Il Paese latinoamericano sull’orlo della guerra civile. L’allarme è dello stesso presidente Noboa che ha decretato lo stato di “conflitto interno”. Violenze e saccheggi si registrano in tutto il territorio con almeno dieci vittime. La Conferenza episcopale esorta il popolo a restare unito e ad impegnarsi per la pace. Il presidente di Caritas Ecuador sospende le Messe in presenza
Marco Guerra – Città del Vaticano
Un appello a non arrendersi, a restare uniti e a trovare le energie per riportare la pace nel Paese. È quanto chiedono i vescovi dell’Ecuador di fronte all’ondata di violenza scatenata dalle bande criminali in questi giorni, costate la vita ad almeno dieci persone, tra cui due agenti di polizia. Da almeno oltre 48 ore l’Ecuador vive sull’orlo di una guerra civile e ieri, 9 gennaio, il presidente Daniel Noboa ha dichiarato lo stato “conflitto armato interno”. In questa cornice, Il Consiglio presidenziale della Conferenza episcopale ecuadoriana (Cee) interviene con un messaggio intitolato “La violenza non prevarrà”. “Non cadiamo nel panico sterile che fa il gioco dei violenti è […] e nell’ingenuità di arrendersi, credendo che questa lotta sia solo per coloro che ci governano”, ammoniscono i presuli nella loro nota. Nel rifiutare la violenza, “da qualsiasi parte provenga”, la Cee spiega inoltre che le attuali circostanze eccezionali “devono trovarci uniti, con lo sguardo rivolto al futuro e con la forza necessaria per rendere l’Ecuador ciò che è sempre stato, un luogo di pace, di lavoro, di fraternità”.
La preghiera per la stabilità e la pace
La Chiesa dell’Ecuador sottolinea poi che “qualsiasi attività in contrasto con la legge, a qualsiasi livello della società e dello Stato, deve essere considerata un tradimento della patria, dei valori più sacri della nostra identità ecuadoriana e di Dio, che sarà il giudice delle nostre vite”. “Siamo un Paese di fede – proseguono i vescovi -. Fin da bambini abbiamo imparato che siamo tutti fratelli, chiamando Dio nostro Padre”. Infine la Conferenza episcopale affida alle sue preghiere “l’integrità di ogni buon ecuadoriano e la stabilità dello Stato come garanzia che la pace ritorni al più presto”.
La situazione nel Paese
In questi ultimi due giorni di caos, l’epicentro delle violenze è stata la città portuale di Guayaquil, dove tredici gli uomini armati sono entrati in uno studio televisivo durante una trasmissione in onda su Teleamazonas. Momenti di forte tensione risolti dall’intervento della polizia che ha arrestato gli aggressori e liberato gli ostaggi. In diverse zone dell’Ecuador si registrano però attacchi simultanei di gruppi armati in strade, centri commerciali e uffici pubblici. Disordini si sono verificati in sei carceri e altri atti di violenza sono stati registrati anche nella capitale Quito, dove ieri il parlamento è stato evacuato. Nella periferia nord della capitale, alcuni individui hanno sparato contro i veicoli che passavano nelle loro vicinanze, provocando la morte di cinque persone. Due agenti sono stati assassinati a Nobol, a una quarantina di km a nord di Guayaquil, nella regione di Guayas. La situazione ha iniziato a precipitare il 7 gennaio quando Adolfo Macías Villamar, conosciuto come Fito, leader dei Los Choneros, è evaso dal carcere di Guayaquil.
Le misure del governo
L’Assemblea nazionale dell’Ecuador ha espresso il suo sostegno alle Forze armate e di polizia del Paese. Il Congresso ha appoggiato l’azione del governo in materia di sicurezza per ripristinare la pace e l’ordine nel territorio nazionale. I parlamentari hanno sottolineato che stanno lavorando in unità, indipendentemente dalle diverse correnti politiche. Il presidente ha firmato un decreto che elenca la presenza sul territorio nazionale di ben 21 gruppi del crimine organizzato transnazionale, caratterizzati come “organizzazioni terroristiche e attori non statali belligeranti”, e dispone “l’immediata mobilitazione e intervento delle Forze Armate e della Polizia sul territorio ecuadoriano per garantirne la sovranità e l’integrità”. Da fuori si guarda con attenzione alla situazione in Ecuador. Il Perù ha inviato reparti militari al confine, gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione, mentre la Cina ha già sospeso l’attività nell’ambasciata e nei consolati.
Monsignor Crameri sospende le Messe
”La situazione è complicatissima”, racconta al Sir monsignor Antonio Crameri, presidente di Caritas Ecuador, vescovo del vicariato apostolico di Esmeraldas, città sul Pacifico da mesi afflitta dalle violenze. ”In questi giorni mi trovo a Guayaquil, dove si è scatenato l’inferno”, riferisce ancora Crameri, “da Esmeraldas mi raccontano di auto bruciate, negozi saccheggiati, persone sequestrate”. Secondo il presule, di fatto “non c’è legge” e scuole e negozi sono chiusi. Il presidente di Caritas Ecuador ha quindi chiesto la sospensione delle Messe in presenza nella sua diocesi, “come si è fatto durante la pandemia”. “Io dovrei tornare a Esmeraldas, ma non so se sarà possibile. Iniziano anche a scarseggiare gli alimenti”.