Cecilia Seppia – Città del Vaticano
Dopo altre dure settimane di restrizioni, chiusure e zone rosse, a causa della pandemia, Francesco torna ad affacciarsi alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico per la recita del Regina Coeli e la piazza lo accoglie con una gioia rinnovata. Lui stesso alla fine cammette di patire l’assenza della “piazza” e di essere contento per aver ritrovato questa vicinanza con la gente. La catechesi ruota attorno a tre verbi, che caratterizzano la pagina odierna del Vangelo, in cui si narra lo stupore dei discepoli di Emmaus e degli altri riuniti nel Cenacolo, quando Gesù appare loro salutandoli con “Pace a voi!”. Essi credono di vedere un fantasma ma Cristo mostra le sue ferite e dice: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi”. Poi per convincerli, chiede del cibo e lo mangia sotto i loro sguardi sbalorditi. D’altra parte, sottolinea il Pontefice, l’incontro con Cristo vivo stupisce sempre e sempre riempie di gioia.
Guardare l’altro, primo passo contro l’indifferenza
“Guardare, toccare e mangiare – afferma il Pontefice – sono le tre azioni che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo”, tre verbi di amore che mettono al riparo da tentazioni come l’indifferenza, la distanza da chi soffre, l’isolamento.
Guardare non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. Per questo è uno dei verbi dell’amore. La mamma e il papà guardano il loro bambino, gli innamorati si guardano a vicenda; il bravo medico guarda il paziente con attenzione… Guardare è un primo passo contro l’indifferenza, contro la tentazione di girare la faccia davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri.
L’amore chiede vicinanza
Il secondo verbo su cui il Papa si sofferma è “toccare”. Gesù, nel brano del Vangelo, invita infatti i discepoli a toccarlo per constatare di non avere di fronte un fantasma e lo stesso fa con noi, indicandoci che la relazione con Lui e con i fratelli “non può rimanere a distanza”.
Non esiste un cristianesimo a distanza. L’amore chiede la vicinanza, il contatto, la condivisione della vita. Il buon samaritano non si è limitato a guardare quell’uomo che ha trovato mezzo morto lungo la strada: si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e l’ha portato alla locanda. E così con Gesù stesso: amarlo significa entrare in una comunione vitale, concreta con Lui.
Essere cristiani non è una dottrina
Quanto al mangiare, che esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè nel bisogno fondamentale di nutrirsi, Francesco rimarca anche che tale azione, se fatta insieme, in famiglia o tra amici, diventa anche essa espressione di amore. Di esempi che ritraggono Gesù presente in questa dimensione conviviale ce ne sono molti nel Vangelo, al punto, afferma il Pontefice, che “il Convito eucaristico è diventato il segno emblematico della comunità cristiana”. Da qui, l’esortazione finale a tutti i cristiani a lasciarsi trasformare dall’amore di Cristo per poter amare e dunque guardare, toccare e nutrire gli altri come nostri fratelli e sorelle:
Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica ci dice che Gesù non è un “fantasma”, ma una Persona viva. Essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle.