Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Guarigione. È questa la parola centrale della quinta domenica del Tempo ordinario, in cui Francesco torna a salutare i fedeli in Piazza San Pietro dalla finestra del suo studio, dopo un mese di diretta streaming dall’interno della Biblioteca del Palazzo Apostolico, per le restrizioni imposte dalla pandemia.”Un’altra volta in Piazza!” è il suo saluto ai fedeli che lo attendono sotto una leggera pioggia e lo salutano con affetto.
La guarigione che racconta la liturgia di oggi è quella attesa da chi soffre, quella a cui anela il grido di Giobbe della Prima Lettura, quella che racconta il Vangelo di Marco delle folle di malati e indemoniati che seguono Gesù in tutta a Galilea. Ed è anche quella di cui ha bisogno l’umanità di oggi riscopertasi “fragile” di fronte ad una pandemia che sta causando milioni di vittime.
Lasciarsi guarire e mettersi al servizio
Tutto comincia dalla casa di Simone e dalla guarigione di sua suocera a letto con la febbre, un racconto da cui il Papa fa emergere la “dolcezza” del gesto risanante di Gesù e il suo potere:
“Si avvicinò, la fece alzare prendendola per mano”, annota l’Evangelista. C’è tanta dolcezza in questo semplice atto, che sembra quasi naturale: “La febbre la lasciò ed ella li serviva”. Il potere risanante di Gesù non incontra alcuna resistenza; e la persona guarita riprende la sua vita normale, pensando subito agli altri e non a sé stessa – e questo è significativo, è segno di vera “salute”!
La predilezione per i sofferenti appartiene alla Chiesa
Dopo questa prima guarigione, al tramonto del sabato, ecco che la gente si affolla fuori la porta di Gesù portandogli tutti i malati e gli indemoniati, “persone sofferenti nel corpo e nello spirito”, i “prediletti”, che Gesù affida anche ai discepoli perché non siano solo testimoni oculari ma siano coinvolti e “inviati” nel mondo “col potere di guarire” e “scacciare i demoni”:
E questo è importante. Prendersi cura dei malati di ogni genere non è per la Chiesa “attività opzionale”, no! Non è una cosa accessoria, no. Prendersi cura dei malati di ogni genere fa parte integrante della missione della Chiesa, come lo era di quella di Gesù. E questa missione è portare la tenerezza di Dio all’umanità sofferente.
Vicinanza, tenerezza e compassione
È questa la risposta cristiana alla sofferenza: non una “spiegazione” ma una “presenza d’amore”. Ce lo ricorderà – afferma il Papa – tra pochi giorni, l’11 febbraio, la Giornata mondiale del Malato. Ma anche “la realtà che stiamo vivendo in tutto il mondo a causa della pandemia – sottolinea il Papa – rende particolarmente attuale questo messaggio”, “questa missione essenziale della Chiesa”, e ci mette davanti alla nostra condizione umana, “così alta nella dignità e nello stesso tempo così fragile”. Gesù dunque risponde alla sofferenza con una ” presenza d’amore che si china, che prende per mano e fa rialzare, come ha fatto con la suocera di Pietro”:
Chinarsi per far rialzare l’altro. Non dimentichiamo che l’unica forma lecita, l’unico modo lecito di guardare una persona dall’alto in basso è quando tu tendi la mano per aiutarla a sollevarsi. L’unica. E questa è la missione che Gesù ha affidato alla Chiesa. Il Figlio di Dio manifesta la sua Signoria non “dall’alto in basso”, non a distanza, ma inchinandosi, tendendo la mano; manifesta la sua Signoria nella vicinanza, nella tenerezza, e nella compassione. Vicinanza, tenerezza, compassione, sono lo stile di Dio. Dio si fa vicino e si fa vicino con tenerezza e con compassione. Quante volte nel Vangelo leggiamo davanti ad un problema di saluto o qualsiasi problema: “ne ebbe compassione”. La compassione di Gesù, la vicinanza di Dio in Gesù è lo stile di Dio.
Da Dio traiamo la forza per essere testimoni
Ma non ci può essere compassione senza un’ “intima relazione con il Padre”. Anche questo ci insegna il Vangelo di oggi:
Prima dell’alba e dopo il tramonto, Gesù si appartava e rimaneva da solo a pregare. Da lì attingeva la forza per compiere il suo ministero, predicando e operando guarigioni. La Vergine Santa ci aiuti a lasciarci guarire da Gesù – ne abbiamo sempre bisogno, tutti – per poter essere a nostra volta testimoni della tenerezza risanatrice di Dio.