Il Venerabile Lejeune: un cuore che batte ancora per la vita

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Benedetta Capelli – Città del Vaticano

In molti lo ricordano per il tono pacato e tranquillo della sua voce, per lo sguardo sereno, per il dono di offrire consolazione e coraggio. Jérôme Lejeune, nato nel 1926 alle porte di Parigi, e che da ieri per decreto di Papa Francesco è diventato Venerabile, è stato un genetista di fama mondiale che in cuor suo voleva solo diventare un medico condotto. E invece la sua storia si lega indissolubilmente con quella dei suoi 9mila pazienti che, da tutto il mondo, giungevano per essere visitati da lui. Nel 1958 scoprì la sindrome di Down, rivelando l’anomalia cromosomica che la determina, spazzando via con evidenza scientifica i pregiudizi che investivano i bambini, non più considerati contagiosi, e gli stessi genitori, colpevolizzati per i loro comportamenti inadeguati (alcolismo e malattie sessuali trasmissibili). Negli studi di Lejeune, nelle sue parole non più sprezzanti e discriminatorie, allora tante persone ritrovarono dignità e forza.

La medicina è per la vita

Era cattolico, convinto antiabortista, capace di difendere le proprie idee con teorie scientifiche, dimostrando così che fede e scienza si completano e non si contrastano. “Da sempre la medicina – diceva – si batte per la salute e per la vita, contro la malattia e contro la morte: non può cambiare schieramento”. Le sue parole gli costarono molto. Il mondo scientifico gli voltò le spalle, i finanziamenti per le sue ricerche vennero tolti, in alcune assemblee non gli veniva dato diritto di replica. Le ferite non scalfirono il suo pensiero e il suo credo, continuò sulla strada intrapresa, illuminato dall’amore per la vita e alimentato dal Vangelo. Papa Paolo VI nel 1974 creò la Pontificia Accademia delle Scienze e volle che Lejeune ne facesse parte. Giovanni Paolo II lo stimava dal profondo tanto da nominarlo prima membro della Pontificia Accademia delle Scienze e consultore del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, per poi sceglierlo nel 1994 come primo presidente della neonata Pontificia Accademia per la vita. Un compito che portò avanti solo per due mesi perché morì poco dopo. Accanto a lui i suoi 5 figli e la moglie Birthe, scomparsa lo scorso maggio, che lo accompagnò in ogni sua battaglia e portò avanti la sua testimonianza.

Testimone del legame fruttuoso tra scienza e fede

“Un uomo capace di coniugare la scienza, la medicina, la fede cristiana e l’impegno morale orientandolo verso l’amore per la vita, trasformando in attenzione e cura soprattutto per quelle vite compromesse dalla malattia o dalla disabilità che vanno sempre amate e aiutate”. Così don Renzo Pegoraro, cancelliere dell’Accademia per la vita, ricorda Jérôme Lejeune come “uomo appassionato, uomo di misericordia” che affrontò con coraggio anche momenti difficili in pubblico. Una figura che anche oggi, dinanzi all’ampliamento delle possibilità di interrompere una gravidanza, avrebbe ancora molto da dire sul valore e la difesa della vita.

R. – Lejeune è stato l’ispiratore, insieme a Giovanni Paolo II, dell’Accademia per la vita. Insieme l’hanno pensata, l’hanno istituita, hanno permesso la sua nascita. E’ stato significativo che il primo presidente fosse un laico, un medico e scienziato, perché nelle intenzioni doveva essere un’Accademia di qualificata ricerca e studio e allo stesso tempo promotrice di valori e di impegno per la vita umana. Una strada per coniugare studio, ricerca e qualità e allo stesso tempo partecipare al dibattito sociale per promuovere il rispetto della vita. Questa è anche l’eredità che lascia all’Accademia che continua in un approccio interdisciplinare, con uno sguardo mondiale. Pensiamo, ad esempio, allo sviluppo dell’intelligenza artificiale ai nuovi avanzamenti nel campo della genetica però anche tutti i dibattiti o le nuove legislazioni che preoccupano nei confronti del fine vita, vedi i temi dell’eutanasia. Come confrontarsi con queste sfide? Come dialogare con le scoperte scientifiche o con i progressi della medicina, orientando il tutto nell’amare la vita, nella promozione della vita umana e della dignità delle persone più fragili e vulnerabili, come aveva sempre fatto Lejeune? La sua era stata un’attenzione profonda verso ogni forma di disabilità, sollecitava una particolare cura perché questa è la condizione della nostra umanità, della nostra civiltà. L’Accademia si pone su questo solco: portare avanti l’impegno scientifico e la riflessione, il contributo dell’etica cristiana; un’etica che cerca anche di trovare delle vie comuni con tutte le diverse religioni, i diversi approcci culturali, le diverse culture attorno ai valori fondamentali della dignità della persona e della sua vita.

Come sta procedendo l’opera di Lejeune?

R. – In Francia è stata fondata la fondazione Jérôme Lejeune, una fondazione importante di studio e di ricerca su alcune malattie genetiche e sui temi della disabilità. Il presidente è il genero di Lejeune, Jean-Marie Le Méné. E’ una fondazione impegnata nella ricerca scientifica ma anche nell’impegno etico a favore della vita umana. Ne ha fatto parte fino a maggio scorso la moglie Birthe, una grande figura che ha sempre anche accompagnato la Pontificia Accademia per la vita e che ha condiviso con il marito questo impegno e questa passione per la vita.

Se dovesse continuare il cammino di santità di Lejeune, come vorrebbe che la Chiesa lo ricordasse?

R. – E’ una figura che si inserisce in una storia fatta anche di altre figure di medici o scienziati che si sono impegnati per lo studio e la cura delle persone malate o di chi ha bisogno o di chi è in difficoltà. E’ un bell’esempio di impegno, di dialogo tra scienza e fede e quindi un credente che mette a disposizione le sue capacità, il suo intelletto ma anche il suo cuore per la vita umana e per promuovere la vita umana. Una persona che ha grandi capacità, grande passione e spirito di servizio e quindi un esempio per tanti cristiani di come scienza e fede possano camminare insieme e possano creare delle sinergie molto belle a servizio della vita umana.