Nello storico teatro lirico di Trieste Giuseppe Verdi presentata ieri, domenica 19 novembre, in prima assoluta la seconda opera sinfonica dell’iniziatore del Cammino Neocatecumenale
Debora Donnini – Trieste
Il leone che, per vincere, si è fatto “Agnello per soffrire”. È questa l’immagine chiave che ha aperto le porte per penetrare il significato profondo del toccante poema sinfonico “Il Messia”, seconda opera sinfonica realizzata da Kiko Argüello, artista e co-iniziatore del Cammino Neocatecumenale, accolto con caldi applausi dal pubblico che ieri, domenica 19 novembre, affollava il teatro Giuseppe Verdi di Trieste per la prima. Un senso che va al cuore della chiamata dei cristiani tanto che non a caso l’opera è dedicata ai martiri di oggi.
Meditare attraverso l’arte
Tre i momenti centrali dell’opera : il primo è “Akedà” (che significa in ebraico “Legami”) con riferimento alla storia di Isacco; il secondo è “Figlie di Gerusalemme” e il terzo è “Il Messia, leone per vincere”. Un trittico dal respiro sinfonico, in cui il pianoforte acquista un ruolo centrale, che come la precedente opera vuole portare l’annuncio del Vangelo attraverso la musica.
Prima che l’orchestra iniziasse a suonare, tra gli altri il saluto del vescovo, monsignor Enrico Trevisi, che ha ricordato che il sacrificio di Isacco ci riporta ad altri sacrifici di oggi. “Dio Padre – afferma – ci ha dato suo Figlio e questo è un mistero grande che anche attraverso l’arte meditiamo”. Presente anche l’emerito della stessa diocesi, monsignor Giampaolo Crepaldi. A portare un saluto a nome del sindaco, la vice Serena Tonel. Presenti anche l’assessore al turismo Giorgio Rossi, il sovraintendente al Teatro Verdi Giuliano Polo e il direttore artistico Paolo Rodda.
Amare fino al martirio
Oggi ci sono più martiri che nei primi secoli. In molti Paesi i cristiani sono perseguitati e quello che sta succedendo in queste zone del mondo, può succedere dappertutto, ha ricordato Kiko. “Siamo chiamati a questo, essere un agnello per soffrire come il Messia”, ha detto, perché il demonio non si vince con il potere politico ma “Dio ha mostrato nel suo Figlio crocifisso la verità”. E la chiamata del Signore è proprio quella di “riprodurre in noi l’immagine del Suo Figlio”.
Lo sguardo si è allargato sul cambio totale di epoca che stiamo vivendo: non esiste più la cristianità in Italia, l’Europa va verso forme di apostasia e così cambierà anche il modo di essere cristiani, ha evidenziato Kiko. Richiamandosi alle parole di Gesù – “Amatevi come io vi ho amato” – ha ricordato che siamo chiamati ad amare anche il nemico, ad essere strumenti di bene e non di iniquità per gli altri: “Accettare di essere uccisi significa non resistere al male”. “Tutti dovremo essere agnelli per soffrire, come il Messia. Nei primi secoli i cristiani erano educati nella spiritualità del martirio. Diventiamo cristiani quando accettiamo di essere come agnelli”, ha sottolineato.
Akedà
Questo è il filo conduttore del poema sinfonico. Le sue tre parti vengono, dunque, spiegate da Kiko. La prima parte “Akedà” riprendendo un testo del Targum neofiti, fa riferimento al sacrificio di Isacco che offre la gola e dice a suo padre Abramo: “Legami”. Perché il sacrificio era valido quando l’agnello era mite e non si ribellava. Si tratta dunque di un testo che parla di Isacco, immagine dell’umiltà di Cristo.
Figlie di Gerusalemme
Il secondo movimento si intitola “Figlie di Gerusalemme” nel quale Kiko ha musicato un frammento della Passione secondo San Luca, quando Gesù dice: “Figlie di Gerusalemme, non piangete per me! Perché se così si fa con il legno verde, con il secco che avverrà?”. Cristo è stato infatti sottomesso al supplizio della Croce, il peggiore secondo Cicerone, nel quale alla fine si necrotizzano i polmoni. Una Parola molto forte che mostra l’amore con cui Cristo vuole salvare l’umanità. Il richiamo musicale è alle polifonie del compositore rinascimentale spagnolo Tomás Luis de Victoria.
Il Messia leone per vincere
Infine, il terzo movimento, “Il Messia, leone per vincere”: sono le parole di Vittorino di Pettau, martirizzato nel IV secolo sotto l’imperatore Diocleziano. Un’espressione che poeticamente rivela e annuncia il Mistero di Cristo, che, venuto come leone per vincere, si fa agnello caricandosi del male dell’uomo per farlo passare dalla morte alla vita. A questa è stata accostata un’altra frase di un confessore della fede che si chiama San Quodvultdeus, un vescovo di Cartagine del secolo V, che dice: “Salì sul legno per essere sposo, per morire. E lasciò il suo sangue come dote per la sua sposa vergine”.
Poema sinfonico d’amore
“Tutti noi siamo chiamati a farci agnelli per questa generazione, dovremmo imparare tutti ad esserlo. Anche noi siamo invitati a morire e a mostrare questo amore”, ha sottolineato ancora Kiko. Questo poema sinfonico è, infatti, un canto d’amore. “In queste nozze, la dote è il sangue di Cristo che purifica l’amata da tutti i suoi peccati” mentre l’antitesi “leone-agnello” è evidenziata dal contrappunto tra i diversi strumenti.
L’orchestra e Trieste
Questo concerto vuole essere, quindi, un aiuto per maturare nella fede. In questa seconda opera sinfonica è stato poi introdotto il pianoforte suonato da Claudio Carbó. A dirigere l’orchestra composta da 93 musicisti e 86 coristi di varie nazionalità e appartenenti al Cammino Neocatecumenale, è Tomáš Hanus, attualmente direttore musicale della Welsh National Opera in Gran Bretagna.
L’orchestra è nata nel 2010 per eseguire la prima opera sinfonica “La sofferenza degli innocenti” che ha avuto una risonanza internazionale ed è stata realizzata in diverse parti del mondo: a Madrid, al Metropolitan di New York, allo Chicago Symphony Hall, al Berliner Philharmoniker Hall, in Vaticano, a Gerusalemme, a Tokyo, a Budapest, ad Auschwitz, e nella stessa Piazza Unità d’Italia a Trieste, città cosmopolita, crocevia di culture, che ha vissuto da vicino gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e le ferite che ne sono seguite. E che oggi, ancora una volta, ha ospitato un evento che ricorda agli uomini la vocazione all’Amore per la quale sono nati. Un poema sinfonico, dunque, che nell’orizzonte di ogni epoca e angolo del mondo fa risuonare che la vocazione dei cristiani è quella di seguire Cristo, di poter amare il nemico, sapendo che la Croce è gloriosa. E il canto si chiuderà, infatti, con la Risurrezione e l’Alleluja.