Il Papa: la polarizzazione non è cattolica, cerchiamo sempre l’armonia delle differenze

Vatican News

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Il 22 novembre scorso, cinque esponenti di America Magazine, la rivista fondata dai Gesuiti degli Stati Uniti nel 1909, hanno intervistato Papa Francesco nella sua residenza di Santa Marta in Vaticano. Si tratta di padre Matt Malone, direttore uscente; padre Sam Sawyer, direttore entrante; Kerry Weber, direttore esecutivo; Gerard O’Connell, corrispondente; Gloria Purvis, conduttrice del “Gloria Purvis Podcast”. Con il Papa hanno discusso una vasta gamma di argomenti, tra cui la polarizzazione nella Chiesa statunitense, il razzismo, la guerra in Ucraina, le relazioni del Vaticano con la Cina e il ruolo delle donne nella Chiesa. Il Papa ha parlato in spagnolo con l’assistenza di un traduttore. Di seguito pubblichiamo una nostra traduzione di ampi stralci dell’intervista.

Santo Padre, cos’è che la rende così gioioso e sereno nel suo ministero?

Quando sono con le persone sono felice, sempre. Una delle cose che più mi costa come Papa è non camminare per strada, con la gente, perché qui non si può uscire, è impossibile camminare per strada. Ma non voglio dire che sono felice perché sono in buona salute, o perché mangio bene, o perché dormo bene, o perché prego molto. Sono felice perché io mi sento felice, Dio mi rende felice. Non ho nulla da rimproverare nulla al Signore, anche quando mi succedono cose brutte. Nel corso della mia vita mi ha sempre guidato sul suo cammino, a volte in momenti difficili, ma c’è sempre la certezza di non camminare da soli. Io questa certezza. Non cammino da solo, Lui è accanto a me. Si hanno i propri difetti, anche i propri peccati: io mi confesso ogni 15 giorni.

Negli Stati Uniti abbiamo visto una polarizzazione sempre più profonda, non solo politica ma anche nella vita della Chiesa. Come può la Chiesa rispondere alla polarizzazione al suo interno e aiutare la società?

La polarizzazione non è cattolica. Un cattolico non può pensare aut-aut e ridurre tutto alla polarizzazione. L’essenza di ciò che è cattolico è et-et. Il cattolico unisce il bene e il non tanto bene. Il popolo di Dio è uno solo. Quando c’è polarizzazione, entra una mentalità divisiva che privilegia alcuni e lascia indietro altri. Il cattolico è sempre armonia delle differenze. Se guardiamo come agisce lo Spirito Santo, prima fa il disordine: pensiamo alla mattina di Pentecoste, al disordine che si è creato lì. E poi fa l’armonia. Lo Spirito Santo nella Chiesa non riduce tutto a un unico valore, ma crea l’armonia tra le differenze degli opposti. E questo è lo spirito cattolico. Più c’è armonia tra le differenze e gli opposti, più è cattolico. Più ci si polarizza, più si perde lo spirito cattolico e si cade in spiriti settari. Questo non è mio, ma lo ripeto: ciò che cattolico non è aut-aut, ma è et-et, sommando le differenze. Ed è così il modo cattolico di affrontare il peccato, che non è puritano. Santi e peccatori, i due uniti. È interessante a questo proposito cercare le radici di ciò che è nelle scelte fatte da Gesù. Gesù aveva quattro possibilità: essere fariseo o sadduceo, o essere esseno o zelota. Erano i quattro partiti, le quattro scelte dell’epoca. E Gesù non era né fariseo, né sadduceo, né esseno, né zelota. Era un’altra cosa. E se guardiamo le deviazioni nella storia della Chiesa, vedremo che sono sempre dalla parte dei farisei, dei sadducei, degli esseni o degli zeloti. Gesù ha superato tutto questo con una proposta che è quella delle beatitudini, che è un’altra cosa. Le tentazioni nella Chiesa sono sempre state quelle di seguire queste quattro strade. Negli Stati Uniti c’è un cattolicesimo che è proprio degli Stati Uniti, normale. Ma ci sono anche gruppi cattolici ideologici.

La maggioranza dei cattolici sembra aver perso fiducia nella capacità della Conferenza episcopale di offrire una guida morale. Come possono i vescovi riconquistare la fiducia dei cattolici americani?

La domanda è buona perché parla dei vescovi. Penso che sia fuorviante fare la relazione cattolici-Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale non è il pastore, il pastore è il vescovo. Così si corre il rischio di sminuire l’autorità del vescovo quando si guarda a una Conferenza episcopale. La Conferenza episcopale è per unire i vescovi, per lavorare uniti, discutere i problemi, fare piani pastorali. Ma ogni vescovo è il pastore. Non dissolviamo la potestà episcopale, riducendola alla potestà della Conferenza episcopale. Perché lì lottano le tendenze, più a destra, più a sinistra, più di qua, più di là, e in qualche modo non c’è una responsabilità in carne e ossa come quella del vescovo con il suo popolo, pastore, col suo popolo. Gesù non ha creato la Conferenza episcopale, Gesù ha creato i vescovi e ogni vescovo è il pastore del suo popolo. A questo proposito, ricordo un autore del V secolo che a mio parere ha scritto il miglior profilo di vescovo, ovvero Sant’Agostino nel suo trattato “De pastoribus”. Quindi la domanda è: qual è il rapporto di un vescovo con il suo popolo? E io mi permetto di citare un vescovo che non so se sia conservatore, se è progressista, se è di destra, se è di sinistra, ma è un ottimo pastore. (Mark) Seitz (vescovo di El Paso), al confine con il Messico, è un uomo che prende in mano tutte le contraddizioni di quel luogo e le porta avanti come pastore. Non dico che gli altri non siano bravi, ma questo è uno che conosco. Avete alcuni buoni vescovi che sono più di destra, alcuni buoni vescovi che sono più di sinistra, ma sono più vescovi che ideologi, sono più pastori che ideologi. E questo è il segreto. La risposta alla sua domanda è: la Conferenza episcopale può variare, è un’organizzazione per aiutare e unire, simbolo di unità. Ma la grazia di Gesù Cristo è nella relazione tra il vescovo e il suo popolo, la sua diocesi.

Santo Padre, l’aborto è una questione fortemente politicizzata negli Usa. I vescovi dovrebbero dare priorità all’aborto rispetto ad altre questioni di giustizia sociale?

Sull’aborto ti dico queste cose che ripeto ora. In qualsiasi libro di embriologia si dice che un poco prima del compimento del primo mese dal concepimento sono già delineati gli organi nel feto piccolino e il Dna. Prima che la madre se ne renda conto. Quindi è un essere umano vivo. Non dico una persona, perché si discute su questo, ma un essere umano. E mi faccio due domande. È giusto eliminare un essere umano per risolvere un problema? Seconda domanda: è giusto affittare un sicario per risolvere un problema? Il problema è quando questa realtà di uccidere un essere umano si trasforma in un problema politico. O quando un pastore della Chiesa entra in una categorizzazione politica. Ogni volta che un problema perde pastoralità, quel problema si trasforma in un problema politico. E diviene più politico che pastorale. Ossia di uno o di un altro partito. È universale. Quando vedo che un problema come questo, che è un crimine, acquista un’intensità fortemente politica, dico, lì manca pastoralità nel modo di affrontare quel problema. Sia in questo problema dell’aborto sia in altri problemi, non bisogna perdere di vista la pastoralità: un vescovo è un pastore, una diocesi è il santo popolo fedele di Dio con il suo pastore. Non possiamo trattarlo come se fosse una questione civile.

La domanda era se la Conferenza episcopale dovesse presentare la lotta contro l’aborto come il problema numero uno, mentre tutti gli altri sono secondari…

La mia risposta è: è un problema della Conferenza episcopale che si deve risolvere al suo interno. Quello che a me interessa è il rapporto del vescovo con il popolo, che è l’aspetto sacramentale. L’altro è quello organizzativo e le Conferenze episcopali a volte si sbagliano. Basta guardare la Seconda Guerra [mondiale], alcune scelte che qualche Conferenza episcopale ha fatto e si stava sbagliando da un punto di vista politico e sociale. A volte vince una maggioranza che forse non è quella che ha o meno ragione. Che sia chiaro: una Conferenza episcopale normalmente deve esprimere le sue opinioni su fede e consuetudini, ma soprattutto sull’organizzazione diocesana e cose simili. La parte sacramentale dell’ufficio pastorale consiste nella relazione tra il pastore e il popolo di Dio, tra il vescovo e il suo popolo. La conferenza aiuterà a fare corsi, è molto meritevole quello che fa, ma il pastore è più importante. Più che importante, direi essenziale, l’aspetto sacramentale. Chiaramente ogni vescovo deve cercare la fratellanza con gli altri vescovi, questo è importante. Ma l’essenziale è il rapporto con il suo popolo.

La crisi degli abusi sessuali ha danneggiato notevolmente la credibilità della Chiesa e il suo sforzo di evangelizzazione. Le recenti rivelazioni di abusi commessi da vescovi hanno aumentato le preoccupazioni sulla trasparenza. Cosa può fare il Vaticano per migliorare questo aspetto?

Un po’ di storia. Fino alla crisi di Boston, quando tutto è venuto fuori, nella Chiesa si operava cambiando di posto qualche autore di abusi, coprendo, è così che si fa nelle famiglie oggi. Il problema dell’abuso sessuale è gravissimo nella società. Quando ho avuto la riunione con i presidenti delle Conferenze episcopali due anni e mezzo fa, ho chiesto le statistiche ufficiali: il 42-46% degli abusi avvengono in famiglia o nel quartiere. Poi segue per numero il mondo dello sport e quello dell’istruzione, e il 3% sono sacerdoti cattolici. Uno potrebbe dire: “Meno male, sono pochi”. No, se fosse anche solo uno, è mostruoso. L’abuso di minori è tra le cose più mostruose. La consuetudine era quella che si usa ancora nelle famiglie o in qualche altra istituzione: coprire. La Chiesa ha fatto una scelta: non coprire. E da lì si è proceduto attraverso processi giudiziari e la creazione della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori. Lì è stato grande il cardinale O’Malley, di Boston, che ha avuto l’idea di istituzionalizzare tutto ciò all’interno della Chiesa. Quando la gente onesta vede come la Chiesa si fa carico di questa mostruosità, vede che una cosa è la Chiesa e un’altra sono gli autori di abusi che sono all’interno della Chiesa e che sono puniti dalla Chiesa stessa. Benedetto XVI è stato grande nel prendere queste decisioni. È un problema “nuovo”, tra virgolette, nella manifestazione, ma eterno, poiché esiste da sempre. Nel mondo pagano c’è sempre stato l’uso di minori per il piacere. Una delle cose che più mi preoccupano su questo è la pedo-pornografica: si filma dal vivo, in quale Paese si filma? Che cosa fanno le autorità di quel Paese che consentono ciò? È criminale, criminale. La Chiesa si fa carico del proprio peccato e andiamo avanti, peccatori, confidando nella misericordia di Dio. Quando viaggio, in genere ricevo una delegazione di vittime di abusi. Un aneddoto: quando ero in Irlanda mi hanno chiesto udienza delle persone vittime di abusi. Erano sei o sette e sono venute un po’ così (arrabbiate) all’inizio e avevano ragione. Ho detto loro: “Guardate, facciamo una cosa, domani devo dire l’omelia. Perché non la prepariamo insieme, su questo problema?”. E allora si è verificato un fatto bellissimo, perché quella che era semplicemente una protesta si è trasformata in qualcosa di positivo e tutti insieme hanno preparato con me l’omelia del giorno seguente. È stata una cosa positiva, in Irlanda, uno dei luoghi più “caldi” che ho dovuto affrontare. Che deve fare la Chiesa allora? Continuare ad andare avanti con serietà e senza vergogna.

La Chiesa degli Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti nella gestione degli abusi quando si tratta di sacerdoti. Tuttavia, sembra che ci sia meno trasparenza quando viene accusato un vescovo…

Sì e credo che qui occorra procedere con altrettanta trasparenza. Se c’è meno trasparenza, è un errore.

A proposito dell’Ucraina, molti negli Stati Uniti sono rimasti confusi dalla sua apparente riluttanza a criticare direttamente la Russia. Come spiegherebbe la sua posizione su questa guerra agli ucraini, agli americani e ad altri che sostengono l’Ucraina?

Quando parlo dell’Ucraina, parlo di un popolo martirizzato. Quando c’è un popolo martirizzato, c’è qualcuno che lo martirizza. Quando parlo dell’Ucraina parlo della crudeltà, perché ho molte informazioni sulla crudeltà delle truppe che entrano. Generalmente i più crudeli sono forse quelli che vengono dalla Russia, ma non dalla tradizione russa, come i ceceni, i buriati, e così via. Di certo, a invadere è lo Stato russo. È molto chiaro. A volte cerco di non specificare per non offendere e piuttosto condanno in generale, anche se è ben noto chi sto condannando. Ma non è necessario che io dica nome e cognome. Il secondo giorno della guerra sono andato all’ambasciata russa [presso la Santa Sede], un gesto insolito perché il papa non va mai a un’ambasciata. E lì ho detto all’ambasciatore di riferire a [Vladimir] Putin che ero disposto a viaggiare a condizione che mi concedesse una piccola finestra per negoziare. [Sergej] Lavrov, il ministro degli Esteri, ad alto livello, ha risposto con una lettera molto gentile, dalla quale ho capito che al momento non era necessario.

Ho parlato due volte al telefono con il presidente Zelensky. E in generale lavoro ricevendo elenchi di prigionieri, sia prigionieri civili sia prigionieri militari, e li faccio inviare al governo russo; e la risposta è sempre stata positiva. Ho anche pensato di viaggiare, ma ho deciso: se viaggio, vado a Mosca e a Kyiv, in entrambe, non solo in una. E non ho mai dato l’impressione di coprire l’aggressione. Qui, in questa sala ho ricevuto, tre o quattro volte, una delegazione del governo ucraino. E lavoriamo insieme. Perché non menziono Putin? Non è necessario; si sa già. Tuttavia, a volte le persone si attaccano a un dettaglio. Tutti conoscono la mia posizione, con Putin o senza Putin, senza menzionarlo. Alcuni cardinali si sono recati in Ucraina: il cardinale Czerny c’è stato due volte; [l’arcivescovo] Gallagher, che è responsabile dei Rapporti con gli Stati ha trascorso quattro giorni in Ucraina e ho ricevuto una relazione su ciò che ha visto; e il cardinale Krajewski è andato quattro volte. Va con il suo furgone pieno di cose e ha trascorso l’ultima Settimana Santa in Ucraina. Intendo dire che la presenza della Santa Sede con i cardinali è molto forte, e sono in continuo contatto con persone in posizioni di responsabilità. E vorrei menzionare che in questi giorni ricorre l’anniversario dell’Holodomor, il genocidio commesso da Stalin nei confronti degli ucraini (nel 1932-1933). Ritengo che sia giusto ricordare un precedente storico del conflitto [attuale]. La posizione della Santa Sede è quella di cercare pace e un’intesa. La diplomazia della Santa Sede si sta muovendo in questa direzione e, naturalmente, è sempre disponibile a mediare.

Un recente sondaggio ha mostrato che un gran numero di cattolici neri sta lasciando la Chiesa. Cosa direbbe ora ai cattolici neri negli Usa che hanno sperimentato il razzismo e allo stesso tempo una sordità all’interno della Chiesa per gli appelli alla giustizia razziale? 

Direi loro che sono vicino alla sofferenza che stanno vivendo, che è una sofferenza razziale. E [in questa situazione] sono i vescovi locali a dover essere loro particolarmente vicini. La Chiesa ha vescovi di discendenza afro-americana.

Come possiamo incoraggiare i cattolici neri a rimanere?

Ritengo che ad essere importante qui sia lo sviluppo pastorale, sia esso dei vescovi o dei laici, uno sviluppo pastorale maturo. Sì, vediamo la discriminazione e capisco che non vogliano andare (nella Chiesa). Talvolta in altri Paesi accade lo stesso in questo tipo di situazione. Ma ciò ha una storia molto antica, molto più antica della vostra storia [negli Usa], e non è stato risolto. I vescovi e gli operatori pastorali devono aiutare a risolverlo in modo evangelico. Direi ai cattolici afro-americani che il Papa è consapevole della loro sofferenza e che li ama tanto, e che devono resistere e non allontanarsi. Il razzismo è un peccato intollerabile contro Dio. La Chiesa, i pastori e i laici devono continuare a lottare per sradicarlo e per un mondo più giusto.

Colgo questa occasione per dire che amo tanto anche i popoli indigeni degli Stati Uniti. E non dimentico le persone di origine latinoamericana, che ormai lì sono tante.

Molte donne soffrono perché non possono essere ordinate sacerdote. Cosa direbbe a una donna che sta già servendo nella vita della Chiesa, ma che si sente ancora chiamata a essere sacerdote?

Questo è un problema di natura teologica. Credo che andiamo ad amputare l’essenza della Chiesa se consideriamo solo la via della dimensione ministeriale nella vita della Chiesa. La via non è solo quella del ministero [ordinato]. La Chiesa è donna, La Chiesa è una sposa. Noi non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. La dimensione ministeriale, possiamo dire, è quella della Chiesa petrina. Ora sto facendo riferimento a una determinata categoria di teologi. Il principio petrino è quello del ministero. Ma c’è un altro principio che è addirittura più importante, del quale non parliamo, ed è il principio mariano che è il principio del femminino nella Chiesa, della donna nella Chiesa, nel quale la Chiesa si vede rispecchiata perché essa è donna e sposa. Una Chiesa con il solo principio petrino sarebbe una Chiesa della quale si potrebbe pensare che sia ridotta alla sua dimensione ministeriale, nulla più. Invece, la Chiesa è molto più che un ministero. Essa è tutto il popolo di Dio. La Chiesa è donna, La Chiesa è sposa. Per questo, la dignità della donna è rispecchiata in questa via. E c’è poi una terza via: la via amministrativa. La via ministeriale, la via ecclesiale – diciamola così, mariana – e la via amministrativa, che non è una cosa teologica, è una cosa di amministrazione normale. E in questo campo credo che dobbiamo dare maggiore spazio alle donne. Qui in Vaticano, tutti i posti nei quali abbiamo messo le donne, funzionano meglio. Per esempio, nel Consiglio per l’Economia ci sono sei cardinali e sei laici. Due anni fa, tra quei sei laici ho nominato cinque donne, ed è stata una rivoluzione. La vice-governatrice del Vaticano è una donna. Quando una donna entra in politica o gestisce cose, generalmente fa meglio. Molti economisti sono donne, e quelle donne stanno rinnovando l’economia in maniera costruttiva. Quindi, ci sono tre principi, due di natura teologica e uno di natura amministrativa. Il principio petrino, che è la dimensione ministeriale, ma la Chiesa non può funzionare solo con quello. Il principio mariano, che è quello della Chiesa sponsale, della Chiesa in quanto sposa, della Chiesa in quando donna. E poi c’è il principio amministrativo che non è teologico ma è quello dell’amministrazione, di quello che uno fa. E perché una donna non può entrare nel ministero ordinato? Perché il principio petrino non prevede uno spazio per questo. Sì, è vero, dobbiamo essere nel principio mariano, che è più importante. La donna è di più, ella assomiglia di più alla Chiesa che è sposa e madre. Credo che troppo spesso abbiamo mancato nelle nostre catechesi quando abbiamo spiegato questi aspetti. Ci siamo appoggiati troppo sul principio amministrativo per spiegarlo, che a lungo termine non funziona. Questa è una spiegazione molto sintetica, ma quello che volevo era sottolineare i due principi teologici: il principio petrino e quello mariano, che sono quelli che fanno la Chiesa. In questo senso, il fatto che la donna non entri nella vita ministeriale non è una deprivazione: no. Il posto (della donna) è un posto molto più importante ed è una posizione che dobbiamo ancora sviluppare (in una catechesi) sulla donna nella via del principio mariano. E a proposito di questo, sul carisma delle donne, permettetemi (di condividere) un’esperienza personale. Quando si va a ordinare un sacerdote, si chiedono informazioni da persone che conoscono il candidato. Le migliori informazioni che io abbia ricevuto, le informazioni più corrette, le ricevevo dal mio fratello (vescovo) coadiutore, dai miei fratelli laici che non sono sacerdoti o dalle donne. Loro hanno fiuto! Un fiuto ecclesiale per capire se quest’uomo è o non è adatto al sacerdozio. Altro aneddoto: una volta ho chiesto un’informazione su un candidato al sacerdozio, davvero brillante. Ho chiesto ai suoi professori, compagni di studio e anche dalle persone della parrocchia che lui frequentava. E mi è arrivata una relazione negativa, scritta da una donna, che diceva: “È un pericolo, questo giovane non funzionerà!”. Allora l’ho chiamata e le ho chiesto: “Perché dice così?”. Lei mi rispose: “Non lo so perché, ma se fosse mio figlio non permetterei che fosse ordinato: gli manca un qualcosa …”. Ho seguito il suo suggerimento e ho detto al candidato: “Guarda, non sarai ordinato quest’anno: aspettiamo un po’, ancora …”. Tre mesi dopo il giovane ha avuto una crisi e ha lasciato. Quella donna è una madre e vede il mistero della Chiesa in maniera molto più chiara di quanto facciamo noi uomini. Per questo, il consiglio di una donna è molto importante, e la decisione di una donna è migliore.

Negli Stati Uniti c’è chi interpreta le sue critiche al capitalismo di mercato come critiche agli Stati Uniti. C’è chi la definisce un socialista, un comunista, un marxista. Avete già detto molte volte che lei segue il Vangelo. Ma come risponde a chi dice che ciò che lei o la Chiesa dite sull’economia non è importante?

Mi chiedo sempre: ma da dove vengono queste etichette? Per esempio, quando siamo tornati dall’Irlanda, sull’aereo, è scoppiata la lettera di un prelato americano che diceva di me di tutto e di più. Io cerco di seguire il Vangelo. Mi illuminano molto le Beatitudini, ma soprattutto il protocollo su cui saremo giudicati: Matteo 25. “Ho avuto sete e mi avete dato da bere. Ero in prigione, e mi avete visitato. Ero malato e mi avete curato”. Questo significa, allora, che Gesù era comunista? Il problema che è dietro a tutto questo – e che lei ha individuato correttamente – è la riduzione del messaggio evangelico a un fatto socio-politico. Se io considero il Vangelo unicamente in maniera sociologica, allora sì, è vero, sono comunista e lo è anche Gesù. Dietro alle Beatitudini, però, e a Matteo 25, c’è un messaggio che è quello di Gesù. E che è quello di essere cristiani. I comunisti hanno rubato alcuni dei valori cristiani [ridono]. Altri ne hanno fatto un disastro …

Le è stato criticato per aver firmato un accordo con la Cina sulla nomina dei vescovi. Alcune persone nella Chiesa e nella politica dicono che sta pagando un prezzo alto per aver mantenuto il silenzio sui diritti umani in Cina…

Non è una questione di parlare o di tacere. Non è questa la realtà. La realtà è dialogare o non dialogare. E il dialogo si conduce fino al punto dove è possibile farlo. Per me, l’esempio più alto nel periodo moderno della Chiesa è il cardinale Casaroli. C’è un libro che si chiama Il martirio della pazienza ed è tutto incentrato sul lavoro che ha fatto nell’Europa dell’Est. I Papi – e intendo Paolo VI e Giovanni XXIII – lo inviarono soprattutto nei Paesi dell’Europa centrale per cercare di ri-stabilire le relazioni nel periodo del comunismo, durante la Guerra fredda. E quest’uomo ha dialogato con i governi, lentamente, facendo quel che poteva, e lentamente è riuscito a ri-stabilire la gerarchia cattolica, in quei Paesi. Per esempio – mi viene in mente questo caso – non sempre era possibile nominare la persona migliore come arcivescovo nella capitale, quanto piuttosto quella che era possibile nominare in accordo con il governo … Il dialogo è la strada della migliore diplomazia. Con la Cina io ho optato per la via del dialogo. È lenta, ha dei contraccolpi, ha anche successi, ma io non trovo un’altra via. E voglio sottolineare questo: il popolo cinese è un popolo con grande saggezza e merita il mio rispetto e la mia ammirazione. Davanti a loro, tanto di cappello! Per questo cerco di dialogare, perché non stiamo andando a conquistare un popolo, no! Lì ci sono dei cristiani. Hanno bisogno della nostra attenzione in modo che possano essere bravi cinesi e bravi cristiani. C’è un’altra bella storia di come la Chiesa svolge il suo apostolato, ed è riferita all’ultimo incontro tra il cardinale Casaroli e Giovanni XXIII. Era andato a relazionare su come procedessero i negoziati in quei Paesi. Nel fine settimana, Casaroli andava a trovare i ragazzi rinchiusi nel carcere minorile di Casal del Marmo. Nel corso dell’incontro con Giovanni XXIII, parlarono dei problemi di questo e di quel Paese. C’erano da prendere decisioni importanti, per esempio come fare arrivare [il cardinale József] Mindszenty a Roma: all’epoca, viveva nell’ambasciata americana a Budapest. Era un grosso problema, una decisione importante, ma Casaroli aveva preparato (il trasferimento). E quando stava per andare via, Giovanni XXIII gli chiese: “Eminenza, una cosa minore: Lei continua ad andare nel fine settimana in quella prigione minorile?”. “Sì” [rispose Casaroli]. “Porti loro i miei saluti e non li abbandoni!”. Nel cuore di questi due grandi uomini, era importante andare nelle prigioni a visitare i giovani tanto quanto era importante stabilire relazioni con Praga, Budapest o Vienna. Questi sono i grandi. Queste sono le cose che danno un quadro completo delle persone.

È Papa da 10 anni, se si guarda indietro, ci sono tre cose che avrebbe fatto diversamente o che rimpiange?

All! All! (risponde in inglese, e ride). Tutto avrei fatto in maniera diversa. Però, ho fatto quello che lo Spirito Santo mi diceva di fare. E quando non l’ho fatto, ho sbagliato.