Il Segretario Generale racconta la visita in Siria e Libano

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“Incontrare, ascoltare, conoscere per renderci vicini ed essere anche più efficaci negli aiuti”. Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI, riassume così il senso della visita compiuta in Siria e in Libano, dal 27 febbraio al 5 marzo, insieme a don Leonardo Di Mauro, Responsabile del Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo. “Con la nostra presenza – spiega Mons. Baturi – abbiamo voluto dire ai fratelli siriani ‘non siete soli, siete parte della nostra storia e della nostra fede’. Non basta inviare aiuti, che sono necessari, ma occorre far sentire a questi fratelli che sono parte del respiro della Chiesa universale. L’Italia ha una tradizione tale che può permettersi di fare questo con efficacia”.
La popolazione siriana è “provata da lunghissimi anni di guerra devastante, dalle sanzioni che la affliggono e ora anche dal terremoto”. “Nei giorni trascorsi in Siria – racconta – abbiamo parlato con tutti i vescovi cattolici, con quelli ortodossi e con i rappresentanti delle altre denominazioni cristiane e abbiamo visto come la comunità cristiana si stia facendo carico, nonostante il numero ridotto dei propri membri, della grave situazione complessiva”.
La Chiesa in Italia è da anni accanto alla comunità locale, attraverso i progetti finanziati dall’8xmille, che continuano ad essere un segno di speranza soprattutto oggi, in un contesto drammatico. Si tratta di interventi educativi, di contrasto alla povertà, di accoglienza degli sfollati, di promozione sociale e, in questo frangente, anche di monitoraggio degli edifici per il reinserimento progressivo di quanti sono stati costretti ad abbandonare le case per il sisma. Tra questi spicca il progetto “Ospedali aperti”, gestito sul campo dalla Fondazione Avsi, che offre cure gratuite ai siriani più poveri e vulnerabili in tre nosocomi cattolici, due a Damasco e uno ad Aleppo, e in 5 dispensari; i programmi di formazione al lavoro e di istruzione portati avanti dall’Associazione Pro Terra Sancta (Ats), in collaborazione con la Custodia di Terra Santa, come ad esempio quello denominato “Un nome e un futuro” e destinato ai bambini orfani ed abbandonati di Aleppo. “Il futuro passa per i giovani e su di essi bisogna investire”, ha commentato il Segretario Generale senza dimenticare l’accoglienza dei terremotati “da parte dei francescani e dei salesiani che ogni giorno provvedono a fornire migliaia di pasti”.
Per fare fronte alle emergenze, nell’immediato, e alle diverse esigenze, nel medio e lungo termine, è fondamentale un aiuto economico e finanziario. “Vogliamo essere vicini a tutte queste realtà con i fondi dell’8×mille e con quanto riusciremo a raccogliere nella Colletta promossa dalla Cei per il 26 marzo”. Questa iniziativa “è stata pensata anzitutto per sottolineare l’importanza per noi credenti di sentire parte della nostra vita quella dei nostri fratelli che stanno nel Medio Oriente, in Turchia, in Siria, in Libano. Questa dilatazione del cuore fa percepire nostri i Paesi degli altri, nostre le speranze altrui. Sarà l’occasione per ripensare la nostra apertura al mondo in una comunione delle anime che si realizza in Cristo”.
Ad aggravare le condizioni della popolazione siriana sono anche le sanzioni che “bloccano le medicine, i pezzi di ricambio dei macchinari sanitari, le rimesse dei familiari che vivono all’estero”. “In Siria – ha ricordato – il 90% della popolazione vive sotto il livello di povertà. Chi ha imposto le sanzioni si proponeva uno scopo che non è stato raggiunto. Adesso bisogna pensare alla vita del popolo”. Da un miglioramento delle condizioni di vita del popolo dipende, poi, la presenza cristiana in Siria, “vero e proprio punto di equilibrio sociale in tutto il Medio Oriente. Per questo è necessario aiutare i cristiani locali, la cui presenza si è notevolmente ridotta, a restare in Siria, dove sono nati”.
Mons. Baturi e don Di Mauro hanno fatto tappa anche in Libano la cui “drammatica situazione politica, economica e finanziaria, che ha gravi riflessi sulla vicina Siria, è sottovalutata”. “In Libano ci sono circa 1,5 milioni di rifugiati siriani, un terzo di tutti i residenti, oltre ai campi palestinesi, per questo – sostiene il Segretario della CEI– occorre avere una visione di insieme. La comunità internazionale deve prendere a cuore il Libano, felice esperienza di convivenza, di dialogo e di partecipazione, oggi in equilibrio gravemente instabile”.