Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
“Ci si può perdere anche in casa”. Dove tutto è apparentemente in ordine all’esterno, nella forma delle cose e delle istituzioni, mentre c’è un “inferno” in guanti bianchi, educato come sa essere un demonio, che è al lavoro per perdere cuori consacrati al servizio del Vangelo. Cuori convinti di essere ormai al riparo dal male e dunque di non aver bisogno di “conversione” né di praticare “una delle virtù più utili”, quella della “vigilanza”. È come un lungo avviso ai naviganti – soprattutto nella tempesta di un mondo che vive di guerre a pezzi e rischia senza pace di trasformare la giustizia “in vendetta” – il discorso del Papa ai cardinali, vescovi e membri della Curia Romana, incontrati nell’Aula della Benedizione del palazzo apostolico per il tradizionale incontro prima del Natale.
Un discorso che prepara all’ascolto con l’invito a “ritornare all’essenziale”, che vuol dire saper ringraziare Dio costantemente per i beni ricevuti, per arrivare a toccare il punto cardine, altrettanto bisognoso di costanza, ovvero la “conversione”, che non deve tradursi per il Papa solo con un generico “prendere le distanze dal male”, ma vuol dire “mettere in pratica tutto il bene possibile”. Tanto nel Concilio che ha celebrato nel 2022 i 60 anni dal suo inizio quanto il percorso sinodale della Chiesa di oggi, osserva, sono occasioni di conversione. Un atteggiamento semplicemente ineludibile.
È troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane.
Ed è a questo punto che Francesco, come già fatto nelle udienze generali dedicate al tema del discernimento, evoca la “vigilanza”, definita una delle “virtù più utili da praticare” in particolare per le persone che vivono a servizio di Dio. Per loro il pericolo maggiore, afferma, è “il fissismo” cioè la “convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre”, invece di continuare “tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali” alla maniera di San Paolo. Una rigidità che secondo il Papa ha in sé l’incapacità di riconoscere che il male si evolve e che tentazioni scacciate via una volta possono ripresentarsi peggiori di prima ma con più eleganza – un tema recentemente più volte ricordato da Francesco.
Sono i “demoni educati”: entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto.
Ecco perché “ci si può perdere anche in casa”, come ricorda la parabola del figlio prodigo. Cioè, avverte Francesco, “tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale”, pensando erroneamente “di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”. E qui il Papa spiega il perché di certe sue parole talvolta dure:
Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal “demonio educato”, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di “affliggere i consolati”, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito.
A questo punto Francesco muta direzione, dedicando una serie di riflessioni al tema più caldo di questa fase della storia del mondo. C’è una pace martoriata quanto l’Ucraina e i tanti Paesi dove è violata sistematicamente e in cui – dice rifacendosi a un pensiero del teologo Bonhoeffer morto in un campo di concentramento – “possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso”. E ricorda che sempre “essa comincia nel cuore di ciascuno”, l’unico posto da dove cominciare se davvero “vogliamo che il clamore della guerra cessi”. Non solo la guerra dei missili ma pure, elenca il Papa, la violenza delle parole, psicologica, dell’abuso di potere, quella “nascosta delle chiacchiere”. Ogni guerra, conclude, “per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza”.
Davanti al Principe della Pace che viene nel mondo, deponiamo ogni arma di ogni genere. Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro. La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti (…) il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi.