Antonella Palermo – Città del Vaticano
In occasione della sessione plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina, Papa Francesco in un video messaggio torna a parlare di “comunione” e “partecipazione”, categorie chiave per la comprensione e l’attuazione di quella che fu già la III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, a Puebla, così come il concetto di “conversione pastorale” fu centro della IV Conferenza generale di Santo Domingo e della V Conferenza generale di Aparecida. Il cuore del suo discorso è il percorso sinodale che – precisa Bergoglio – non è nuovo, in realtà: si tratta tuttavia di dare nuovo impulso dando ascolto e spazio allo Spirito Santo.
Reimparare a camminare insieme, nel solco del Concilio
Francesco riconosce che il percorso sinodale della Chiesa delle origini è venuto meno nella Chiesa latina mentre è stato conservato dalle Chiese orientali. È stato San Paolo VI a rimetterlo in moto alla fine del Concilio con la creazione del Segretariato per il Sinodo dei Vescovi. Ora, il Papa usa l’immagine del bambino che compie piccoli, timidi e talvolta anche maldestri passi pur di imparare a camminare. È la facoltà che è necessario acquisire nuovamente – dice – scoprendo da un lato la nostra piccolezza, dall’altro che l’occasione è il tempo opportuno (il grande Kairos) da sfruttare per una piena “conversione personale e pastorale”, aspetto questo che rimane – sottolinea – uno dei leitmotiv. L’importante – precisa Francesco – è lasciare spazio al soffio dello Spirito, senza avere la presunzione di sapere tutto prima: è infatti per il pontefice il più grande pericolo.
Avere un “pensiero incompleto” facilita l’azione dello Spirito
Papa Francesco dichiara a chiare lettere di essere “allergico al pensiero completo e chiuso”. Lo fa citando un episodio che rimanda all’inizio della Teologia della Liberazione quando – dice – l’analisi marxista, alla quale il Papa e il Generale dei Gesuiti reagirono molto duramente all’epoca, subì una ideologizzazione di quello che è “un percorso tellurico latinoamericano. E dico tellurico – aggiunge – perché la spiritualità latinoamericana è legata alla terra e non può essere separata da essa”. Francesco si dice convinto che la Chiesa in America Latina e nei Caraibi “ha fatto strada”, quella strada che lo Spirito costruisce quando “il nostro pensiero è incompleto, quando è completo non funziona”.
Aprirsi allo Spirito Santo che muove e innova, crea armonia
Senza questa apertura allo Spirito, “il dono non ci educa perché non può entrare nel cuore”. Perché esso non si impone ma vuole entrare con dolcezza. L’invito del Papa è a far agire questo dono che è imprevedibile e ci sorprende sempre, gratuito e immeritato. Guardando alla Pentecoste, il Papa avverte che non si tratta di un evento confinato al passato, poiché lo Spirito (il “Grande Sconosciuto”) è sempre contemporaneo. Quando per ‘conoscenza chiusa’ o per ambizione pensiamo di dominare tutto – sottolinea ancora – cadiamo facilmente nella tentazione del controllo totale, di occupare spazi, di raggiungere la rilevanza superficiale di chi vuole essere il protagonista centrale come in un telefilm. Invece bisogna aprire processi. Francesco ammette che all’inizio lo Spirito crea “un certo disordine” e, a questo proposito, suggerisce di immaginare ciò che accadde la mattina di Pentecoste quando i testimoni arrivarono a pensare di trovarsi tra ubriachi. Ma poi, qui cita San Basilio, “è armonia”.
La sinodalità non è una moda organizzativa
Il Papa mette in luce anche la dimensione eucaristica alla base di una autentica sinodalità. Senza questa matrice, la nostra partecipazione sarebbe quella di “un mero parlamentarismo”, mentre si tratta di “un gesto di comunione ecclesiale che cerca di mettersi in moto. Tutti i battezzati sono synodoi, amici che accompagnano il Signore nel suo viaggio”. La sinodalità “non è una moda organizzativa o un progetto di reinvenzione umana del popolo di Dio – afferma ancora il Papa – è la dimensione dinamica e storica della comunione ecclesiale fondata sulla comunione trinitaria che, apprezzando contemporaneamente il sensus fidei di tutto il popolo santo di Dio, la collegialità apostolica e l’unità con il Successore di Pietro, deve animare la conversione e la riforma della Chiesa ad ogni livello”.
La Chiesa non è una dogana che controlla
Da queste premesse e puntualizzazioni, emerge l’invito affiché la Commissione per l’America Latina – continente a cui il Papa argentino guarda con particolare affetto e attenzione – sia una diaconia che aiuta i vari dicasteri ad agire in modo sinergico e a comprendere meglio la realtà sociale ed ecclesiale della regione. Non va intesa come una “dogana che controlla. Cose dell’America Latina o della dimensione ispanica di Canada e Stati Uniti, no”. Deve invece favorire la peculiare identità e fraternità che le nazioni dell’America Latina vivono.
Guardiamoci dal clericalismo e dal protagonismo personale
Tornando allo Spirito Santo, è lui che deve essere il protagonista – scandisce Francesco – non noi. Nel quadro della riforma della Curia, il Papa auspica che l’organismo della CAL generi “nuove dinamiche e a disinstallare alcuni dei nostri usi e costumi clericali”. Ricorda che il clericalismo è una perversione “quietista”. “La comunione senza sinodalità – insiste – può facilmente prestarsi a una certa fissità e centralismo indesiderati”. E arriva a dire: “La sinodalità senza comunione può diventare populismo ecclesiastico”. Invita, infine, a vivere con più intensità la comunione ecclesiale nella diversità di carismi, vocazioni e ministeri, guardandosi dai protagonismi individualistici, per impegnarsi a “favorire processi che permettano al popolo di Dio, che cammina nella storia, di partecipare di più e meglio alla responsabilità comune che tutti abbiamo di essere Chiesa”. Perché – conclude – “siamo tutti popolo di Dio. Siamo tutti discepoli chiamati a imparare e a seguire il Signore. Siamo tutti corresponsabili del bene comune e della santità della Chiesa”.