Il rapporto di Monaco e la lotta di Ratzinger contro gli abusi

Vatican News

ANDREA TORNIELLI

Le parole usate durante la conferenza stampa di presentazione del rapporto sugli abusi nella diocesi di Monaco, come pure le settantadue pagine del documento dedicate al breve episcopato bavarese del cardinale Joseph Ratzinger, nell’ultima settimana hanno riempito pagine dei giornali e suscitato commenti anche molto forti. Il Papa emerito, con l’aiuto dei suoi collaboratori, non si è sottratto alle domande dello studio legale incaricato dalla diocesi di Monaco di redigere un rapporto che prende in esame un arco lunghissimo di tempo, dall’episcopato del cardinale Michael von Faulhaber fino a quello dell’attuale cardinale Reinhard Marx. Benedetto XVI ha risposto con 82 pagine, dopo aver potuto esaminare in parte la documentazione degli archivi diocesani. Com’era prevedibile, sono stati i quattro anni e mezzo trascorsi da Ratzinger alla guida della diocesi bavarese a monopolizzare l’attenzione dei commenti.

Alcune delle accuse erano già note da più di dieci anni ed erano già state pubblicate da importanti media internazionali. I casi contestati oggi a Ratzinger sono quattro, e il suo segretario particolare, monsignor Georg Gänswein, ha annunciato che il Papa emerito rilascerà una dichiarazione dettagliata dopo aver terminato l’esame del rapporto. Nel frattempo però si può ripetere con forza la condanna di questi crimini sempre ribadita da Benedetto XVI e ripercorrere quanto è stato fatto negli ultimi anni nella Chiesa a partire dal suo pontificato.

L’abuso sui minori è un delitto tremendo. L’abuso commesso sui minori dai chierici è un delitto possibilmente ancora più rivoltante e questo è stato ripetuto dagli ultimi due Papi senza mai stancarsi: grida vendetta al cospetto di Dio che i piccoli subiscano violenza da parte di sacerdoti o religiosi ai quali i genitori li affidano perché siano educati alla fede. È inaccettabile che si ritrovino ad essere vittime di predatori sessuali nascosti dietro l’abito ecclesiastico. Le parole più eloquenti, su questo, rimangono quelle pronunciate da Gesù: chi scandalizza i piccoli farebbe meglio a legarsi al collo una macina di pietra, e gettarsi in mare.

Non si può dimenticare che Ratzinger, il quale già da prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede aveva combattuto il fenomeno nell’ultima fase del pontificato di san Giovanni Paolo II di cui era stato stretto collaboratore, una volta diventato Papa ha promulgato norme durissime contro gli abusatori clericali, vere e proprie leggi speciali per contrastare la pedofilia. Inoltre, Benedetto XVI ha testimoniato, con il suo esempio concreto, l’urgenza di quel cambiamento di mentalità così importante per contrastare il fenomeno degli abusi: l’ascolto e la vicinanza alle vittime a cui va sempre chiesto perdono. Per troppo tempo i bambini abusati e i loro parenti, invece di essere considerate persone ferite da accogliere e accompagnare con percorsi di guarigione, sono state tenute a distanza. Spesso purtroppo sono state allontanate e persino additate come “nemiche” della Chiesa e del suo buon nome.

È stato proprio Joseph Ratzinger il primo Papa ad incontrare più volte le vittime di abuso durante i suoi viaggi apostolici. È stato Benedetto XVI, anche contro l’opinione di tanti sedicenti “ratzingeriani”, a proporre, nel mezzo della bufera degli scandali in Irlanda e in Germania, il volto di una Chiesa penitenziale, che si umilia nel chiedere perdono, che prova sgomento, rimorso, dolore, compassione e vicinanza.

Proprio in questa immagine penitenziale sta il cuore del messaggio di Benedetto. La Chiesa non è un’azienda, non si salva soltanto con le buone pratiche o con l’applicazione, seppure indispensabile, di norme severe ed efficaci. La Chiesa ha bisogno di chiedere perdono, aiuto e salvezza all’Unico che può darli, a quel Crocifisso che è sempre stato dalla parte delle vittime e mai dei carnefici.

Con estrema lucidità, sul volo che lo portava a Lisbona, nel maggio 2010, Benedetto XVI riconobbe che “le sofferenze della Chiesa vengono proprio dall’interno della Chiesa, dal peccato che esiste nella Chiesa. Anche questo si è sempre saputo, ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa e che la Chiesa quindi ha profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia”. Parole precedute e seguite da fatti concreti nella lotta alla piaga della pedofilia clericale. Tutto questo non può essere né dimenticato né cancellato.

Le ricostruzioni contenute nel rapporto di Monaco, che – va ricordato – non è un’inchiesta giudiziaria né tantomeno una sentenza definitiva, aiuteranno a combattere la pedofilia nella Chiesa se non verranno ridotte alla ricerca di facili capri espiatori e di giudizi sommari. Solo evitando questi rischi potranno contribuire a una ricerca della giustizia nella verità e a un esame di coscienza collettivo sugli errori del passato.