Marcello Filotei – Venezia
Le nonne cantavano Traviata, forse ormai le bisnonne. Comunque è un fatto che quando la voce gracchiante di Violetta usciva dalla radio posta al centro del salotto buono tutti sapevano quali fossero le parole, anche se, bisogna dirlo, non sempre si capiscono. Ma non importava perché c’era la musica, tutti la conoscevano, qualcuno la fischiettava al lavoro, altri la canticchiavano a bassa voce con in mente gli abiti sfoggiati sul palcoscenico dalla diva di turno, intravisti dalla balconata in quella sera indimenticabile. E ora? Il teatro musicale è morto? Certo le nonne non intonano i temi delle opere contemporanee, forse perché le radio le trasmettono poco, o forse perché non sono fatte per essere canticchiate, ma per suscitare assieme alle emozioni un pensiero sul nostro tempo. In fondo come quelle di Verdi ma con altri metodi, più vicine alla nostra epoca, in cui le radio non gracchiano, gli abiti si vedono in 4k su schermi da 60 pollici, e ascoltare musica non è un’occasione rara, ma un sottofondo continuo (sempre che il sottofondo esista). Anche su questi temi riflette il festival della Biennale Musica di Venezia, che si apre il 14 settembre e si concluderà il 25.
Già il titolo scelto dal direttore artistico Lucia Ronchetti, Out of Stage, rivela l’intenzione di dedicarsi al teatro musicale sperimentale, presentando un vasto panorama della ricerca attuale secondo stili, tecniche compositive e tecnologie molto versificate. Una vetrina di quello che sta accadendo nel mondo in un genere che non può essere solamente riproposizione museale di capolavori del passato, ma necessità di nuova linfa. La sorpresa, per chi non segue costantemente queste vicende, è che il teatro musicale è vivo (e lotta insieme ad alcuni di noi), e alla Biennale si potrà avere un assaggio dei diversissimi stili con il quale viene interpretato dai compositori. Inutile fare l’elenco dei concerti, il programma è disponibile online e propone esperienze molto diverse tra loro.
Un posto speciale in cartellone, però spetta a Giorgio Battistelli, insignito del Leone d’Oro alla carriera, e all’ensemble di percussioni Ars Ludi, composto da Antonio Caggiano, Rodolfo Rossi, Gianluca Ruggeri (in rigoroso ordine alfabetico), che ha ricevuto il Leone d’Argento. Proprio loro sono i protagonisti della serata inaugurale al Teatro La Fenice. In cartellone Jules Verne, opera scritta da Battistelli tra il 1984 e il 1985 e definita «una immaginazione in forma di spettacolo per trio di percussioni, tre voci, tromba e pianoforte». Il libretto è dello stesso autore, così come la regia di questo allestimento che si avvale delle scene e delle luci di Angelo Linzalata. I percussionisti di Ars Ludi suonano tutto, compreso un pianoforte, un sassofono, una vasca d’acqua, del brecciolino e sassi di vario tipo, qualcuno fuma pure. Non fatelo a casa, non perché sia pericoloso, ma perché è difficile usare i sassi e l’acqua come strumenti, ci vuole gente che lo pensa e lo realizza da decenni, solo allora diventa musica. Non si canticchia magari, ma emoziona e fa riflettere. Secondo alcuni come Traviata.