Il Papa abbraccia il migrante Pato: ho pregato tanto per tua moglie e tua figlia

Vatican News

Oggi pomeriggio, a Casa Santa Marta, Francesco ha incontrato Mbengue Nyimbilo Crepin, per tutti Pato, 30 anni, migrante camerunense, che a fine luglio ha perso la consorte Matyla e la figlioletta Marie, 6 anni, morte di fame, caldo e sete nel deserto tra Tunisia e Libia. Il giovane, che alle parole del Papa ha pianto, era accompagnato da don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans e dal cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale

Alessandro Di Bussolo e Michele Raviart – Città del Vaticano

“Ho pregato tanto per loro”. Così, ricordando le sue invocazioni a Dio davanti alla drammatica foto della trentenne moglie Matyla e della figlia Marie, 6 anni, morte a luglio di fame, caldo e sete nel deserto tra Tunisia e Libia, Papa Francesco ha salutato e abbracciato Mbengue Nyimbilo Crepin, per tutti Pato, 30 anni, persona migrante dal Camerun, incontrato per quasi un ora questo pomeriggio a Casa Santa Marta. Il giovane, che alle parole di Francesco ha pianto, era accompagnato, riferisce la Sala Stampa Vaticana, da don Mattia Ferrari, il 29 enne sacerdote di Nonantola (Modena) che come cappellano ha partecipato a tante missioni di salvataggio di Mediterranea Saving Humans. Con loro erano presenti alcuni migranti e collaboratori di associazioni e realtà impegnate nell’accoglienza e nell’integrazione dei rifugiati, che hanno contribuito a facilitare l’arrivo di Pato in Italia, e il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

Incontro commovente

Pato ha perso la moglie e la figlia di 6 anni nel luglio di quest’anno, dopo essere stato fermato e riportato nel deserto tra la Libia e la Tunisia dalle autorità tunisine. In un clima di commozione per la sua storia, il Papa ha ascoltato le parole di gratitudine per l’incontro e i dolorosi racconti sulle migliaia di persone che soffrono nel tentativo di raggiungere l’Europa. David, dal Sud Sudan, impegnato al fianco dei prigionieri nei campi di detenzione in Nord Africa, ha ringraziato il Papa per il suo incoraggiamento e gli interventi a favore dei migranti: “Non ci date solo un sogno, ci accogliete”.

La preghiera di Francesco per i migranti e per chi lavora per loro

Nel salutarli, dopo aver ascoltato le loro parole, Francesco ha ringraziato i presenti per l’impegno, e ha ricordato il privilegio di essere nati in luoghi dove si può studiare, lavorare: “Il privilegio è un debito”, ha affermato “quello che fate non è un dippiù, è un dovere”. Infine, prima di congedarsi, il Pontefice ha pregato per i presenti, chiedendo al Signore di vegliare su coloro che “lavorano per gli altri”, sulle persone che non sono potute venire, su chi si trova nei campi di detenzione e “sui tanti, tanti che soffrono”.

“La mano del Papa sul capo di Pato”

Don Mattia racconta a Vatican News la commozione di Pato, cattolico, che oggi vive in un centro di accoglienza in Italia, nel ricevere la benedizione di Papa Francesco, che ha posto a lungo la sua mano sul capo del giovane vedovo.  “Lo ha ringraziato per la vicinanza che il Papa ha da sempre per le persone migranti – ha aggiunto – che lo sentono con loro”. Gli ha detto che nel grande dolore che si porta dentro “sentire la sua carezza è stato un dono di Dio”.  Il trentenne camerunense, che è in attesa di completare le pratiche per la richiesta d’asilo, ha perso moglie e figlia nel deserto mentre cercava con loro di raggiungere la Tunisia dalla Libia e dopo aver tentato quattro volte la traversata del Mediterraneo. Francesco si era commosso, a fine luglio, in un altro incontro con don Mattia Ferrari e il migrante camerunense Bentolo, davanti alla foto di Matyla e Marie, che ha fatto il giro del web, morte di fame, caldo e sete nel deserto tra Tunisia e Libia.

La storia di Pato

Nato nel 1993 in una regione francofona del Camerun, ma cresciuto nella zona anglofona di Buea, Mbengue Nyimbilo Crepin – questo il vero nome di Pato – è stato vittima degli scontri tra i secessionisti e l’esercito, durante i quali ha perso la sorella che gli faceva da famiglia. Dà lì la decisione di raggiungere l’Europa attraverso la Libia, dove però è stato imprigionato nel 2016 nel centro di detenzione di Qarabulli. Lì ha conosciuto la coetanea Matyla Dosso, orfana ivoriana, che ha sposato e che gli ha dato la piccola Marie, nata il 12 marzo 2017. Per quattro volte la famiglia di Pato è riuscita a fuggire per tentare di attraversare il Mediterraneo, ma ogni volta – la prima con Marie incinta – i due sono stati catturati e imprigionati nuovamente, ogni volta in un campo differente, fino al 2023.  Nel 2019, Pato è stato ferito di un bombardamento aereo quando era detenuto a Tajoura. Ci furono 40 morti e lui perse l’udito all’orecchio sinistro.

La tragedia nel deserto

L’ultimo atto di questa tragica odissea risale al 13 luglio scorso, quando i tre hanno deciso di passare dalla Libia alla Tunisia per cambiare vita. Dopo vari tentativi di attraversare la frontiera e i maltrattamenti subiti dalla polizia, il 16 luglio la famiglia è stata abbandonata nel deserto insieme ad altre 30 persone, senza acqua e con temperature vicine ai 50 gradi. Pato ha perso le forze, provato dalla ferita all’orecchio, e ha chiesto a Matyla e Marie di andare avanti senza di lui. Nella notte la salvezza, per il giovane migrante camerunense rimasto solo nel deserto, si è manifestata nell’incontro con tre viaggiatori sudanesi che lo hanno salvato e lo hanno riportato in Libia. Lì però tentativi di ritrovare la sua famiglia si sono rivelati vani, fino a quando Pato non ha visto, sui social network, la foto dei loro corpi senza vita, insieme al resto del gruppo morto nel deserto tunisino. 

L’arrivo in Italia

Dopo la tragedia, Pato è riuscito ad arrivare a Lampedusa su un barcone partito da Zawira, con altre 22 persone, in maggioranza siriane. La loro imbarcazione è stata soccorsa dalla Guardia costiera italiana e oggi Mbengue Nyimbilo è in Italia, e sogna un futuro in Europa. Vorrebbe lavorare come imbianchino, una professione che ama e in cui cercherà di migliorare. “Le anime di mia moglie e mia figlia mi hanno portato fin qui – ha detto in un’intervista di Marco Damilano su Rai3 – senza di loro non ce l’avrei mai fatta”. “Provo un senso di pace – ha spiegato – ma ci sono lacrime dentro di me perché ho raggiunto il mio obiettivo da solo, mentre il progetto lo avevamo previsto per tre persone, per tutta la famiglia”.