Roberta Barbi – Città del Vaticano
È già qualche anno che il 21 marzo non è più solo il primo giorno di primavera, ma è un giorno in cui si ricorda il male per costruire il bene: la Giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie è stata istituita nel 2017 anche per questo, affinché il passato, un certo passato, non si ripeta mai più. Lo sa bene Angelo Sicilia, maestro puparo che da sempre tira i fili degli splendidi pupi che realizza in proprio – quelli della tradizione palermitana, alti circa 90 cm – e a un certo punto ha deciso di metterli a servizio della legalità per dire basta alla mafia e alla cultura mafiosa che inquina ancora la sua isola e in particolare la sua meravigliosa città: Palermo.
La Marionettistica popolare siciliana e il suo progetto ambizioso
“Mi sono detto: cosa può fare di più questa forma di teatro popolare per la nostra gente, oltre a divertirla come ha fatto finora?”. La risposta Angelo Sicilia se la dà nel 2003 quando fonda l’Associazione Marionettistica popolare siciliana, riempiendo la tradizione dei pupi di contenuti nuovi, tratti dalla memoria della storia recente: “Il teatro popolare piace a tutti, contadini, pescatori, operai – spiega – perciò i messaggi che veicolano hanno una forza narrativa e un’efficacia indiscutibile”. È così che ha creato il ciclo degli spettacoli antimafia con protagonisti i pupi dei giudici Falcone e Borsellino, di Peppino Impastato e di padre Puglisi, eroi e martiri di oggi il cui sangue ha irrigato la terra di Palermo. In questo modo si capovolge il linguaggio tipico del teatro dei pupi che passa così dal raccontare le storie dei briganti a raccontare le storie di quelli che i briganti li catturano.
“Muoviamo i fili: i pupi antimafia” sbarcano in carcere
L’idea del maestro piace, poi i pupi siciliani nel 2001 erano stati inseriti dall’Unesco nel patrimonio immateriale dell’umanità a conferma che la loro tradizione è importante e da tramandare alle generazioni future anche rinnovandola, così arriva la collaborazione con il Centro per la giustizia minorile della Sicilia e da lì mettere piede negli istituti di pena minorile il passo è breve. “In carcere sono entrato in punta di piedi – ricorda Sicilia – la prima volta, come ancora oggi, le difficoltà che incontro con questi ragazzi sono le stesse: molti si sono macchiati di reati connessi con la criminalità organizzata o comunque vengono da contesti intrisi di cultura mafiosa che è proprio quella che cerchiamo di scardinare, coinvolgendoli dapprima nel racconto delle loro storie attraverso i pupi, senza pronunciare mai la parola proibita, ‘mafia’, per non farli chiudere, per non farli allontanare”. I laboratori in carcere si svolgono in due fasi distinte: prima si costruiscono i pupi e le scene, poi si pensa alle storie: “Negli anni abbiamo affrontato tante tematiche ‘collaterali’ come quelle dell’immigrazione, del razzismo, dell’intolleranza, perché anche questo è mafia. Ciò ci dà la possibilità di mettere in scena spettacoli sempre diversi perché dentro c’è un po’ di ognuno dei nostri ragazzi”.
Dai cattivi maestri ai buoni maestri
L’obiettivo è chiaro: smantellare dall’interno la cultura mafiosa e tutti i falsi miti che porta con sé: “A volte capitano delle scene tragicomiche – racconta ancora il maestro puparo – ci sono ragazzi, ad esempio, che già durante le prove si rifiutano di manovrare i fili dei pupi che rappresentano i carabinieri o le forze dell’ordine in generale… è la difficoltà di far accettare il fatto che la realtà mafiosa non porta a nulla se non alla violenza e al male”. Ecco, dunque, che entrano in gioco gli esempi positivi con tutta la loro forza: “Capita spesso ai giovani che hanno lavorato con me su storie che non conoscevano, come quelle delle vittime di mafia appunto, che crolli nel loro immaginario il mito del capo-mafia con cui erano cresciuti e lo sostituiscano magari con quello di chi ha sacrificato la propria vita per il bene comune. Sono cose che danno speranza”.
Rosario Livatino: storia di un giudice perbene
Papa Francesco lo ha definito “martire della giustizia e della fede, esempio di legalità per tutti”, tanto che la Chiesa lo ha beatificato il 9 maggio di un anno fa. Per questo Angelo e i suoi ragazzi hanno scelto di rappresentare la storia di Rosario Livatino in questa Giornata per le vittime di mafia 2022: “La storia del piccolo giudice ucciso dalla stidda agrigentina nel 1990, quando aveva solo 38 anni, ha colpito molto i ragazzi – è la sua testimonianza – nell’istituto di pena di Caltanissetta ce ne sono molti che vengono da Agrigento, vista la vicinanza tra le due città, perciò mi sembrava la scelta migliore”.
Un modello buono da esportare al nord
Ma i pupi della legalità non si fermano alla Sicilia: la potenza del loro messaggio ha travalicato i confini dell’isola ed è arrivata fino al nord, quel nord dove purtroppo la mafia ha già costituito un cattivo modello da esportare. Ma ora arriva anche l’antidoto: “A fine mese inizieremo un laboratorio nel carcere di massima sicurezza di Tolmezzo, in provincia di Udine – conclude Sicilia – è emozionante pensare che un progetto nato a Palermo arrivi fino lì ed è ancora più emozionante andarci con alcuni dei miei ragazzi che nel frattempo sono usciti dal carcere perché hanno scontato la pena, ma continuano a collaborare con il teatro dei pupi antimafia. Anche grazie a loro metteremo in scena un nuovo spettacolo in un’importante kermesse culturale che si svolgerà a Udine a maggio”.