In ascolto dell’umanità oltre il fragore della guerra

Vatican News

di Alessandro Gisotti

“Francesco è un uomo che non solo sente, ascolta”. E’ significativo che a offrire questa definizione del Papa sia stato il segretario generale di Caritas-Spes Ucraina, padre Vyacheslav Grynevych, dopo un recente incontro con il Papa a Casa Santa Marta. Il sacerdote pallottino ha confidato che proprio questo – “ascoltare” – è infatti il compito più rilevante che lui, come gli altri operatori e volontari della Caritas ucraina, sta svolgendo, oltre all’attività umanitaria, dal 24 febbraio scorso, giorno dell’inizio dell’invasione russa. Ascoltare la sofferenza delle madri che hanno perso i propri figli, quella dei padri che combattono per la difesa della propria patria e non sanno se rivedranno la propria famiglia. Ascoltare il pianto inconsolabile dei bambini che, da quasi cento giorni, vivono nel terrore risucchiati da una guerra crudele che ha interrotto il corso naturale della loro esistenza fatta di giochi, di scuola e affetti familiari, come dovrebbe essere la vita di ogni bambino. Ascoltare, dunque. Non sentire. Perché per sentire basta l’orecchio, per ascoltare serve il cuore. Lì è la sede dell’ascolto.

Quando Papa Francesco ha scelto come tema della Giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali di quest’anno proprio l’ascolto, la sua riflessione muoveva soprattutto a partire dall’esperienza traumatica della pandemia da Covid-19. Si riferiva a quella solitudine esistenziale alla quale una parte dell’umanità è stata necessariamente costretta dalle restrizioni anti contagio che hanno paralizzato ciò che più contraddistingue l’essere umano, la persona: le relazioni con i propri simili. Non a caso, si legge nel Messaggio per la Giornata che si celebra domenica prossima, “la capacità di ascoltare la società è quanto mai preziosa in questo tempo ferito dalla lunga pandemia”. Per Francesco, “bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche”. Riuscire perciò a captare il desiderio di essere ascoltati, cresciuto a dismisura tra le pieghe di quel silenzio innaturale che per tanti mesi è calato sulle nostre comunità, facendoci riscoprire la necessità di farci prossimi (tema, quest’ultimo, del primo Messaggio di Francesco per le Comunicazioni sociali, nel 2014). Solo se ti avvicini all’altro, se ti fai prossimo, solo se sei a un battito di cuore di distanza – sembra suggerire il Papa – puoi veramente ascoltarlo.

Se dunque il tema dell’ascolto nasceva, innanzitutto, dall’esperienza della pandemia, questo ha un valore non meno prezioso nel contesto tragico della guerra in Ucraina, così come di ogni conflitto. Se infatti nella pandemia, la capacità di ascolto doveva trovare le frequenze giuste nel silenzio, ora è nel fragore delle armi, nel rumore della guerra che tale attitudine del cuore deve saper intercettare la voce di chi soffre. Secondo una visione funzionalista della comunicazione, questa “avviene” se c’è un emittente, un destinatario e un codice condiviso. Quindi una comunicazione centrata sul “dire qualcosa” piuttosto che sull’“ascoltare qualcuno”. La guerra, proprio come la pandemia, ha invece dimostrato quanto già indicava il filosofo Abraham Kaplan (nato ad Odessa), citato dal Papa nel Messaggio, e cioè che la comunicazione autentica non si riduce all’accostamento di due monologhi (un duologo), ma richiede che l’io e il tu siano entrambi “in uscita”, protesi l’uno verso l’altro. “L’ascoltare – scrive Francesco – è dunque il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione. Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare”.

Ecco, in questa ultima affermazione troviamo un’esortazione e una consegna per gli operatori dell’informazione in particolare in un frangente storico così delicato e imprevedibile come quello che stiamo vivendo. Per fare buona comunicazione, buon giornalismo, bisogna ascoltare. Innanzitutto mettersi in ascolto di coloro che hanno la voce più flebile. Un compito che stanno svolgendo, anche rischiando la propria vita, i tanti giornalisti sul terreno in Ucraina come quelli al lavoro in ogni altro luogo dove si combattono guerre più o meno dimenticate. L’ascolto richiede pazienza, umiltà. Virtù che, come affermato dal Papa incontrando i giornalisti dell’Associazione Stampa Estera in Italia il 18 maggio del 2019, rende liberi non mediocri. “Il giornalista umile – affermò in quell’occasione – è un giornalista libero. Libero dai condizionamenti. Libero dai pregiudizi, e per questo coraggioso”. Una libertà che oggi più che mai va custodita, nella consapevolezza che quella degli operatori dell’informazione non è solo una professione, ma una missione al servizio del bene comune.