Benedetta Capelli – Città del Vaticano
C’è l’immagine del Buon pastore sul dono che Papa Francesco ha dato ai vescovi presenti all’apertura, ieri a Roma, della 75.ma Assemblea Generale Straordinaria della Conferenza episcopale italiana. “Il pastore che assomiglia a Gesù – aveva detto in un’omelia a Santa Marta il 3 maggio 2020 – dà fiducia al gregge, perché Lui è la porta”.
Si possono già qui scorgere alcune delle caratteristiche che il Papa, nel suo magistero, ha più volte suggerito ai vescovi come, ad esempio, la “mitezza” e la “tenerezza della vicinanza”. Sul retro del cartoncino donato, Francesco riprende le 8 beatitudini che l’arcivescovo di Napoli, in un’omelia pronunciata il 31 ottobre 2021, ha indicato nella Messa di ordinazione di tre nuovi presuli. Otto beatitudini riscritte, aveva chiarito monsignor Domenico Battaglia, sul servizio che la Chiesa affida.
Testimoni
“Beato il Vescovo che fa della povertà e della condivisione il suo stile di vita, perché con la sua testimonianza sta costruendo il regno dei cieli”.
“Il vescovo – ha detto il Papa l’8 settembre 2018 ai vescovi dei territori di missione – non vive in ufficio, come un amministratore di azienda, ma tra la gente, sulle strade del mondo, come Gesù. Porta il suo Signore dove non è conosciuto, dove è sfigurato e perseguitato. E uscendo da sé ritrova sé stesso”.
Le lacrime del vescovo
“Beato il Vescovo che non teme di rigare il suo volto con le lacrime, affinché in esse possano specchiarsi i dolori della gente, le fatiche dei presbiteri, trovando nell’abbraccio con chi soffre la consolazione di Dio”.
Francesco più volte ha parlato della “grazia delle lacrime”; una grazia che vale soprattutto per chi è investito di un servizio come l’episcopato. Nella veglia di preghiera “Per asciugare le lacrime”, nella Basilica Vaticana, il 5 maggio 2016, ha affermato: “Se Dio ha pianto, anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose”.
Servire e non dominare
“Beato il Vescovo che considera il suo ministero un servizio e non un potere, facendo della mitezza la sua forza, dando a tutti diritto di cittadinanza nel proprio cuore, per abitare la terra promessa ai miti”.
“Non è vero episcopato senza servizio – ha detto il Papa nella messa di ordinazione episcopale lo scorso 17 ottobre – non di un onore, come volevano i discepoli, uno alla destra, uno alla sinistra, poiché al vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro: ‘Chi è il più grande tra voi, diventi come il più piccolo. E chi governa, come colui che serve’. Servire. E con questo servizio, voi custodirete la vostra vocazione e sarete autentici pastori nel servire, non negli onori, nella potestà, nella potenza… No, servire, sempre servire”.
Non principi
“Beato il Vescovo che non si chiude nei palazzi del governo, che non diventa un burocrate attento più alle statistiche che ai volti, alle procedure che alle storie, cercando di lottare al fianco dell’uomo per il sogno di giustizia di Dio perché il Signore, incontrato nel silenzio della preghiera quotidiana, sarà il suo nutrimento”.
Nell’omelia della Messa a Santa Marta il 12 novembre 2018, il Papa ricordando che Paolo lascia Tito a Creta per mettere ordine nella Chiesa, indica dei criteri e delle istruzioni. “La definizione che dà del vescovo è un ‘amministratore di Dio’, non dei beni, del potere, delle cordate, no: di Dio. Sempre deve correggere se stesso e domandarsi: ‘Io sono amministratore di Dio o sono un affarista?’ Il vescovo è amministratore di Dio. Deve essere irreprensibile: questa parola è la stessa che Dio ha chiesto ad Abramo: ‘Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile’. È parola fondante, di un capo”.
Camminare con il gregge
“Beato il Vescovo che ha cuore per la miseria del mondo, che non teme di sporcarsi le mani con il fango dell’animo umano per trovarvi l’oro di Dio, che non si scandalizza del peccato e della fragilità altrui perché consapevole della propria miseria, perché lo sguardo del Crocifisso Risorto sarà per lui sigillo di infinito perdono”.
Incontrando il 19 settembre 2013 i vescovi di missione, Francesco ha ricordato che i vescovi sono “sposi della vostra comunità, legati profondamente ad essa! Vi chiedo, per favore, di rimanere in mezzo al vostro popolo. Rimanere, rimanere… Evitate lo scandalo di essere ‘vescovi di aeroporto’! Siate Pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo”.
La preghiera
“Beato il Vescovo che allontana la doppiezza del cuore, che evita ogni dinamica ambigua, che sogna il bene anche in mezzo al male, perché sarà capace di gioire del volto di Dio, scovandone il riflesso in ogni pozzanghera della città degli uomini”.
La doppiezza si vince con la verità che arriva guardando Gesù. Francesco, più volte, ha indicato come prioritaria la preghiera. “Il primo compito del vescovo – ha detto nell’omelia della Messa a Santa Marta il 22 gennaio 2016, è stare con Gesù nella preghiera”, “non è fare piani pastorali” mentre “il secondo compito è essere testimone, cioè predicare: predicare la salvezza che il Signore Gesù ci ha portato”. Due compiti non facili ma che sono colonne della Chiesa. “Se queste colonne si indeboliscono, perché il vescovo non prega o prega poco, si dimentica di pregare; o perché il vescovo non annuncia il Vangelo, si occupa di altre cose, la Chiesa anche si indebolisce; soffre. Il popolo di Dio soffre”.
Essere “uno”
“Beato il Vescovo che opera la pace, che accompagna i cammini di riconciliazione, che semina nel cuore del presbiterio il germe della comunione, che accompagna una società divisa sul sentiero della riconciliazione, che prende per mano ogni uomo e ogni donna di buona volontà per costruire fraternità: Dio lo riconoscerà come suo figlio”.
Nell’udienza ai vescovi del Movimento dei Focolari, 25 settembre 2021, Francesco ha spiegato che Papa e vescovi sono “al servizio non di un’unità esteriore, di una ‘uniformità’, ma del mistero di comunione che è la Chiesa in Cristo e nello Spirito Santo, la Chiesa come Corpo vivo, come popolo in cammino nella storia e nello stesso tempo oltre la storia”. Davanti alle “ombre di un mondo chiuso” – ha aggiunto – dove tanti sogni di unità “vanno in frantumi”, dove manca “un progetto per tutti” e la globalizzazione naviga “senza una rotta comune”, dove il flagello della pandemia rischia di esasperare le disuguaglianze, lo Spirito ci chiama ad “avere l’audacia di essere uno”.
Dio, in Lui la fiducia
“Beato il Vescovo che per il Vangelo non teme di andare controcorrente, rendendo la sua faccia ‘dura’ come quella del Cristo diretto a Gerusalemme, senza lasciarsi frenare dalle incomprensioni e dagli ostacoli perché sa che il Regno di Dio avanza nella contraddizione del mondo”.
Francesco più volte ha esortato a riporre in Dio la fiducia quando si ha paura, senza cercare rifugio nel mondo, nelle sue gratificazioni perché solo in Lui si “allontana ogni paura”, si è liberi “da ogni schiavitù e da ogni tentazione mondana”. Nella Messa celebrata il 29 giugno 2014 aveva concluso la sua omelia con una preghiera intensa:
Il Signore oggi ripete a me, a voi, e a tutti i Pastori: Seguimi! Non perdere tempo in domande o in chiacchiere inutili; non soffermarti sulle cose secondarie, ma guarda all’essenziale e seguimi. Seguimi nonostante le difficoltà. Seguimi nella predicazione del Vangelo. Seguimi nella testimonianza di una vita corrispondente al dono di grazia del Battesimo e dell’Ordinazione. Seguimi nel parlare di me a coloro con i quali vivi, giorno dopo giorno, nella fatica del lavoro, del dialogo e dell’amicizia. Seguimi nell’annuncio del Vangelo a tutti, specialmente agli ultimi, perché a nessuno manchi la Parola di vita, che libera da ogni paura e dona la fiducia nella fedeltà di Dio. Tu seguimi!