Nell’ultimo incontro in Papua Nuova Guinea, allo stadio di Port Moresby, Francesco dialoga con oltre diecimila ragazzi e ragazze, nel Paese degli oltre 800 idiomi: “La vostra lingua comune è quella del cuore dell’amore, della vicinanza e del servizio” ricorda, e contro l’indifferenza “dovete avere l’inquietudine del cuore di prendervi cura degli altri” e se qualcuno cade, “aiutarlo a non rimanere caduto”. Nelle testimonianze dei giovani i drammi degli abusi in famiglia e le unioni distrutte
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Un discorso che diventa presto dialogo di sorrisi, gesti e risposte corali. Questo è stato il cuore dell’incontro di Papa Francesco con i diecimila giovani papuani che hanno fatto festa con lui nello stadio “Sir John Guise” di Port Moresby, lo stesso della Messa di sabato mattina. Uno scambio di sguardi, pollici alzati e occhi che brillano tra l’anziano Papa e coloro che sono la “speranza per il futuro” di un Paese “giovane abitato da tanti giovani”.
Dopo aver lasciato il discorso preparato, un sorridente Francesco chiede ai giovani di scegliere tra il modello della dispersione o quello dell’armonia, ricordando quello che avevano fatto i discendenti di Mosè con la Torre di Babele. “L’armonia”, rispondono i giovani in coro. E poi ricorda loro che “Il Signore ci ha creati per avere buoni rapporti con gli altri”. Nel Paese degli oltre 800 idiomi, il Pontefice dice ai giovani che “La vostra lingua comune è quella del cuore dell’amore, della vicinanza e del servizio”, e che contro il male dell’indifferenza “dovete avere l’inquietudine del cuore di prendervi cura degli altri”. Se qualcuno cade, “aiutarlo a non rimanere caduto” è il messaggio che ripete quattro volte. “E se vedi un compagno della vostra età che è caduto dovete ridere di quello?” No! È la risposta dello stadio. E il Papa: “devi guardarlo e aiutarlo a rialzarsi e a sollevarsi. Ripetiamo assieme: nella vita l’importante non è non cadere, ma non rimanere caduti”.
Il Papa inizia il suo intervento ringraziando per la bella rappresentazione appena messa in scena dai giovani, che ha narrato la bellezza di Papua “dove l’oceano incontra il cielo, dove nascono i sogni e sorgono le sfide”; e lanciato a tutti un augurio importante: “affrontare il futuro con sorrisi di speranza!”. Ai ragazzi e ragazze del Paese, che sono “la speranza per il futuro”, Francesco chiede di riflettere insieme “su come si costruisce il futuro” e “che senso vogliamo dare alla nostra vita”. E lo fa parlando del racconto biblico della Torre di Babele, dove si scontrano due modi opposti di vivere e di costruire la società: “uno porta alla confusione e alla dispersione, l’altro porta all’armonia dell’incontro con Dio e con i fratelli”. Poi il suo discorso si trasforma in un dialogo con i giovani.
Il vescovo John Bosco e le sfide per i giovani papuani
Dopo la danza di benvenuto di una ventina di giovani, nei variopinti e piumati costumi tradizionali, a salutare il Pontefice è John Bosco Auram, vescovo di Kimbe e delegato per i giovani, che ricorda come la sfida più grande per i giovani papuani sia “scoprire Cristo all’interno e in mezzo ad una realtà” che li porta ad affrontare sfide profonde “come il vivere i valori cristiani all’interno della famiglia e della società, le limitate opportunità di crescita e sviluppo, le varie frustrazioni derivanti dalle aspettative non soddisfatte della società, del governo e persino della Chiesa”.
La rappresentazione “Isole di speranza”
La festa entra nel vivo con la rappresentazione “Isole di speranza”, che vede protagonisti quattro giovani della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone, impegnati a costruire un futuro “con sorrisi di speranza”. Una partendo dalla sua famiglia, uno dalla protezione dell’ambiente, un’altra dalla valorizzazione della cultura locale e l’ultimo dal sostegno all’educazione. Un narratore, alla fine, invita a ricordare che “i giovani non sono solo i leader di domani, ma gli artefici del cambiamento di oggi. Sosteniamo il loro viaggio e celebriamo il loro contributo al nostro mondo”.
Patricia e l’impegno dei giovani professionisti cattolici
La prima testimonianza davanti al Papa, dopo l’esibizione del grande coro, è di una giovane che fa parte dell’Associazione dei professionisti cattolici Patricia Harricknen-Korpok, che parla della difficoltà di testimoniare la fede e la morale cattolica in una società che subisce l’influenza negativa “delle industrie dello sport e del divertimento, dei social media e della tecnologia”, molto attrattive, e per la competizione di tanti valori e credenze religiose. Nonostante questo, i giovani professionisti della Papua Nuova Guinea, assicura Patricia, si battono “per il bene comune e per il benessere del nostro popolo, soprattutto per coloro che non hanno voce o si trovano ai margini della società”. Per questo, ammette “prendere posizione su questioni sociali, politiche, economiche, ambientali e di diritti umani attraverso la lente della nostra fede cristiana” non è sempre stato facile, ma oggi i giovani professionisti cattolici si battono “per il bene comune”, soprattutto “per coloro che non hanno voce o si trovano ai margini della società”.
Ryan e la sofferenza dei giovani per le famiglie divise
Dopo di lei Ryan Vulum racconta la sua difficile infanzia in una famiglia divisa, e che la Chiesa “è diventata il mio rifugio”. Quella delle famiglie divise o che hanno grandi aspettative nei confronti dei giovani è una difficoltà che per Ryan “sperimenta la maggior parte dei giovani” dell’arcipelago. Che trovano “molto difficile comunicare con i loro genitori, perché questi non stanno insieme o sono separati”, e molti di loro “ricorrono all’assunzione di sostanze nocive, al coinvolgimento in attività illegali e perdono ogni speranza nella vita”. Per questo incoraggia tutte le coppie cattoliche in Papua Nuova Guinea a ricevere e perseverare nel sacramento del matrimonio, “per diventare famiglie forti e per far sì che i giovani si sentano sicuri e possano vivere meglio”. E i membri della Chiesa “a continuare ad accogliere i giovani a braccia aperte e ad invitarli a condividere le loro idee e a partecipare alle decisioni della comunità ecclesiale locale”, per costruire una Chiesa migliore.
Il grido di Bernadette contro gli abusi in famiglia
Infine Bernadette Turmoni, quarta e ultima figlia di una famiglia numerosa, giovane della Legione di Maria, parla del dramma degli abusi in famiglia, che distrugge la vita di giovani uomini e donne. “Chi ne è vittima – denuncia – si sente non amato e non rispettato. Perde la speranza e può suicidarsi o lasciare la famiglia”. E anche di quello della povertà, che è in aumento nonostante la Papua Nuova Guinea sia ricca di minerali. Questo è uno dei motivi “per cui i giovani non completano gli studi o non perseguono i loro sogni e desideri”. E li spinge “a trovare modi per guadagnare soldi vendendo droga, rubando” o chiedendo l’elemosina. E chiede al Papa, “come affrontare questo problema?”. Trovando una risposta nell’Esortazione apostolica di Francesco Christus Vivit: “Dio è sempre vivo e quindi anche noi dobbiamo essere vivi”. Come giovane, conclude Bernadette, “sono in grado di vivere la mia vita, nonostante tutte le lotte che ho affrontato. Non ho nulla: Dio è tutto”.