Adriana Masotti – Città del Vaticano
Il Papa all’Angelus ha ricordato che l’8 febbraio, memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, si celebra la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. “Questa è una ferita profonda – ha affermato il Pontefice – inferta dalla ricerca vergognosa di interessi economici senza alcun rispetto per la persona umana. Tante ragazze – le vediamo sulle strade – che non sono libere, sono schiave dei trafficanti, che le mandano a lavorare e, se non portano i soldi, le picchiano. Oggi succede questo nelle nostre città. Pensiamoci sul serio”.
La forza della cura
“La forza della cura. Donne, economia e tratta di persone”, è il tema dell’ottava Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, affidata a Talitha Kum, la rete internazionale anti-tratta attiva dal 2009 e costituita da oltre 3 mila religiose di diversi Istituti e promossa dalle Unioni Internazionali delle Superiore e dei Superiori Generali, insieme a numerose organizzazioni di tutto il mondo. La riflessione riprende il tema della Giornata precedente quando si era cominciato a ragionare sulla connessione tra l’economia e il fenomeno della tratta di persone. L’edizione 2022 propone di mettere al centro della riflessione le donne. Sono loro, infatti, ad essere maggiormente colpite dalla violenza della tratta. Allo stesso tempo, le donne hanno un ruolo fondamentale nel processo di trasformazione dell’economia di sfruttamento in una economia della cura.
Le donne possono essere protagoniste del cambiamento
E’ noto ormai che la pandemia ha incrementato il business della tratta di persone, ha esacerbato le situazioni di vulnerabilità e ha acuito il dolore dei più fragili e in modo particolare delle donne, particolarmente penalizzate dal modello economico dominante, con l’aumento del divario tra uomini e donne. Di fronte al fallimento di un’economia basata sullo sfruttamento, sostiene Talitha Kum, le donne sono chiamate ad assumere un ruolo da protagoniste, agenti di cambiamento per realizzare un sistema economico fondato, invece, sulla cura delle persone e della casa comune, che coinvolga tutti.
Suor Gabriella Bottani, comboniana, per anni è stata in missione in Brasile. E’ coordinatrice di Talitha Kum e del Comitato di preparazione della Giornata. La sua è una lunga esperienza di contatto con tante donne vittime di sfruttamento, con il dolore di persone sradicate dalla propria terra, ingannate spesso da false promesse, alla ricerca di un futuro migliore per sè e per la propria famiglia, ma anche di avvenute liberazioni dalla schiavitù. Ai microfoni di Vatican News ci aiuta a capire il legame che c’è tra la cura, le donne, la tratta, l’economia.
Suor Gabriella Bottani, nel tema di questa Giornata: “La forza della cura. Donne, economia e tratta di persone”, tutte queste realtà sono viste nel loro insieme. Può spiegarci, intanto, il nesso che esiste tra tratta e economia?
Tutte queste parole messe così insieme, effettivamente danno l’idea di una situazione complessa: di fatto se ascoltiamo le storie di chi ha vissuto sulla propria pelle la tratta, diventa più facile comprenderne il nesso. Per esempio, la maggioranza delle persone che vengono reclutate e che cadono poi nelle maglie dei trafficanti, sono persone che sono alla ricerca di un lavoro, di un’opportunità per una vita migliore. Questo spesso avviene perché nei luoghi dove si trovano, queste opportunità non vengono offerte, queste possibilità non ci sono. Penso all’Africa subsahariana, penso alla realtà dell’America Latina dove la precarizzazione del lavoro, lo sfruttamento del lavoro, sono realtà molto diffuse. Lo stesso succede anche nei Paesi occidentali, cosiddetti sviluppati, dove questi fenomeni si espandono a macchia d’olio e fanno in modo che queste dinamiche di sfruttamento diventino fondamentali anche per sostenere un’economia che sta penalizzando sempre di più i poveri. Ecco questa è la dinamica economica che sta alla base dello sfruttamento e della tratta.
Se le donne e le bambine rappresentano il 72% delle vittime della tratta, la percentuale aumenta nel contesto della tratta per sfruttamento sessuale, un mercato che rappresenta i 2/3 dei profitti generati dallo sfruttamento. La prostituzione forzata è dunque un dramma che ancora colpisce le donne. Ma è stato fatto qualche passo avanti nella lotta a questo tipo di schiavitù, è cresciuta almeno la sensibilità tra la gente?
E’ un dramma che colpisce le donne e le bambine, un dramma che forza alla prostituzione per poter sopravvivere e poter mantenere la famiglia. Questa è un’immagine forte della violenza di un sistema che tiene le donne ancora in condizione di sottomissione, e questo non lo possiamo più tollerare perchè la bellezza del nostro essere donne deve essere assolutamente valorizzata e riconosciuta. Chiediamo che ci venga data veramente l’opportunità di crescere, di contribuire anche allo sviluppo della società e di poter vivere con dignità, quindi dobbiamo assolutamente impegnarci affinché cambino queste realtà. Si è fatto tanto per tentare di sensibilizzare e per portare questo tema a un dibattito più ampio nell’opinione pubblica, ma non è ancora sufficiente. Bisogna fare di più e credo che il lavoro di sensibilizzazione debba andare a toccare in profondità il tema della crisi delle relazioni, che porta poi allo sfruttamento, e che dobbiamo trasformare il nostro modo di pensare riflettendo su come costruire delle relazioni che siano di rispetto. Se non faremo questo non riusciremo a cambiare la realtà, per cui le proposte che vengono fatte – e che sono secondo me importanti come punire i clienti -, sono solo un primo passo a cui deve seguire tutto un lavoro di riflessione e di trasformazione delle relazioni tra uomo e donna e delle relazioni sociali per poter poi costruire un mondo diverso.
‘La forza della cura’ portata all’attenzione in questa Giornata è, secondo voi, l’unica strada percorribile per contrastare la tratta di persone e ogni forma di sfruttamento…
La pandemia ci ha fatto riscoprire il valore della cura che non è una cosa intimista, ma è un’azione rivoluzionaria, un’azione che trasforma il nostro relazionarsi gli uni con gli altri, trasforma la nostra relazione con l’ambiente, con la società. Prendersi cura e cioè dire: “mi interesso e quindi mi prendo cura”, è fondamentale. Sicuramente, come diverse volte ha detto anche Papa Francesco, non può essere solo l’interesse, il profitto, il guadagno finanziario a muovere tutta la macchina dell’economia mondiale, perché questo ci porta alla distruzione, non solo dell’umano, ma anche dell’ambiente, ma deve essere proprio questa cura. Creando il mondo, Dio se ne prende cura e noi siamo chiamati a contribuire a questa azione di Dio.
Quando si parla di cura mi viene in mente che le donne già sono le persone a cui la società, gli uomini, delegano da sempre l’assistenza delle persone, e questa attività di solito non non è riconosciuta. Sono ancora le donne ad occuparsi in prevalenza dei figli piccoli, di chi in casa è ammalato, dei genitori anziani… Qui si intende un’altra cosa, però, un cambio di mentalità…
Assolutamente sì, noi donne siamo state relegate alla cura dentro una mentalità di sfruttamento e di non riconoscimento del nostro lavoro. L’essere state messe ai margini ci ha permesso però di portare avanti delle riflessioni e ora possiamo proporre delle modalità di cura che non sono legate alla dinamica di annullamento e di sfruttamento. Qui si parla di prendersi cura gli uni degli altri nella valorizzazione, nella reciprocità, e siamo chiamati tutti insieme come umanità a prenderci cura, ad occuparci gli uni degli altri.
Tutti gli studi dicono che sono le donne che hanno pagato di più la crisi economica legata alla pandemia, la perdita del lavoro ecc.., ma anche che hanno sofferto di più per le condizioni di vita imposte dal Covid. Ma voi dite che le donne da vittime devono diventare agenti di cambiamento, che cosa significa?
Significa che non possiamo guardare alla donna come vittima, noi siamo vittimizzate da un sistema che ci relega in condizioni di maggiore vulnerabilità che vengono poi sfruttate. Cambiare lo sguardo e considerare le donne come una risorsa per quello che noi possiamo dare per il bene della società, della vita, è fondamentale e io credo che non possiamo più pensare alla donna come ad una vittima da proteggere, non è questo. Esistono diverse modalità e forme di forza, bisogna ridurre tutte quelle strutture che non ci permettono di poter esprimere il nostro potenziale in quanto donne. Io da anni coordino la rete mondiale delle suore impegnate contro la tratta e il nostro nome è bellissimo: Talitha Kum, che significa “alzati”. Fin dall’inizio ho capito che questo “alzati” è rivolto a ciascuna di noi ed è questa forza che viene dal di dentro e dall’incontro con Cristo. Ecco, il sogno che porto, e che poniamo in questa Giornata di preghiera, è che con questi occhi possiamo essere viste e con questi sguardi possiamo essere considerate per il valore che noi siamo.
Simbolo della tratta e del riscatto da essa è una suora sudanese, Josephina Bakhita, proclamata santa il 1º ottobre 2000 da san Giovanni Paolo II. Ci dice qualcosa di lei?
Santa Josephina Bakita è stata scelta già da diversi anni come patrona dell’anti-tratta e delle persone vittime della tratta, ma anche di chi è in questi percorsi di liberazione, da chi l’ha in qualche modo incontrata, l’ha conosciuta e da chi è impegnato in questo settore. E’ un qualcosa che nasce, dunque, dal basso e questo mi fa sentire Bakhita come una sorella nel cammino. La statua dell’artista Timothy Schmaltz “Let the oppressed go free”, che presentiamo in Piazza san Pietro al Santo Padre, mostra Bakhita che tiene aperta una botola dalla quale escono le vittime della tratta, le persone che sono trafficate nelle diverse forme e modalità di sfruttamento. Questa è Bakhita, una donna che con un gesto semplice ci incoraggia, ci dà forza e ci aiuta a rendere visibile questo crimine, ci sostiene in questo cammino e, soprattutto, ci è d’esempio con la forza della sua vita e dell’amore che lei ha sperimentato. Che questo amore veramente possa essere toccato e possa toccare ogni persona che soffre la violenza della tratta.