Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Protagonisti nella storia, accanto alla gente nel “pieno stile del pastore”, dunque con “vicinanza, compassione e tenerezza”, perché “il cambiamento d’epoca nel quale ci ritroviamo a vivere richiede scelte coraggiose, illuminate con il discernimento dello Spirito Santo”, e “la Sicilia non è fuori da questo cambiamento”. In questo contesto occorre comprendere le peculiarità della Sicilia, “per annunciare il Vangelo di Dio”. Un compito che “chiede a noi sacerdoti e vescovi il servizio pieno, totale ed esclusivo”. Papa Francesco rivolge questo invito ai quindici vescovi e circa trecento sacerdoti siciliani ricevuti oggi in Vaticano, nella Sala Clementina, in occasione della solennità della Madonna Odigitria, patrona dell’isola.
La situazione sociale
Il Papa sottolinea come in passato la Sicilia si sia trovata “al centro di percorsi storici che i popoli continentali disegnano”, e accogliendo “i passaggi di questi popoli, ora dominatori ora migranti”, nel tempo “li ha integrati nel suo tessuto, sviluppando una propria cultura”. Una cultura che Francesco ricorda di aver conosciuto anche attraverso un film, “Il Kaos”, dei fratelli Taviani, dove protagonisti sono quattro racconti di Pirandello. “Sono rimasto stupito da quella bellezza, da quella cultura, da quella insularità continentale”. Questo non vuol dire però negare le difficoltà esistenti.
Questo non significa che sia un’isola felice, perché la condizione di insularità incide profondamente sulla società siciliana, finendo per mettere in maggior risalto le contraddizioni che portiamo dentro di noi. Sicché si assiste in Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grandi virtù come a crudeli efferatezze. Come pure, accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene di trascuratezza mortificanti. E ugualmente, a fronte di uomini e donne di grande cultura, molti bambini e ragazzi evadono la scuola rimanendo tagliati fuori da una vita umana dignitosa. La quotidianità siciliana assume forti tinte, come gli intensi colori del cielo e dei fiori, dei campi e del mare, che risplendono per la forza della luminosità solare. Non a caso tanto sangue è stato versato per la mano di violenti, ma anche per la resistenza umile ed eroica dei santi e dei giusti, servitori della Chiesa e dello Stato.
I giovani siciliani
Francesco parla di una situazione sociale “in netta regressione da anni”, palesata ad esempio “dallo spopolamento dell’isola, dovuto sia al calo delle nascite, sia all’emigrazione massiccia dei giovani”. E nel chiedere ai sacerdoti e vescovi un “servizio pieno, totale ed esclusivo”, rivolge proprio ai più giovani il suo pensiero:
I giovani stentano a percepire nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali un aiuto alla loro ricerca del senso della vita; e non sempre vi scorgono la chiara presa di distanza da vecchi modi di agire, errati e perfino immorali, per imboccare decisamente la strada della giustizia e dell’onestà. Io mi sono addolorato quando ho dovuto avere nelle mani qualche pratica che è arrivata alle Congregazioni romane per qualche giudizio su sacerdoti e persone di Chiesa: ma come mai, come mai si è arrivati a questa strada di ingiustizia e disonestà?
I Beati, esempio di vicinanza
Il Papa ricorda poi come in passato non siano mancate, come oggi, “figure di sacerdoti e fedeli che abbracciano pienamente le sorti del popolo”. Il suo pensiero va in particolare a due di loro:
Come non ricordare i Beati don Pino Puglisi e Rosario Livatino, ma anche persone meno note, donne e uomini che hanno vissuto in ogni stato di vita la fedeltà a Cristo e al popolo? Come ignorare il silenzioso lavoro, tenace e amorevole, di tanti sacerdoti in mezzo alla gente sfiduciata o senza lavoro, in mezzo ai fanciulli o agli anziani sempre più soli? Per questo, in Sicilia, si guarda ancora ai sacerdoti come a guide spirituali e morali, persone che possono anche contribuire a migliorare la vita civile e sociale dell’Isola, a sostenere la famiglia e ad essere riferimento per i giovani in crescita. Alta ed esigente è l’attesa della gente siciliana verso i sacerdoti. Non restare a metà cammino, per favore.
Lo stile di Dio e del pastore
Dinanzi al cambiamento, alle difficoltà di tutti i giorni, quando – evidenzia Francesco – “prevale l’amarezza e la delusione per la distanza che separa la Sicilia dalle zone più ricche ed evolute” d’Italia e d’Europa, è lì, sostiene, che “noi pastori siamo chiamati ad abbracciare fino in fondo la vita di questo popolo”. Sono tre le parole che il Santo Padre indica ai religiosi:
Vicinanza, compassione e tenerezza: questo è lo stile di Dio ed è anche lo stile del pastore. Lo stesso Signore dice al suo popolo: “Dimmi, quale popolo ha i suoi dei così vicini come tu me?”. La vicinanza, che è compassionevole, perdona tutto, è tenera. Abbraccia, accarezza.
Uno stile che mette al centro l’Eucaristia. Il Papa, chiedendo ai religiosi di stare attenti al carrierismo, “strada sbagliata che alla fine ti lascia solo, deluso”, ricorda quanto detto a Palermo quasi quattro anni fa, nel discorso al clero, ai religiosi e ai seminaristi:
Le parole dell’Istituzione delineano la nostra identità sacerdotale: ci ricordano che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione.
La sinodalità e l’affidamento a Maria
Il Papa prosegue il suo discorso apprezzando i propositi delle diocesi siciliane di “fare esercizi di sinodalità”, una pratica che ha come “primo valore quello dell’unità”:
Nelle varie iniziative per la formazione regionale del clero, è bello il vostro proposito di fare esercizi di sinodalità vivificando la fraternità e la paternità sacerdotale, di “camminare insieme” narrando reciprocamente le esperienze umane e spirituali, le iniziative pastorali, con sincerità e naturalezza, con gratitudine e stupore per i passi compiuti con l’aiuto dello Spirito. Un cammino che certamente richiede apertura alle sorprese di Dio nella nostra vita e negli snodi esistenziali delle nostre comunità, con la consapevolezza che attraverso l’ascolto, umile e sincero, possiamo vivere un discernimento che raggiunge il cuore e ci modifica interiormente.
Quindi Francesco sottolinea l’importanza “dell’affidamento a Maria”, presupposto di “un dialogo che conforta e lenisce ogni ferita”, in grado di mostrare al sacerdote “la fecondità del celibato”:
In questo dialogo semplice, fatto di sguardi e di parole umili come quelle del Rosario, il sacerdote scopre come la perla della verginità di Maria, totalmente dedita a Dio, la renda madre tenera verso tutti. Così anche lui, quasi a sua insaputa, vede la fecondità di un celibato, a volte faticoso da portare avanti, ma prezioso e ricco nella sua trasparenza.
La riforma liturgica del Concilio
Al termine del discorso, Francesco si rivolge ai vescovi e sacerdoti invitandoli a custodire la pietà popolare e ad educarla, ricordando “quanto diceva San Paolo VI: allontanarla da ogni gesto superstizioso ma anche prendere quella sostanza che ha dentro”. Quindi mette in guardia dal chiacchiericcio, “una peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità”. Poi l’invito a favorire la riforma liturgica a sessant’anni dal Concilio:
Io non vado a Messa lì, ma ho visto delle fotografie. Io parlo chiaro, eh? Ma carissimi, voi ancora i merletti, le monete …: ma dove stiamo? Sessant’anni dopo un Concilio? Un po’ di aggiornamento anche nell’arte liturgica, nella moda liturgica! Sì, alle volte portare qualche merletto della nonna va, ma alle volte … E’ per fare un omaggio alla nonna, no? (grande applauso) Avete capito tutto, no?, avete capito. E’ bello fare omaggio alla nonna, ma è meglio celebrare la madre, la Santa Madre Chiesa, e come la Madre Chiesa vuole essere celebrata. E che la insularità non impedisca la vera riforma liturgica che i il Concilio ha mandato avanti. E non rimanere quietisti.