Debora Donnini – Città del Vaticano
Distrazione, aridità, accidia. Si possono incontrare tante difficoltà nella preghiera. Bisogna “individuarle e superarle”. È la strada che indica il Papa nella catechesi all’udienza generale esortando a non scoraggiarsi di fronte all’alternarsi di tempi di consolazione e di aridità, ma a perseverare nella preghiera come ha fatto Giobbe che ha anche protestato sentendosi trattato ingiustamente. “Tante volte, anche protestare davanti a Dio è un modo di pregare”, nota il Papa, anche “arrabbiarsi” perché tante volte anche il figlio si arrabbia con il papà” e questo “è un modo di rapporto con il papà”.
Nella catechesi del mercoledì, ripresa dalla scorsa settimana nel Cortile di San Damaso in Vaticano e alla presenza dei fedeli, il Papa ricorda che tutti i santi sono passati per questa “valle oscura”. Non bisogna dunque scandalizzarsi se “leggendo i loro diari, ascoltiamo il resoconto di serate di preghiera svogliata, vissuta senza gusto”. Bisogna invece imparare a dire: “Anche se Tu, Dio mio, sembri far di tutto perché io smetta di credere in Te, io invece continuo a pregarti”. “I credenti – afferma – non spengono mai la preghiera!”,
Il vero progresso della vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nell’essere capaci di perseverare in tempi difficili: cammina, cammina, cammina … E se sei stanco, fermati un po’ e torna a camminare. Ma con perseveranza. Ricordiamo la parabola di San Francesco sulla perfetta letizia: non è nelle fortune infinite piovute dal Cielo che si misura la bravura di un frate, ma nel camminare con costanza, anche quando non si è riconosciuti, anche quando si è maltrattati, anche quando tutto ha perso il gusto degli inizi.
Il Papa esorta anche a non dimenticare la preghiera del “perché?”, che è quella che fanno i bambini quando incominciano a non capire le cose e gli psicologi la chiamano “l’età dei perché”.
Ma stiamo attenti: lui non ascolta la risposta del papà. Il papà incomincia a rispondere e lui arriva con un altro perché. Soltanto vuole attirare su di sé lo sguardo del papà; e quando noi ci arrabbiamo un po’ con Dio e incominciamo a dire dei perché, stiamo attirando il cuore di nostro Padre verso la nostra miseria, verso la nostra difficoltà, verso la nostra vita. Ma sì, abbiate il coraggio di dire a Dio: “Ma perché …?”. Perché a volte, arrabbiarsi un po’ fa bene, perché ci fa svegliare questo rapporto da figlio a Padre, da figlia a Padre, che noi dobbiamo avere con Dio.
A volte, poi, si può sperimentare il tempo dell’aridità che “può dipendere da noi stessi, ma anche da Dio, che permette certe situazioni della vita esteriore o interiore “o anche da dolori come un mal di testa che impedisce di entrare nella preghiera”. Per far comprendere “il pensiero-madre dell’aridità”, Francesco fa riferimento “al Venerdì Santo, alla notte e al Sabato Santo, tutta la giornata: Gesù non c’è, è nella tomba; Gesù è morto: siamo soli”.
I maestri spirituali descrivono, quindi, l’esperienza della fede come un continuo alternarsi di tempi di consolazione e di desolazione; momenti in cui tutto è facile, mentre altri sono segnati da una grande pesantezza. Il Papa sa che ci sono momenti in cui ci si sente “giù”, tanti giorni grigi
Ma il pericolo è avere il cuore grigio: quando questo “essere giù” arriva al cuore e lo ammala … e c’è gente che vive con il cuore grigio. Questo è terribile: non si può pregare, non si può sentire la consolazione con il cuore grigio! O non si può portare avanti un’aridità spirituale con il cuore grigio. Il cuore dev’essere aperto e luminoso, perché entri la luce del Signore. E se non entra, aspettarla con speranza. Ma non chiuderla nel grigio.
Nella catechesi Francesco affronta, dunque, alcune delle difficoltà che si possono incontrare nel cammino della preghiera. Il primo problema è la distrazione, quando un turbinio di immagini e illusioni in costante movimento ci accompagna. Questa immaginazione che gira, gira nella preghiera, santa Teresa la chiamava “la pazza della casa”, spiega il Papa a braccio esortando a “ingabbiarla” con l’attenzione. Non è bene dare seguito a questa “inclinazione scomposta”, avverte Francesco. Bisogna lottare per mantenere la concentrazione come tra l’altro è necessario fare anche per lavorare e studiare bene. Gli atleti, infatti, “sanno che le gare non si vincono solo con l’allenamento fisico ma anche con la disciplina mentale: soprattutto con la capacità di stare concentrati e di mantenere desta l’attenzione”. Le distrazioni vanno dunque combattute e la virtù della vigilanza è fondamentale. Gesù spesso richiama i discepoli al dovere di “una vita sobria, guidata dal pensiero che prima o poi Lui ritornerà” e loro “non si sono dispersi inseguendo ogni attrattiva che si affacciava alla loro mente”, ma hanno cercato di camminare sulla strada giusta, facendo bene il loro compito.