Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Fissare gli occhi su Gesù per ringraziare il Signore, riconoscere le nostre tentazioni e rigettare gli idoli. Essere poveri con Cristo perché Cristo ha scelto la povertà. È questa la strada che il Papa indica ai sacerdoti nell’omelia della Messa crismale. Nella Basilica vaticana con il Papa concelebrano, oltre a cardinali e vescovi, anche i sacerdoti della diocesi di Roma proprio a significare l’unità della Chiesa raccolta attorno al suo vescovo. Sono circa 2.500 i fedeli presenti con 1.500 sacerdoti. Una celebrazione, quella della Messa del Crisma, in cui i religiosi rinnovano le promesse fatte nel giorno della loro ordinazione e dove vengono consacrati gli Oli santi: il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e l’Olio degli Infermi, portati davanti al Papa dentro alcune anfore. Francesco, dopo aver alitato sull’ampolla del Crisma, ha pronunciato un’orazione. Il diacono ha quindi versato le sostanze profumate nell’anfora contenente l’olio per il Sacro Crisma. Tutti i concelebranti, senza dire nulla, hanno steso la mano destra verso il Crisma fino al termine dell’orazione. Il Sacro Crisma, composto da olio e balsamo, verrà utilizzato nel Battesimo, nella Cresima, nell’Ordinazione dei sacerdoti e nella consacrazione di una chiesa e di un altare.
La grazia di essere sacerdoti
Nell’omelia, il Papa sottolinea come l’essere sacerdoti sia una grazia, ricordando un passaggio della Lettura di oggi, quando il profeta Isaia ci parla di una “promessa carica di speranza che ci tocca da vicino”, quel “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, / ministri del nostro Dio sarete detti. / […] Io darò loro fedelmente il salario, / concluderò con loro un’alleanza eterna”. Il Papa ricorda ai sacerdoti presenti che la grazia è innanzitutto per la gente, un dono grande per il popolo:
Essere sacerdoti è, cari fratelli, una grazia, una grazia molto grande, che non è in primo luogo una grazia per noi, ma per la gente; e per il nostro popolo è un dono grande il fatto che il Signore scelga, in mezzo al suo gregge, alcuni che si occupino delle sue pecore in modo esclusivo, come padri e pastori. È il Signore stesso a pagare il salario del sacerdote: “Io darò loro fedelmente il salario” (Is 61,8). E Lui, lo sappiamo, è buon pagatore, benché abbia le sue particolarità, come quella di pagare prima gli ultimi e poi i primi: è nel suo stile.
Gli occhi del Signore
Il Papa ricorda come “il Vangelo di Luca ci dice che, dopo che Gesù ebbe letto il passo del profeta Isaia davanti alla sua gente e si fu seduto, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. Anche l’Apocalisse “ci parla oggi di occhi fissi su Gesù, dell’attrazione irresistibile del Signore crocifisso e risorto che ci porta ad adorare e a riconoscere”. Sono proprio quegli occhi che Francesco invita a guardare, a fissare, a contemplare:
Fissare gli occhi su Gesù” è una grazia che, come sacerdoti, dobbiamo coltivare. Al termine della giornata fa bene guardare al Signore, e che Lui ci guardi il cuore, insieme al cuore delle persone che abbiamo incontrato. Non si tratta di contabilizzare i peccati, no, ma di una contemplazione amorosa in cui guardiamo alla nostra giornata con lo sguardo di Gesù e vediamo così le grazie del giorno, i doni e tutto ciò che ha fatto per noi, per ringraziare. E gli mostriamo anche le nostre tentazioni, per riconoscerle e rigettarle. Come vediamo, si tratta di capire che cosa è gradito al Signore e che cosa vuole da noi qui e ora, nella nostra storia attuale.
Gli idoli ci allontanano da Dio
Nel contemplare lo sguardo del Signore, potremmo anche “ricevere un cenno affinché gli mostriamo i nostri idoli”. È proprio sugli idoli che il Papa concentra il cuore della sua omelia, sottolineando come “in quello spazio che noi viviamo come se fosse esclusivo, si intromette il diavolo”. Il rischio è altissimo: non lasciare nessuno spazio al Signore.
Il diavolo fa sì che non solo “compiacciamo” noi stessi dando briglia sciolta a una passione o coltivandone un’altra, ma ci conduce anche a sostituire con essi, con quegli idoli nascosti, la presenza delle Divine Persone, la presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, che dimorano dentro di noi. È qualcosa che di fatto accade. Malgrado uno dica a sé stesso che distingue perfettamente che cos’è un idolo e chi è Dio, in pratica andiamo togliendo spazio alla Trinità per darlo al demonio, in una specie di adorazione indiretta: quella di chi lo nasconde, ma continuamente ascolta i suoi discorsi e consuma i suoi prodotti, in modo tale che alla fine non resta nemmeno un angolino per Dio. Perché Lui è così, Lui va avanti lentamente. E poi un’altra volta ho parlato dei demoni “educati”, quelli che Gesù dice che sono peggiori di quello che è stato cacciato via. Ma sono “educati”, suonano il campanello, entrano e passo a passo prendono possesso della casa. Dobbiamo stare attenti, questi sono gli idoli nostri.
La mondanità spirituale
Francesco, nel corso dell’omelia, esprime quindi la volontà di condividere con i sacerdoti presenti “tre spazi di idolatria nascosta, nei quali il Maligno utilizza i suoi idoli per depotenziarci della nostra vocazioni di pastori”. Il primo è quello della mondanità spirituale, “una cultura dell’effimero, dell’apparenza”, che conduce a “un trionfalismo senza croce”:
Questa tentazione di una gloria senza Croce va contro la persona del Signore, va contro Gesù che si umilia nell’Incarnazione e che, come segno di contraddizione, è l’unica medicina contro ogni idolo. Essere povero con Cristo povero e “perché Cristo ha scelto la povertà” è la logica dell’Amore e non un’altra. […] La mondanità di andar cercando la propria gloria ci ruba la presenza di Gesù umile e umiliato, Signore vicino a tutti, Cristo dolente con tutti quelli che soffrono, adorato dal nostro popolo che sa chi sono i suoi veri amici. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato. Un sacerdote mondano non è altro che un pagano clericalizzato.
Numeri e funzionalismo
Il secondo spazio di idolatria nascosta è in quello che Francesco definisce il pragmatismo dei numeri. La sostituzione dello Spirito, “che già di per sé ama non apparire, è ciò a cui mira l’idolo dei numeri, che fa sì che tutto appaia, seppure in modo astratto e contabilizzato”. Il Papa ricorda come l’amore sia fatta di volti, non di numeri:
Le persone non si possono “numerare”, e Dio non dà lo Spirito “con misura”. In questo fascino per i numeri, in realtà, ricerchiamo noi stessi e ci compiacciamo del controllo assicuratoci da questa logica, che non s’interessa dei volti e non è quella dell’amore, ama i numeri. Una caratteristica dei grandi santi è che sanno tirarsi indietro così da lasciare tutto lo spazio a Dio.
Il terzo e ultimo spazio indicato da Francesco è il funzionalismo, “un ambito seducente in cui molti si entusiasmano per la tabella di marcia più che per il percorso”. Se il primo idolo rendeva distante il Figlio, il secondo metteva da parte lo Spirito, questo terzo idolo finisce per allontanarci dalla tenerezza del Padre:
Il nostro Padre è il Creatore, ma non uno che solamente fa “funzionare” le cose, ma Uno che “crea” come Padre, con tenerezza, facendosi carico delle sue creature e operando affinché l’uomo sia più libero. Il funzionalista non sa gioire delle grazie che lo Spirito effonde sul suo popolo, delle quali potrebbe “nutrirsi” anche come lavoratore che si guadagna il suo salario. Il sacerdote con mentalità funzionalista ha il proprio nutrimento, che è il suo ego. Nel funzionalismo lasciamo da parte l’adorazione al Padre nelle piccole e grandi cose della nostra vita e ci compiacciamo dell’efficacia dei nostri programmi.
La preghiera a San Giuseppe
Il Papa conclude la sua omelia chiedendo a San Giuseppe di liberarci da ogni brama di possesso, il terreno fecondo su cui crescono questi idoli:
Vorrei concludere chiedendo a San Giuseppe, padre castissimo e senza idoli nascosti, che ci liberi da ogni brama di possesso, poiché questa, la brama di possesso, è il terreno fecondo in cui crescono questi idoli. Ci ottenga anche la grazia di non arrenderci nell’arduo compito di discernere questi idoli che, tanto frequentemente, nascondiamo o si nascondono.