In aumento i cristiani in fuga da persecuzioni, Open Doors: oggi una “Chiesa profuga”

Vatican News

La 30.ma edizione della World Watch List, il report dei primi 50 Paesi dove i cristiani sono più perseguitati di Porte Aperte Onlus, rivela che nell’ultimo anno sono stati uccisi 5621 aderenti al cristianesimo, 4542 arrestati e 5259 rapiti. Ai cristiani oggetto di violenze a motivo della loro fede ha rivolto oggi il suo pensiero il Papa. Cristian Nani: povertà, economia instabile, cambiamenti climatici, generano un cocktail esplosivo per le violenze anticristiane

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Sono oltre 360 milioni i cristiani che sperimentano un livello alto di persecuzione e discriminazione a causa della propria fede, in pratica 1 cristiano ogni 7. Lo rivela la trentesima edizione della World Watch List (WWList), la lista dei primi 50 Paesi dove gli aderenti al cristianesimo sono più perseguitati curata da Porte Aperte Onlus/Open Doors. E ai cristiani che “soffrono sulla propria pelle la violenza” ha rivolto stamani il suo pensiero il Papa, durante l’udienza generale. Salutando i pellegrini di lingua inglese e quelli provenienti dall’Africa, Francesco ha chiesto di pregare per padre Isaac Achi, ucciso domenica scorsa nella diocesi di Minna, nel nord della Nigeria, nazione dove si uccidono più cristiani, ben 5.014, secondo la WWList.

Le violenze anticristiane nei primi 10 paesi del mondo secondo la WWList

Sono 5621 i cristiani uccisi lo scorso anno

Presentato oggi in Italia nella Sala stampa della Camera dei Deputati, e in contemporanea in altri 24 Paesi, il report è frutto del lavoro di un team di ricercatori impegnato a monitorare la realtà dei cristiani in 100 nazioni nel mondo e rivela che, tra ottobre 2021 e settembre 2022, sono stati uccisi 5621 cristiani, 4542 sono stati arrestati e 5259 rapiti – di cui 4726 in Nigeria -, mentre hanno subito attacchi 2110 chiese o edifici cristiani.

I paesi con il maggior numero di cristiani uccisi nel 2022 secondo la WWList

La Corea del Nord il Paese con più cristiani perseguitati

Il Paese con il più elevato numero di cristiani perseguitati è la Corea del Nord, dove l’aumento degli arresti e la chiusura di un maggior numero di chiese, spiega Porte Aperte, si deve, anche, alla nuova ondata di persecuzione promossa dalla “Legge contro il pensiero reazionario” che, tra l’altro, considera reato la pubblicazione di qualsiasi materiale di origine straniera, inclusa la Bibbia. Seguono Somalia, Yemen, Eritrea, Libia. Nazioni, in gran parte, fortemente islamiche e più intolleranti verso i cristiani, dove, precisa Porte Aperte, le persecuzioni sono dovute a società islamiche tribali radicalizzate, all’estremismo attivo e all’instabilità endemica. Qui la fede cristiana va vissuta nel segreto e se scoperti (specie se ex-musulmani) si rischia anche la morte. I luoghi più pericolosi al mondo per i cristiani sono la Nigeria il Pakistan – dove c’è più violenza anticristiana -, l’Iran – Paese in cui i cristiani e le chiese sono percepiti come minacce al regime islamico e i convertiti al cristianesimo sono esposti a maggiori rischi-, e ancora l’Afghanistan e il Sudan. In Myanmar, invece, sono oltre 100mila le persone costrette a lasciare le proprie case, nascondersi o fuggire dal Paese, e il numero di case, negozi e proprietà di cristiani distrutti o attaccati , oltre mille, evidenzia la svolta autoritaria della giunta militare che ha preso di mira certe minoranze percepite come disturbatrici per il semplice fatto di professare la fede cristiana.

Una chiesa distrutta in Iraq, foto Open Doors

Aumentano i rapimenti dei cristiani

Dalla World Watch List emerge una diminuzione delle chiese attaccate o chiuse, da 5.110 (WWL 2022) a 2.110 (WWL 2023), ma preoccupa l’aumento dei rapimenti da 3.829 a 5.259, di cui quasi 5.000 in Africa, per lo più in Nigeria, Mozambico (32) e Repubblica Democratica del Congo (37). Sono decine di migliaia, invece, i cristiani aggrediti (picchiati o vessati con minacce di morte) esclusivamente a causa della loro fede; nell’anno trascorso sono emersi oltre 29.400 casi, mentre sono state attaccate 4.547 case e 2.210 negozi e attività economiche. Oltre a violenze, emergono, nei confronti dei cristiani, pure vessazioni quotidiane, tra cui discriminazioni sul lavoro, non accesso alla sanità e all’istruzione, pressioni e minacce perchè si rinunci alla propria fede, negazione del soccorso in caso di calamità, eccessiva burocrazia.

I numeri globali della WWList

I governi più ostili ai cristiani e la “chiesa profuga”

Quanto ad altre aree, in America Latina la libertà religiosa è minacciata da mal governo, criminalità e leader indigeni. L’oppressione diretta dei governi contro i cristiani, percepiti come voci di opposizione, è diffusa in Nicaragua, Venezuela e Cuba, dove leader cristiani sono stati imprigionati anche senza processo per il loro coinvolgimento in manifestazioni. Il peggioramente in Nicaragua risale all’aprile 2018, quando la repressione governativa si è intensificata dopo le proteste pubbliche e la Chiesa è stata un bersaglio specifico, con edifici danneggiati, emittenti televisive e scuole chiuse, leader religiosi espulsi. Nei circa 100 Paesi monitorati da Porte Aperte, aumenta la persecuzione in termini assoluti: sono 76 le nazioni che hanno un livello definibile alto, molto alto o estremo. E cresce il numero dei cristiani in fuga dalla persecuzione, la cosiddetta “chiesa profuga”. In Medio Oriente, ad esempio, i cristiani sono sempre meno a causa di privazioni, discriminazioni e persecuzioni, e i giovani continuano ad emigrare in cerca di un futuro migliore. La WWList analizza offre pure una panoramica dei casi di violenza e abusi contro le donne, che non è facile monitorare, poiché in molti Paesi le denunce sono rare, per ragioni culturali e sociali. Ma secondo Porte Aperte/Open Doors, con testimonianze raccolte, in un anno ne sono emersi 2.126, cui si sommano oltre 717 matrimoni forzati.

I paesi con più chiese o edifici cristiani attaccati nel 2022 secondo la WWList

Cristian Nani, direttore di Porte Aperte/Open Doors in Italia, la onlus che da oltre 60 anni è impegnata nella ricerca sul campo di cause e soluzioni alla persecuzione, fornendo supporto materiale, aiuti di emergenza, letteratura, formazione e assistenza ai cristiani che soffrono a causa della loro fede, spiega che lo scorso anno è stata rilevata una situazione preoccupante e drammatica soprattutto nel continente africano.

Cristian Nani, direttore di Porte Aperte onlus

Ascolta l’intervista a Cristian Nini

Si registrano più violenze nei confronti dei cristiani nell’Africa subsahariana. Qual è il contesto socio-politico di quest’area e perché le violenze hanno raggiunto livelli allarmanti?

Sostanzialmente, uno dei trend che i nostri analisti hanno riscontrato nel periodo di riferimento della nostra ricerca, e che l’Africa subsahariana è proprio l’epicentro delle maggiori violenze. Tanto è vero che solo in Nigeria noi registriamo oltre cinquemila uccisioni di cristiani per ragioni legate alla fede. Ma non è solo, c’è anche l’aspetto delle aggressioni ai villaggi cristiani nella zona del Sahel, dove la comunità degli allevatori fulani – un’etnia particolare islamica – prende possesso dei territori che sono proprietà di cristiani e quindi questo genera delle fughe di centinaia, migliaia, di famiglie. Intere comunità, villaggi, vengono allontanati e costretti a vivere in campi improvvisati, o nello stesso paese, quindi come sfollati interni, oppure come rifugiati nei Paesi vicini. Circa le ragioni socio-politiche, in primis c’è questo movimento jiadista che dall’ascesa dei talebani in Afghanistan ha preso maggiore coraggio e quindi abbiamo registrato un incremento della violenza di questi movimenti e gruppi di islamisti. Questo, però, è anche dovuto all’instabilità politica, alla mancanza di controllo del territorio da parte degli stati oggetto e scenario di queste aggressioni. Quindi c’è uno Stato fallito, uno Stato che non è in grado di gestire il territorio, una criminalità molto diffusa, in più c’è un movimento jiadista sempre più attivo. Questi elementi, insieme alla povertà, insieme alla mancanza di un’economia stabile e anche al cambiamento climatico genera un cocktail esplosivo che ha fatto crescere la violenza anticristiana. Questo trend si collega anche a una deriva autoritaria di alcuni Paesi. Usando un linguaggio che ha a che vedere con la stabilità e la sicurezza, molti autocrati si propongono come tali in alcune regioni, in particolare nel Nord Africa – ma questo non accade solo nel continente africano – e seguono una sorta di modello. La ragione principale è dare stabilità alla società, dare una maggiore sicurezza, e lo si fa attraverso la sorveglianza e la limitazione delle libertà principali, e quindi dei diritti umani, e in primis della libertà religiosa, anche attraverso l’uso della tecnologia. E questo modello che si sta prefigurando ha molti estimatori nel mondo. Parlo, per esempio, dei posti che hanno dato origine, nel Nord Africa, alla “primavera araba”, che ora vedono un ritorno di moda dell’autarchia, e quindi della dittatura. Se pensiamo alla Tunisia, ma non solo, questo modello di controllo sulla società che dovrebbe dare maggiore sicurezza, ma realtà reprime il popolo, si sta diffondendo a macchia d’olio anche in molti Paesi dell’Asia.

In America Latina, tra i Paesi in cui i cristiani hanno vita difficile c’è il Nicaragua …

Il Nicaragua è uno dei quattro Paesi dell’America Latina che è presente nella nostra mappa della persecuzione, quindi nei primi 50 dove più si perseguitano i cristiani, insieme a Colombia, Cuba e Messico. Colombia e Messico sono terre cristiane, ma ci sono aree, zone in cui, per alcune ragioni la situazione dei cristiani subisce un peggioramento sotto vari punti di vista. In Nicaragua e in questi Paesi che ho citato, questo modello autoritario cui ho accennato è un elemento utilizzato dai governi per mettere a tacere parte della società che magari chiede un maggior rispetto dei diritti umani, e spesso la Chiesa è stato molto attiva nel chiedere un rispetto dell’uomo. Questo è qualcosa che è proprio insito nel cristianesimo. Quindi, il leader cristiano viene percepito – dal parroco ad un qualunque membro della Chiesa – come minaccia alla stabilità del regime quando alza la tua voce in favore di qualche diritto. A questo sommiamo dei mali endemici, come la criminalità organizzata. Alcune aree – e la Colombia è un esempio macroscopico – hanno questo status giuridico di semiautonomia di cui le popolazioni indigene godono sostanzialmente. Però, in queste aree, in particolare, quando l’autorità indigena scopre, per esempio, che un membro della tribù, del clan, del gruppo, abbandona la fede dei genitori, la fede del villaggio, subisce una forma di persecuzione, cioè colui che abbandona la fede nativa viene perseguitato. Quindi è una forma di persecuzione che arriva dagli indigeni. Quindi, leader indigeni, criminalità organizzata e il seguire questo modello autoritario per avere un controllo sul Paese, anche in questo caso si trasformano in un mix negativo per le comunità cristiane.

 C’è poi il problema del Medio Oriente che si sta sempre più spopolando di cristiani, perché?

 Il Medio Oriente ha vissuto un periodo catastrofico. Pensiamo alla guerra civile in Siria, all’ascesa dell’Isis, del Daesh, e quindi, poi, alla guerra che ne è nata e ai vari scontri: una instabilità che vive tutt’oggi. Ha vissuto il Covid, in mezzo a tutto questo, in più, una crisi economica devastante. Ci sono generazioni di giovani, ma anche di meno giovani, che non hanno prospettive o speranze di futuro e quindi l’unica via sembra essere quella della fuga dal Paese. Questo ha dato origine a un fenomeno che noi abbiamo identificato come “la chiesa profuga”, cioè intere comunità, famiglie, che si trovano ad essere cristiani, magari come sfollati interni, nel loro stesso Paese. Pensiamo alla Siria: metà della popolazione o è sfollata interna, all’interno dello stesso Paese ma vive in campi profughi, o da parenti in condizioni estreme, oppure all’estero. Questa gente vive la propria fede in campi profughi o in una condizione in cui, magari, non si è ben accetti, perché il Paese in cui è allestito il campo, ad esempio, è a maggioranza islamica. La Chiesa in Medio Oriente è ridotta a causa di tutti questi anni di persecuzioni, di guerre, è sotto pressione. Le generazioni fuggono, è inevitabile, non vedono speranza ed è anche sotto pressione perché manca stabilità, mancano prospettive economiche di sviluppo, e quindi l’emigrazione sembra l’unica via. Questo è il fenomeno della “chiesa profuga” cui dovremmo prestare maggiore attenzione in futuro.

Conosciamo, spesso, i numeri, le cifre, dei cristiani perseguitati, di quelli che subiscono violenze, ma non conosciamo i volti. Lei ce ne presenta uno, seppure in forma anonima, nel libro “Figlio di una serva”, il cui ricavato contribuirà al sostegno delle minoranze cristiane perseguitate a motivo della loro fede. Si tratta della storia di Nasiry, afgano ex musulmano. Che storia è e perché farla conoscere?

Esiste una comunità cristiana che è costretta in molte terre di persecuzione a vivere la propria fede nel segreto, a viverla nel segreto delle proprie case o incontrandosi di nascosto. Questo il caso della piccola comunità presente in Afghanistan. La ragione per scrivere la storia di Nasiry è stata quella di raccontare qualcosa che sta succedendo in Paesi in cui sembra non accada, non possa accadere qualcosa del genere, ovvero che il Vangelo viene diffuso. Ed è la storia di Nasiry. Perché Nasiry ha un incontro speciale con delle persone che lo avvicineranno alla fede cristiana e questo si incrocerà con una crisi che lui stava vivendo personalmente nella sua fede di origine, nella sua ragione stessa vita, e lo spingerà ad abbracciare la fede cristiana. Ma questo comporterà, come per la gran parte di questi credenti nascosti la scelta, di vivere o morire, perché per molti, ancora oggi, la scelta di seguire Nostro Signore comporta scegliere se vivere o morire. Infatti Nasiry dovrà affrontare il carcere a causa della sua fede, la tortura e la condanna a morte. E preferirà la condanna a morte, piuttosto che abiurare la sua fede e quindi la sua storia una storia di coraggio. Io ho incontrato questa persona in un luogo segreto ed è una storia che ci stimola, ci spinge a farci delle domande più sui perché della nostra esistenza e sulla la nostra fede cristiana. Se è una fede viva o se è una fede, ormai, che ci trasciniamo da tempo, con un po’ di polvere nel nostro cuore, magari.

Ma la storia di Nasiry è una storia a lieto fine?

Posso dire che questa storia vi sorprenderà e di sicuro vi lascerà un buon sapore.