Il Papa incontra le vittime dell’Est: ”Basta violenze e massacri. Rispettare ogni donna”

Vatican News

Francesco riceve nella Nunziatura di Kinshasa un gruppo di persone venute dalla parte orientale del Paese, dove “l’insicurezza e la guerra sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne e interne”. L’appello a chi tira i fili dei conflitti: “Basta arricchirsi sulla pelle dei deboli con soldi sporchi di sangue”. Il Pontefice ricorda l’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso nel Nord Kiwu nel 2021: “Era un seminatore di pace”

Salvatore Cernuzio – Inviato a Kinshasa

“Il mio cuore è oggi nell’Est di questo immenso Paese. La gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare! Basta! Basta arricchirsi sulla pelle dei più deboli, basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!

Dal salone della Nunziatura di Kinshasa, in uno degli incontri più intimi e, al contempo, più significativi dell’intero viaggio nella Repubblica Democratica del Congo, Francesco eleva un appello vigoroso contro le violenze che lacerano la vita della gente ad Est del Paese e che hanno ucciso anche persone innocenti che “servivano la pace”. Come l’ambasciatore Luca Attanasio, che il Papa cita insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, tutti assassinati due anni fa nell’Est del Paese.

Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto.

Il ricordo di Attanasio e l’appello a chi tira “i fili della guerra”

Francesco lo dice quasi con un sussurro. Invece alza la sua voce quando si rivolge direttamente coloro che “che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, depredandola, flagellandola e destabilizzandola”:

Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue, prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione, e a quella della vostra coscienza: fate tacere le armi, mettete fine alla guerra

Le testimonianze di abomini

Le vittime di quel fiume di odio, dettato da conflitti etnici e interessi economici, sono lì davanti ai suoi occhi. Vengono da Bunia, Beni-Butembo, Masisi, Rutshuru, Bukavu, Uvira e soprattutto Goma, tappa prevista nel programma del precedente viaggio in Repubblica Democratica del Congo fissato a luglio 2022, poi rimandato. Questioni di sicurezza hanno imposto la cancellazione della tappa, ma laddove il Papa non è potuto andare a Goma, Goma è andata dal Papa. E con lei, tutti gli altri luoghi di guerriglia e ribellione, incarnati da questo piccolo gruppo presente in Nunziatura che accolgono il Papa con un canto.

Al Papa viene mostrato un video che racconta gli abomini subiti, la scomparsa dei parenti e l’uccisione dei parenti. Ognuno poi condivide la propria testimonianza, leggendola da un foglio con il tono disincantato di chi ha subito il male, quello puro, gratuito, ma sta cercando ora di lasciarselo alle spalle. Le cicatrici rimangono: qualcuno le porta sul volto, altri dentro l’anima. Come una ragazza albina: in Africa finiscono in mezzo a torture, accuse e persecuzioni.

Gli strumenti dell’odio sotto la croce

Dopo ogni testimonianza, uno strumento dell’odio viene posto sotto il grande crocifisso in legno accanto alla sedia del Papa: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli, bastoni di legno. Seduto al centro del salone in stile coloniale della Nunziatura, circondato dai suoi ospiti, interrotto solo dal pianto di una bambina, Papa stigmatizza la “violenza disumana” che questa gente ha visto con i propri occhi e provato sulla pelle: “Si resta scioccati. E non ci sono parole; c’è solo da piangere, rimanendo in silenzio”.

“Il vostro dolore è il mio dolore”

Uno ad uno menziona le città dell’Est più colpite, quelle che “i media internazionali non menzionano quasi mai”. Quelle in cui “figli della stessa umanità, vengono presi in ostaggio dall’arbitrarietà del più forte, da chi tiene in mano le armi più potenti, armi che continuano a circolare”.

“Vi sono vicino”, assicura il Papa, “le vostre lacrime sono le mie lacrime, il vostro dolore è il mio dolore”.

A ogni famiglia in lutto o sfollata a causa di villaggi bruciati e altri crimini di guerra, ai sopravvissuti alle violenze sessuali, a ogni bambino e adulto ferito, dico: sono con voi, vorrei portarvi la carezza di Dio”

Una preghiera

Ed è in nome Dio che il Successore di Pietro condanna “le violenze armate, i massacri, gli stupri, la distruzione e l’occupazione di villaggi, il saccheggio di campi e di bestiame che continuano a essere perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo”. E pure “il sanguinoso, illegale sfruttamento della ricchezza di questo Paese, così come i tentativi di frammentarlo per poterlo gestire”.

Si dice pure sdegnato, il Papa, nel sapere “che l’insicurezza, la violenza e la guerra che tragicamente colpiscono tanta gente sono vergognosamente alimentate non solo da forze esterne, ma anche dall’interno, per trarne interessi e vantaggi”. Le sue parole diventano una preghiera:

Mi rivolgo al Padre che è nei cieli, il quale ci vuole tutti fratelli e sorelle in terra: umilmente abbasso il capo e, con il dolore nel cuore, gli chiedo perdono per la violenza dell’uomo sull’uomo. Padre, abbi pietà di noi. Consola le vittime e coloro che soffrono. Converti i cuori di chi compie crudeli atrocità, che gettano infamia sull’umanità intera! E apri gli occhi a coloro che li chiudono o si girano dall’altra parte davanti a questi abomini.

Insaziabile avidità di materie prime e di denaro

Sono “conflitti che costringono milioni di persone a lasciare le proprie case” e “provocano gravissime violazioni dei diritti umani, disintegrano il tessuto socio-economico, causano ferite difficili da rimarginare”, dice il Papa. Lotte di parte “in cui si intrecciano dinamiche etniche, territoriali e di gruppo; conflitti che hanno a che fare con la proprietà terriera, con l’assenza o la debolezza delle istituzioni, odi in cui si infiltra la blasfemia della violenza in nome di un falso dio”.

Ma è, soprattutto, la guerra scatenata da un’insaziabile avidità di materie prime e di denaro, che alimenta un’economia armata, la quale esige instabilità e corruzione. Che scandalo e che ipocrisia: la gente viene violentata e uccisa mentre gli affari che provocano violenze e morte continuano a prosperare!

No alla violenza

Due “no” e due “sì”, sono le strade che indica il Papa per ripartire. Anzitutto “no alla violenza, sempre e comunque, senza se e senza ma”. “L’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza”, dice il Papa. E insiste: “Predicare l’odio è una bestemmia, e l’odio sempre corrode il cuore dell’uomo”.  È un male che va estirpato dalla radici che sono avidità, invidia, rancore.

Mentre mi inchino con rispetto davanti alla sofferenza patita da tanti, vorrei chiedere a tutti di comportarsi come ci avete suggerito voi, testimoni coraggiosi, che avete il coraggio di disarmare il cuore.

Smilitarizzare i cuori

Ancora una supplica risuona sulle labbra del Papa. Una preghiera “in nome della pace, in nome del Dio della pace”

Smilitarizzare il cuore: togliere il veleno, rigettare l’astio, disinnescare l’avidità, cancellare il risentimento; dire “no” a tutto ciò sembra rendere deboli, ma in realtà rende liberi, perché dà pace. Sì, la pace nasce dai cuori, da cuori liberi dal rancore.

No alla rassegnazione

Il secondo “no” è alla rassegnazione. “Rinnovo l’invito perché quanti vivono nella Repubblica Democratica del Congo non si lascino cadere le braccia, ma si impegnino per costruire un futuro migliore… Non si può costruire l’avvenire restando chiusi nei propri interessi particolari, ripiegati nei propri gruppi, nelle proprie etnie e nei propri clan”. Perciò “il male che ciascuno ha sofferto ha bisogno di essere convertito in bene per tutti; lo sconforto che paralizza ceda il passo a un rinnovato ardore, a una lotta indomita per la pace, a coraggiosi propositi di fraternità, alla bellezza di gridare insieme mai più: mai più violenza, mai più rancore, mai più rassegnazione!”.

Sì alla riconciliazione

Da qui il primo “sì”: Sì alla riconciliazione. “Volete impegnarvi a perdonarvi a vicenda e a ripudiare le guerre e i conflitti per risolvere le distanze e le differenze”, commenta Francesco. “Volete farlo pregando insieme, tra poco, stretti attorno all’albero della Croce, sotto il quale, con grande coraggio, desiderate deporre i segni delle violenze che avete visto e subito: uniformi, machete, martelli, asce, coltelli… Anche la croce era uno strumento di dolore e di morte, il più terribile ai tempi di Gesù, ma, attraversato dal suo amore, è divenuto strumento universale di riconciliazione, albero di vita”.

Sono questi stessi sopravvissuti “alberi di vita”. E come alberi dovrebbero vivere: assorbendo inquinamento e restituendo ossigeno.

Solo il perdono apre le porte al domani, perché apre le porte a una giustizia nuova che, senza dimenticare, scardina il circolo vizioso della vendetta. Riconciliarsi è generare il domani: è credere nel futuro anziché restare ancorati al passato; è scommettere sulla pace anziché rassegnarsi alla guerra; è evadere dalla prigione delle proprie ragioni per aprirsi agli altri e assaporare insieme la libertà.

Sì alla speranza

L’ultimo “sì”, decisivo, è alla speranza. La speranza in Cristo: “Con Lui ogni tomba può trasformarsi in una culla, ogni calvario in un giardino pasquale. Con Gesù nasce e rinasce la speranza: per chi ha subito il male e persino per chi lo ha commesso”.

“Fratelli, sorelle dell’Est del Paese, questa speranza è per voi, ne avete diritto. Ma è anche un diritto da conquistare”, dice il Papa.

Appello per le donne

Prima di concludere con il Padre Nostro e una benedizione, Francesco lancia un appello per ogni donna e ogni madre.

Ogni donna, sia rispettata, protetta e valorizzata: commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana.