camera di sicurezza, cercavo di calmare i bambini ma ero ghiacciato. Quello che è successo ha superato ogni limite”. Ora sono in un luogo sicuro: “Psicologicamente la strada è lunga”. La speranza è della pace: “Hamas non sono i palestinesi, molti vogliono vivere in pace”

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“Sabato, mentre dormivamo, alle 6.30 ci siamo svegliati al suono della sirena e dei missili dell’Iron Dome. Subito, come ogni volta che succede, siamo corsi nella nostra camera di sicurezza; mia moglie, io, i miei bambini e anche i due cani, per aspettare che passasse. Pensavo che fosse come al solito, che una volta che tornava il silenzio, dopo qualche minuto si poteva uscire… Quella volta è stata un po’ differente dal solito per la quantità di missili che abbiamo sentito”.

Daniel Lanternari, 28 anni, proveniente, da Roma ripercorre dettaglio per dettaglio la terribile mattinata del 7 ottobre, il giorno, cioè, dell’attacco del gruppo radicale di Hamas a Israele. Daniele era nel kibbutz di Nir Yitzhak, vicino alla Striscia di Gaza, dove risiede con la moglie e i tre bambini di 15, 12 e 9 anni. A Vatican News racconta l’orrore vissuto tre settimane fa.

Daniele, puoi raccontarci la tua esperienza del 7 ottobre?

Abbiamo sentito la sirena e ci siamo rinchiusi nella camera di sicurezza, dove siamo rimasti per diverse ore. Dai nostri amici abbiamo saputo che c’erano state infiltrazioni nella parte nord della Striscia di Gaza, pensavamo fossero localizzate solo lì. Quando tutto si è un po’ calmato ho portato mio figlio grande al bagno e dalla finestra ho visto una quindicina di terroristi che sono entrati dall’ingresso del kibbutz, non dalla parte della Striscia. Nessuno si aspettava che i terroristi arrivassero con le macchine, si pensava arrivassero a piedi dalla direzione della Striscia. Invece sono entrati proprio dal cancello del kibbutz dove si trova casa mia… Sono rimasto a guardarli perché non ci credevo che fosse una cosa reale. Soltanto quando hanno cominciato a trivellare le nostre case, a sparare coi kalashnikov, mi sono come svegliato dal film che stavo vedendo. Quindi siamo subito corsi di nuovo dentro la nostra camera di sicurezza, abbiamo chiuso tutto, anche la finestra e la porta di metallo, per non far entrare nessuno. Abbiamo subito avvertito i nostri amici accanto di chiudere tutto, la mia vicina da sola con due gemelli di 2 anni… Quello l’ha salvata perché subito sono arrivati alle nostre case e hanno cominciato a sparare. Hanno buttato pure una bomba a mano nella sua camera da letto. Hanno provato anche ad aprire la nostra finestra di metallo. Io calmavo i miei bambini dicendo che tutto andava bene, siamo nella nostra camera di sicurezza, ma dentro era ghiacciato. Sapevo che se avessi aperto la finestra sarebbe stata alla fine. Sapevo dalle chat che i terroristi erano là fuori, ma non mi sarei mai aspettato una quantità del genere nel nostro kibbutz e in altri.

La tua famiglia, quindi, è salva?

A me, mia moglie i bambini fortunatamente non è successo nulla. Dopo 1-2 ore i terroristi sono entrati anche dentro casa nostra e hanno cominciato a rubare tutto, ma di quello non ci importa nulla. Mentre erano dentro casa, un altro gruppo di terroristi è entrato nella casa dietro alla nostra, abbiamo sentito le strilla. Ora sappiamo che hanno catturato tutti e cinque i componenti della famiglia. Noi ci siamo salvati, non sappiamo come… Ci hanno fatto sentire che erano dentro in tutti i modi, hanno bussato alla porta e se avessero voluto sarebbero anche entrati. Una volta uscito definitivamente dopo 12-13 ore che i soldati erano arrivati, quando ci sono venuti a salvare, ho trovato fuori casa i bossoli dentro la casa e anche dei razzi in terrazza. Se ne avessero usato uno contro la porta della nostra camera di sicurezza, ovviamente niente li avrebbe fermati. Sarebbero entrati e avrebbero fatto quello che hanno fatto purtroppo da altre parti.

Ci racconti qualcosa del vostro kibbutz?

A Nir Yitzhak ci sono all’incirca 580 persone. Rispetto ad altri kibbutz, siamo stati “fortunati”: abbiamo perso quattro persone che sono già state riconosciute, altre otto catturate. So invece la quantità di cose che hanno subito altri.

Ora siete in un luogo sicuro?

Come altre comunità vicino la Striscia di Gaza siamo stati evacuati in posti lontani dalle nostre case. Ora non c’è pericolo, ovviamente, però è una lunga strada quella da fare. I bambini sentono un giorno sì e un giorno no che hanno perso i loro amici di classe, del pallone, della pallavolo, o che le professoresse non ci sono più. Quindi ok, se siamo rimasti in vita ma la parte psicologica è tutta da curare, soprattutto per i nostri bambini.

Come vivevate nel kibbutz prima dell’attacco?

I kibbutz sono comunità molto piccole, la maggior parte agricole. Anche se siamo nel deserto, abbiamo campi di patate, carote, noccioline, cotone, agrumi e via dicendo. Abbiamo le mucche per il latte, alleviamo polli. Quindi è una vita molto differente rispetto a quella della città. Quando i bambini escono dalla nostra casa, sono comunque sempre dentro una grande casa. Per loro è libertà, è andare in bicicletta, in piscina, nello zoo del kibbutz. È andare nei campi a raccogliere le patate. Ci sono persone che lavorano all’interno del kibbutz e altre che lavorano al di fuori. È un po’ cambiata l’idea di una volta, ma ancora ci sono molte cose comuni le festività: le macchine comuni, ad esempio, chi non ha la macchina può prendere una macchina del kibbutz. C’è la mensa comune, ci sono le festività e chi ha bisogno riceve più di quello che può dare. Quindi abbiamo cura l’uno dell’altro, si fa una vita molto più rilassata.

Diciamo che la nostra zona noi la consideriamo il nostro paradiso: al 95% viviamo in un paradiso, ma abbiamo un 5% che è questo inferno. Di solito l’inferno sono gli attacchi missilistici ma questa volta si è passato un limite. Non che i missili siano una cosa accettabile, ma diciamo che ci siamo abituati, sappiamo come difenderci, questa volta è stato diverso.

Immagino che state pregando per la liberazione degli ostaggi e per la pace?

La pace è la miglior cosa per tutti, da entrambe le parti. Se ci fosse la pace e staremmo bene noi e starebbero bene anche i palestinesi, perché ci sono i palestinesi che vogliono la pace, che vogliono vivere in pace. Hamas non è i palestinesi e i palestinesi non sono Hamas. Ci sono i palestinesi che vogliono vivere come noi. Infatti Hamas quando è entrata non ha ucciso solo ebrei, ma anche beduini perché ammazzano chi è differente da loro solo.

Qual è la tua speranza?

Vorrei che l’Europa capisse bene con chi abbiamo a che fare. Non ci sono parole per spiegare che cosa è successo e anche parlare con chi non vuole parlare è un po’ difficile.