Il Presepe nell’arte, testimonianza della fede nei secoli

Vatican News

Paolo Ondarza – Città del Vaticano 

Teologia, fonti letterarie ufficiali e devozionali, tradizioni religiose e popolari: elementi che convergono nelle innumerevoli rappresentazioni artistiche del Natale. L’evento storico del Verbo fatto carne, mistero cruciale nella storia, ha sollecitato in forme sempre diverse la creatività dell’animo umano.

Fede e spiritualità

Contemplando i capolavori di ogni epoca presi in esame nel volume “Il Presepe nell’arte. Viaggio nell’iconografia della Natività”, scritto da Rosa Giorgi, direttrice del Museo dei Cappuccini di Milano (Edizioni Terra Santa), ci si sofferma su particolari spesso ritenuti marginali, ma che invece svelano la fede e la spiritualità dell’uomo lungo il tempo.

Dai primi secoli ad oggi

Dal Sarcofago di Stilicone della Basilica di Sant’Ambrogio, prima rappresentazione della Natività risalente al IV secolo, passando per gli affreschi bizantini di Castelseprio nella chiesa di Santa Maria Foris Portas, per giungere al calore intimo e raccolto di Gerrit van Honthorst; dall’equilibrio rinascimentale alla poesia ottocentesca di Gaetano Previati, fino alle sperimentazioni futuristiche di Gerardo Dottori.

I Vangeli apocrifi

Se i Vangeli canonici costituiscono l’essenziale, la base da cui traggono ispirazione tutti gli artisti, bisogna però guardare ai testi apocrifi per rintracciare gli elementi più curiosi che popolano tele, pale d’altare e affreschi dedicati al Presepe. “Nel descrivere per immagini la Nascita del Salvatore – spiega Rosa Giorgi a Vatican News – il testo del Vangelo è asciutto. Gli apocrifi furono esclusi dal canone perché annebbiavano l’essenzialità del messaggio evangelico”.

Ascolta l’intervista a Rosa Giorgi

Le levatrici, il bue e l’asino

Tuttavia arricchendo il racconto con molti dettagli di contorno, qualcuno direbbe “pettegolezzi”, gli apocrifi hanno anche contribuito a renderlo più vicino a noi. Ecco perché in molte opere compaiono ad esempio le levatrici. La presenza di queste ultime al momento del parto era da escludere secondo pareri autorevoli come quello di san Girolamo. Diverso il discorso per quanto riguarda le figure del bue e dell’asino: “Questi animali – precisa la storica dell’arte – sono citati nell’Antico Testamento e vengono interpretati simbolicamente come figureazione del popolo degli ebrei e del popolo dei gentili”.

Gesù nasce in ogni tempo e luogo

Impossibile prescindere dal contesto geografico in cui nasce l’opera d’arte. “Uno degli elementi più interessanti – aggiunge – è scoprire come questi dipinti dedicati alla Natività, siano stati realizzati a misura della comunità che ne doveva fruire. Sono spesso ambientati infatti nell’epoca in cui l’artista le ha dipinte”. In questo modo l’evento storico dell’Incarnazione si riattualizza e i personaggi che ne sono stati testimoni non a caso vestono secondo la moda del tempo. “È il caso dei pastori che indossano le moffole o guanti da neve, nella Natività dipinta ad olio su tavola dal Maestro di Flemalle nella prima metà del XV secolo; oppure viene a mente l’immaginaria Betlemme raffigurata da Pieter Brueghel il Vecchio come un villaggio innevato delle Fiandre con i laghetti ghiacciati. Sono elementi che non hanno nulla di storico, anacronismi che avevano lo scopo di rendere più comprensibile la comunicazione dell’evento sacro”.

La mangiatoia nel presepe. Il racconto della direttrice del Museo dei Cappuccini Rosa Giorgi

Il richiamo alla Passione

Significativa in alcuni dipinti dedicati alla Natività è anche la presenza di un crocifisso affisso all’interno della capanna: il rimando è teologico e conduce al senso ultimo dell’Incarnazione: la Passione e Resurrezione di Cristo. Indubbio merito dell’arte è quindi, con l’immediatezza del linguaggio figurativo, facilitare la conoscenza e la comprensione del testo sacro, ma anche svelare devozioni che si sono perse lungo la storia.

“L’arte può essere testimonianza della fede dei tempi. In ogni momento si è cercato di dar forma alla fede nella nascita del Salvatore, con modi, colori e oggetti diversi. Oggi non comprendiamo immediatamente che dietro il delicato gesto della Vergine Maria che alza il velo sopra il Bambino c’è un richiamo desunto dai testi dello pseudo Bonaventura : è quello relativo al velo usato per coprire Gesù quando venne spogliato prima di essere inchiodato sulla croce”.

La culla come un altare

Tra le tante immagini dense di simboli ed elementi apparentemente insoliti spiccano le miniature del Salterio di Ingeborg, realizzate nei primi decenni del XIII secolo. “Sono illustrazioni – chiarisce Rosa Giorgi – e quindi erano rivolte ad un pubblico colto, ad un ambito ristretto. Colpisce la culla: ha la forma di un altare, evidente riferimento all’Eucarestia; Altro elemento è, accanto a Maria rappresentata distesa come una puerpera, la figura di Giuseppe con la testa poggiata sulla mano: è pensieroso, dubbioso e siede su uno sgabello che ha le sembianze di un edificio”. L’ipotesi della direttrice del Museo dei Cappuccini è che possa alludere alla casata di Betlemme, alla città di Davide da cui ha origine la vita del Salvatore”.