Alina Tufani e Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Il suo vicariato è situato nel territorio amazzonico, il verde è il colore che lo contraddistingue. 111mila chilometri quadrati, un terzo dell’Italia. La tutela dell’ambiente è uno dei temi principali, anzi lo è sempre più a causa delle preoccupanti previsioni degli esperti che vedono l’Amazzonia boliviana a rischio nei prossimi trent’anni. Per la Bolivia, dopo le tensioni sociali e politiche del 2019, ci sono anche altre questioni da affrontare, su tutte quella legata alla giustizia e poi la crescita della disoccupazione, con una grave perdita di posti di lavoro legata alla pandemia di Covid-19. Monsignor Eugenio Coter, lombardo, 65 anni a luglio, vicario apostolico di Pando, nel nord della Bolivia, racconta la situazione a Radio Vaticana – Vatican News.
Monsignor Coter, qual è la situazione del suo vicariato sia dal punto di vista ecclesiale che sociale? In che contesto vive la popolazione?
Il vicariato è uno spettacolo della natura, dai grandi fiumi al bosco amazzonico. Si estende per oltre 100mila chilometri quadrati, un territorio pari ad un terzo dell’Italia. Sono sei le parrocchie, c’è anche una barca che fa, diciamo così, da parrocchia navigante su questi fiumi. Le persone sono circa 260mila, di cui un quarto vivono in centinaia di villaggi, il resto in tre città. Un territorio dove la gente vive di servizi, di allevamenti, di raccolta della noce amazzonica, con una forte presenza di estrazione di legno, di mercurio e dell’oro. Una realtà ecclesiale molto viva, soprattutto laicale. Noi abbiamo oltre 150mila celebrazioni della Parola ogni domenica, un’esperienza di Chiesa condivisa con i laici. Una realtà bella, che ci sfida ad essere un volto visibile della nostra Chiesa.
C’è stato il Sinodo sull’Amazzonia, l’enciclica Laudato si’. Qual è la situazione dell’Amazzonia?
Continua ad essere minacciata, gli esperti ci dicono che di questo passo perderemo il territorio amazzonico della Bolivia in trent’anni. Forse saranno cinquanta, ma ci avviciniamo sempre più al punto di non ritorno. Servono interventi immediati e costosi, c’è ancora una mancanza di percezione del rischio nella classe politica. La popolazione, anche grazie al Sinodo, ha aumentato la sensibilità verso l’ambiente, anche gli indigeni stanno attenti nel bruciare le sterpaglie. C’è maggiore coscienza, è aumentato il senso di colpa. I contadini che vengono dall’altopiano non sono abituati a gestire il territorio come gli indigeni, spesso il fuoco finisce per distruggere anni di lavoro nelle coltivazioni.
La Bolivia è stata sconvolta dalla situazione sociale e politica circa tre anni fa, nel 2019. Quali sono oggi le sfide per il Paese?
La sfida principale è la giustizia. Nel 2019, la presidente (Jeanine Áñez, ndr) era stata voluta dal Parlamento, dove la maggioranza attuale era ancora la maggioranza del governo, e oggi è in carcere con l’accusa di colpo di Stato. Lei è stata chiamata alla presidenza da tutti i partiti, le altre cariche di Stato avevano rinunciato, ha assunto quel ruolo per volere dei mediatori e dei partiti di allora. Ha assunto la presidenza in una situazione prevista dalla legge, dove non è necessario l’insediamento da parte del Parlamento, perché è uno stato di vuoto costituzionale, quindi è prevista la successione automatica delle cariche di Stato. Tenerla in carcere con l’accusa di un colpo di Stato è un assurdo giuridico, contro i diritti umani. Il presidente che avrebbe subito il colpo di Stato era già all’estero come rifugiato politico. Il Paese era a soqquadro, erano in corso proteste, si cercavano di frenare. Le proteste erano contro la frode elettorale ampiamente dimostrata dagli osservatori internazionali che lo stesso presidente fuggito aveva chiamato in Bolivia per le verifiche elettorali. Se un’autorità non riesce ad ottenere giustizia, figuriamoci una persona comune. Si rischia il carcere anche per un incidente stradale. Al di là della giustizia, il grande problema è quello economico. La Bolivia ha subito l’impatto del Covid-19, del lockdown. Si sono persi posti di lavoro, l’economia informale è aumentata e riguarda oggi il 60% delle persone. Meno del 20% lavora nell’industria e nell’artigianato. La sfida è creare posti di lavoro, favorire una politica economica che generi posti di lavoro.
Quali invece le sfide per la Chiesa boliviana?
Continuare ad accompagnare il popolo nelle sue sofferenze, come nelle sue gioie. Creare una sensibilità nell’aver cura della casa comune e nell’aprirsi alla partecipazione dei laici anche con ruoli di decisione. Ancora ci sono resistenze, a volte nelle stesse parrocchie e anche a livelli più elevati. La sinodalità e la corresponsabilità in questo senso sono due parole importanti.