In Benin, i Foyer Don Bosco danno dignità e diritti ai minori sfruttati

Vatican News

di Giordano Contu

I salesiani del Benin riaccendono la speranza dei bambini sfruttati sul lavoro. Hanno tra gli 8 e i 17 anni. La maggior parte di essi fugge da famiglie povere. Talvolta, per fargli imparare un mestiere, affidano i giovani ad artigiani che poi li trattano come schiavi. Più spesso i figli sono costretti a lavorare per aiutare la famiglia e perciò abbandonano la scuola. «È un’illusione che trascina tanti minori in contesti insicuri e così finiscono a vivere per strada. Il nostro obiettivo è restituire dignità al bambino, educarlo affinché trovi veramente il suo posto nella società, come un uomo creato a immagine e a somiglianza di Dio». A parlare, in un colloquio con L’Osservatore Romano, è don Aurélien Ahouangbe, direttore del Foyer Don Bosco della diocesi di Porto Novo, impegnato nel contrasto al lavoro minorile. Per questo motivo i salesiani monitorano i mercati, le piantagioni e i laboratori artigianali dove i ragazzi faticano per decine di ore al giorno.

Lo sfruttamento economico e lavorativo dei bambini, racconta il salesiano, è preoccupante in tutto il Benin: «C’è una forte mobilità giovanile dai villaggi verso le città. Quando arrivano non hanno nessuno che li accolga e iniziano subito a fare piccoli lavori». L’occupazione minorile è una piaga dell’umanità che toglie ai ragazzi ogni tutela prevista dalla Dichiarazione Onu per i Diritti del fanciullo: non solo l’educazione o la socialità, ma anche la felicità e il riposo. Invece che andare a scuola tante ragazze camminano nei mercati con pesanti fagotti sopra la testa, trasportando merci, vendendo prodotti o rifornendo i forni del pane. Altre bambine vengono sfruttate come commesse nei punti di ristoro o nei bar. Gli adolescenti, che a volte diventano essi stessi sfruttatori, dormono nelle officine, nelle campagne o ai bordi delle strade, dove passano tutta la giornata. Alcuni iniziano a rubare e così finiscono per essere arrestati dalla polizia. Per contrastare tale fenomeno i salesiani hanno costruito dei punti di ascolto nei mercati, lungo le frontiere nazionali e nei luoghi più sensibili. Questi sono monitorati da squadre di funzionari governativi, poliziotti e assistenti sociali che verificano l’età e le condizioni di lavoro e di vita dei minori.

Se accertano che hanno meno di 14 anni o che vengono maltrattati allora il minore viene preso in carico dai salesiani. «Li ascoltiamo, poi li accompagniamo nella comunità e cerchiamo i genitori», spiega don Aurélien: «Rendiamo consapevole la famiglia delle leggi che proteggono i bambini e, se opportuno, restituiamo loro i figli e li monitoriamo a casa, assicurandogli l’educazione e l’assistenza psicologica in caso abbiano subito maltrattamenti». Tuttavia, non sempre la riconciliazione è possibile in quanto la maggioranza dei giovani fugge di casa proprio a causa degli abusi sofferti. Altri smarriscono la retta via perché restano orfani e tra i parenti nessuno si prende cura di loro. Ci sono minori di 7-8 anni che per imparare un mestiere sono affidati dai genitori a un parente che poi se ne approfitta. Alcuni ragazzi rompono i legami familiari a causa dei ripetuti divorzi e della poligamia, fenomeni che innescano l’esclusione da parte del genitore adottivo. Altri bambini vengono cacciati con l’accusa di stregoneria. Più spesso i figli sono costretti a lavorare per aiutare economicamente la famiglia. Senza dimenticare che alcuni ex ospiti dei centri Don Bosco non riescono a reinserirsi in famiglia e perciò scappano un’altra volta.

L’obiettivo dei salesiani è fare in modo che i giovani ritrovino la dignità e la gioia dell’essere figli di Dio: un nutrimento grazie a cui fiorisce una nuova speranza nei confronti di un futuro di pace, una crescita armoniosa all’interno della società e la partecipazione allo sviluppo della loro città. Questa è la missione dei quattro Foyer Don Bosco in Benin. Una casa per minori si trova nella capitale economica Cotonou, due sono nella capitale Porto-Novo, infine una struttura a Kandi serve tutto il nord del Paese e il confine con il Niger e la Nigeria, dove molti bambini migrano per lavorare nelle piantagioni, in particolare dove si produce l’olio di palma. «Li accogliamo — prosegue Ahouangbe — e attraverso un’educazione integrale e un sostegno totale li aiutiamo a recuperare i loro diritti come creature di Dio che devono godere di educazione e svago». Questo è il primo obiettivo. Il secondo è «aiutarli a superare il trauma, per potergli fare ritrovare la gioia di vivere».

L’accoglienza nei Foyer Don Bosco inizia con l’assistenza psicologica del minore attraverso cui si cercano di comprendere i suoi problemi familiari e lavorativi. Il progetto pedagogico è gestito da educatori, missionari, suore e laici. Ogni bambino riceve un’assistenza sanitaria tramite cliniche e ospedali statali che valutano eventuali abusi. Altrettanto fondamentali sono il sostegno alimentare, l’ospitalità negli alloggi, il reinserimento scolastico, la formazione professionale. Alcuni ragazzi studiano fino a ottenere il diploma di maturità, altri ricevono una formazione qualificata all’interno di un laboratorio a scelta: meccanico, carpentiere, saldatore, sarto, parrucchiere, pasticciere, fornaio, saponificatore. «Dopo averli accompagnati per due o tre anni li sosteniamo nell’apertura della loro bottega», spiega ancora il direttore.

In questo percorso i bambini si riavvicinano alla religione: «Li aiutiamo a riscoprire il vero volto di Dio che valorizza e rispetta l’uomo». Ciò determina tre cambiamenti sostanziali nella vita del minore. Primo: «Dio, che tutto ama, li aiuta a trovare il loro posto nel mondo insieme a Lui e, anche se la società appare ostile, noi gli mostriamo che Dio è amore». Secondo: «La tristezza, l’angoscia e i maltrattamenti subiti sono ferite profonde, ma noi mostriamo loro che Dio è la fonte della gioia perduta, e che quando ritroveranno Dio torneranno a vivere una vita sana e gioiosa». Terzo: «Dio aiuta l’uomo e lo responsabilizza per partecipare egli stesso alla presa in carico dei giovani. In tal modo l’uomo investe nella natura per recuperare ciò che in lui c’è di divino e tutto ciò che la natura gli offre, per vivere come un uomo libero e responsabile». Perché senza amore nessuno può davvero realizzarsi, conclude il delegato provinciale salesiano per l’Africa francofona occidentale: «La redenzione dell’uomo deve passare attraverso la fede ricevuta, vissuta e trasmessa. Noi la proponiamo attraverso i valori del Vangelo e soprattutto con la cultura dell’amore».