Antonella Palermo – Città del Vaticano
E’ una invasione di palme e ramoscelli d’ulivo sul sagrato ventoso ma assolato di San Pietro, una invasione disarmata del desiderio di pace e di vita, di fronte alle paure in un mondo scosso dalla brutalità dell’eccidio, della sopraffazione, della morte. E’ la solennità del canto in coro che fa memoria dell’ingresso del Signore a Gerusalemme, in cui si scende nel mistero della passione e della consegna, si prova a sintonizzarsi su quel calvario di Gesù che ha capovolto ogni logica, ogni interesse. E’ l’apertura della Settimana Santa, che prelude alla luce della resurrezione, varco nel buio dei dolori dell’umanità, già ricapitolati in Cristo, colui che “non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”, che si è umiliato e Dio lo ha esaltato.
Cristo è crocifisso lì, oggi
Francesco non dimentica la guerra, lì – dice – Cristo è oggi crocifisso. Lo ripete nella corrente di preghiera intima e corale che attraversa una piazza gremita. La processione con le ‘palme fenix’ fornite dal movimento catecumenale si muove dal Braccio di Costantino. Tre diaconi leggono il “passio”, la piazza si fa composizione di luogo e tempo, torna a quella Gerusalemme che osannava il Messia. L’omelia di Papa Francesco che fa memoria della Passione di Cristo guarda ai ‘crocifissi’ della storia e a quelli della nostra contemporaneità. Le parole del pontefice in questa celebrazione della Domenica delle Palme non possono non farci guardare alla guerra, e ai ‘chiodi’ che essa infligge, rimettendo al centro la parola ‘perdono’, la sola capace di scardinare con l’amore il cuore dell’uomo.
Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio
Uno dei passaggi evidenti dove più è espicito il riferimento alle ‘morti ingiuste’ di questo tempo e di cui diventiamo anche a distanza testimoni è quello in cui Francesco commenta l’espressione evangelica ‘non sanno quello che fanno’:
Quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo oggi nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi.
“Salva te stesso”, il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore
Il Vangelo di oggi ci riporta sul Calvario dove – ricorda il Papa – si scontrarono due mentalità: quella di Gesù crocifisso e quella dei suoi crocifissori. Da un lato il ritornello “Salva te stesso”, ripetuto dai crocifissori, dai capi, dai soldati, da uno dei malfattori. Dall’altro, lo stile del figlio di Dio. Su quelle tre parole si scava il solco tra due atteggiamenti opposti: badare a se stessi, solo “ai propri interessi, all’avere, al potere e all’apparire”, oppure perdonare. Il Papa invita a riflettere su questa espressione biblica così cruciale e dice: “Salva te stesso: è il ritornello dell’umanità che ha crocifisso il Signore”.
Il Papa osserva che Gesù sul Golgota prende la parola tre volte, come i suoi oppositori, ma “in nessun caso rivendica qualcosa per sé; anzi, nemmeno difende o giustifica se stesso. Prega il Padre e offre misericordia al buon ladrone”, precisa.
Soffermiamoci su queste parole. Quando le dice il Signore? In un momento specifico: durante la crocifissione, quando sente i chiodi trafiggergli i polsi e i piedi. Proviamo a immaginare il dolore lancinante che ciò provocava. Lì, nel dolore fisico più acuto della passione, Cristo chiede perdono per chi lo sta trapassando. In quei momenti verrebbe solo da gridare tutta la propria rabbia e sofferenza; invece Gesù dice: Padre, perdona loro. Diversamente da altri martiri, di cui racconta la Bibbia (cfr 2 Mac 7,18-19), non rimprovera i carnefici e non minaccia castighi in nome di Dio, ma prega per i malvagi. Affisso al patibolo dell’umiliazione, aumenta l’intensità del dono, che diventa per-dono.
Gesù non ci divide in buoni e cattivi, siamo noi a farlo
Francesco approfondisce ancora lo stile di Gesù nelle provocazioni cui è sottoposto: “Egli soffre e ha un solo desiderio: poterci perdonare”.
Guardiamo il Crocifisso. È dalle sue piaghe, da quei fori di dolore provocati dai nostri chiodi che scaturisce il perdono. Guardiamo Gesù in croce e pensiamo che non abbiamo mai ricevuto parole più buone: Padre, perdona. Guardiamo Gesù in croce e vediamo che non abbiamo mai ricevuto uno sguardo più tenero e compassionevole. Guardiamo Gesù in croce e capiamo che non abbiamo mai ricevuto un abbraccio più amorevole. Guardiamo il Crocifisso e diciamo: “Grazie Gesù: mi ami e mi perdoni sempre, anche quando faccio fatica ad amarmi e perdonarmi”.
“Reagire ai chiodi della vita con l’amore”
Lì, mentre viene crocifisso, nel momento più doloroso, Gesù vive il suo comandamento più difficile: l’amore per i nemici. Il Papa invita a pensare a qualcuno che ci ha ferito, offeso, deluso; che ha mosso la nostra rabbia, che non ci ha compresi o non è stato di buon esempio. Tuttavia, questo riportare alla memoria non deve essere ossessivo – fa capire Francesco – o portare all’immobilismo di chi rimane a leccarsi le ferite. Bisogna reagire: “Spezzare il circolo vizioso del male e del rimpianto”, scandisce:
Reagire ai chiodi della vita con l’amore, ai colpi dell’odio con la carezza del perdono. Ma noi, discepoli di Gesù, seguiamo il Maestro o il nostro istinto rancoroso? E’ una domanda che dobbiamo farci. Seguiamo il Maestro o il nostro istinto rancoroso? Se vogliamo verificare la nostra appartenenza a Cristo, guardiamo a come ci comportiamo con chi ci ha feriti. Il Signore ci chiede di rispondere non come ci viene o come fanno tutti, ma come fa Lui con noi. Ci chiede di spezzare la catena del “ti voglio bene se mi vuoi bene; ti sono amico se sei mio amico; ti aiuto se tu mi aiuti”. No, compassione e misericordia per tutti, perché Dio vede in ciascuno un figlio. Non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Siamo noi che lo facciamo, facendolo soffrire. Per Lui siamo tutti figli amati, che desidera abbracciare e perdonare.
Non stanchiamoci del perdono di Dio
Qui il Papa si concede qualche parola a braccio ricordando come anche all’invito al banchetto di nozze, il Signore invita i suoi servi tutti, bianchi, neri, buoni e cattivi, sani e ammalati, tutti. E sottolinea che non ci sono privilegi se non che ognuno di noi è amato, perdonato. Papa Francesco insiste poi ancora sulla potenza instancabile del perdono di Dio che – dice – dobbiamo capire: “Non sopporta fino a un certo punto per poi cambiare idea, come siamo tentati di fare noi”. E il perdono, come ci viene donato, Gesù insegna a “predicarlo a tutti nel suo nome”:
Fratelli e sorelle, non stanchiamoci del perdono di Dio: noi preti di amministrarlo, ogni cristiano di riceverlo e di testimoniarlo. Non stanchiamoci del perdono di Dio.
E’ una frase che, come altre, Francesco dice due volte, che ripete: “Non stanchiamoci del perdono di Dio”. Il Papa fa anche notare che una sorta di paradosso: “Ma come? I suoi crocifissori avevano premeditato la sua uccisione, organizzato la sua cattura, i processi, e ora sono sul Calvario per assistere alla sua fine. Eppure Cristo giustifica quei violenti perché non sanno”.
Ecco come si comporta Gesù con noi: si fa nostro ‘avvocato’. Non si mette contro di noi, ma per noi contro il nostro peccato. Ed è interessante l’argomento che utilizza: ‘perché non sanno’. Quella ignoranza del cuore che abbiamo tutti noi peccatori.
La prima canonizzazione della storia
Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Francesco definisce “inaudita” questa frase e ricorda che “uno solo la accoglie. È un malfattore, crocifisso accanto a Gesù”.
Possiamo pensare che la misericordia di Cristo abbia suscitato in lui un’ultima speranza e l’abbia portato a pronunciare quelle parole: “Gesù, ricordati di me”. Come a dire: “Tutti si sono dimenticati di me, ma tu pensi pure a chi ti crocifigge. Con te, allora, c’è posto anche per me”. Il buon ladrone accoglie Dio mentre la vita sta per finire e così la sua vita inizia di nuovo; nell’inferno del mondo vede aprirsi il paradiso: “Oggi con me sarai nel paradiso”. Ecco il prodigio del perdono di Dio, che trasforma l’ultima richiesta di un condannato a morte nella prima canonizzazione della storia.
Con Dio si può sempre tornare a vivere
Papa Francesco apre così la Settimana Santa con l’invito – citando il Salmo 30 – ad “accogliere la certezza che Dio può perdonare ogni peccato, Dio perdona tutto, ogni distanza, mutare ogni pianto in danza”. In un tempo attraversato dal pianto e dall’incertezza sul futuro globale di questa umanità, ribadisce che c’è una certezza: “Con Gesù c’è sempre posto per ognuno; con Gesù non è mai finita, non è mai troppo tardi”.
Con Dio si può sempre tornare a vivere. Con Dio si può sempre tornare a vivere. Coraggio, camminiamo verso la Pasqua con il suo perdono. Perché Cristo continuamente intercede presso il Padre per noi, intercede presso il Padre per noi e, guardando il nostro mondo violento e ferito, non si stanca di ripetere, e noi lo facciamo adesso con il nostro cuore in silenzio: ‘Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno’.
E il silenzio ha riempito la piazza, il silenzio orante ha riempito i cuori.