Sofia Lobos e Adriana Masotti – Città del Vaticano
Saranno beatificati oggi in Guatemala i ‘martiri del Quiché’: tre sacerdoti spagnoli, missionari del Sacro Cuore di Gesù; José María Gran, Faustino Villanueva e Juan Alonso, insieme a sette catechisti laici; Rosalío Benito, Reyes Us, Domingo del Barrio, Nicolás Castro, Tomás Ramírez, Miguel Tiú e Juan Barrera Méndez, uccisi, quest’ultimo a soli 12 anni, in ‘odio alla fede’ nel contesto della guerra civile che devastò il Paese tra il 1980 e il 1991. La cerimonia di beatificazione avrà luogo nella cattedrale di Santa Cruz del Quiché e sarà presieduta dal cardinale guatemalteco Álvaro Leonel Ramazzini.
Uomini di fede e dediti al servizio
Decenni dopo il martirio, il sangue versato da questi “uomini di fede”, dedicati totalmente al servizio del Vangelo e della Chiesa, continua a dare frutti in abbondanza. Ad affermarlo a Vatican News è monsignor Rosolino Bianchetti Boffelli, di origini italiane, attuale vescovo della diocesi di Quiché, negli altipiani guatemaltechi al confine con il Messico, e missionario ‘fidei donum’ nel Paese. “I nostri martiri erano veramente dei missionari in movimento – afferma il presule -. Andavano di casa in casa, mantenendo viva la fede, pregando con i loro fratelli, evangelizzando, implorando il Dio della vita. Erano uomini di grande fede, di grande fiducia in Dio, ma allo stesso tempo di grande dedizione perché ci fosse un cambiamento, un Guatemala diverso”. Monsignor Bianchetti si riferisce a loro come a “leader nella Chiesa” che univano molto bene “l’impegno di far vivere le loro comunità secondo il piano di Dio, facendo crescere il Regno di Dio, facendo diventare realtà l’annuncio di liberazione, di vita in abbondanza che Gesù offre a tutti noi”.
Evangelizzazione e assistenza a poveri e malati
Spinti dal desiderio di contribuire alla missione apostolica della Chiesa nelle loro terre, questi uomini coraggiosi non si fermarono davanti a nessun tipo di minaccia e “abbracciarono la loro croce”, aggiunge il vescovo di Quiché, venendo perseguitati, torturati e uccisi da coloro che consideravano gli insegnamenti del Vangelo come “un pericolo” per gli interessi dei potenti. “Erano uomini di grande statura”, prosegue monsignor Bianchetti, sottolineando che con la Parola di Dio e il Rosario in mano, visitavano le loro comunità per assistere i più bisognosi: i sacerdoti sostenevano i fedeli, mentre i laici, dopo aver finito il loro lavoro, andavano a trovare i malati, annunciavano la Buona Novella, servivano in Chiesa e aiutavano i contadini a recuperare la terra che era stata loro ingiustamente sottratta.
Contemplativi in azione
Monsignor Bianchetti sottolinea ancora il profondo significato che la beatificazione di questi martiri ha per la Chiesa in Guatemala, e in particolare, per la sua diocesi. “Per noi -dice – significa raggiungere il culmine di un lungo cammino che Gesù ha chiamato questi uomini a intraprendere, con quella nuova evangelizzazione che si è svolta in quel periodo in Guatemala. Un cammino di fedeltà, di dedizione, di passione per il Regno. Li chiamo ‘contemplativi in azione’ – dice monsignor Bianchetti – , per quella fede che portavano nel cuore, con quella spiritualità ereditata dai loro antenati che combinava una fede profonda con una fiducia totale, una dedizione senza limiti a Gesù nel servizio dei loro fratelli e sorelle”. E osserva che per tutti i guatemaltechi questa beatificazione significa “essere entusiasti, appassionarsi sempre di più nel seguire Gesù, come suoi discepoli”, conservando questa “torcia della fede” che i martiri hanno lasciato.
Juanito: la perla preziosa, esempio per i giovani
Monsignor Bianchetti dedica alcune parole in particolare al più giovane dei martiri, Juan Barrera Méndez, detto “Juanito” che, spiega, a soli 12 anni ha dimostrato una profonda maturità spirituale come catechista dei bambini che si preparavano a ricevere la Prima Comunione e ha persino ricevuto il sacramento della Cresima. “La nostra perla preziosa – racconta – è Juanito che era un catechista tra i suoi coetanei della comunità. Secondo le testimonianze che abbiamo, lui portava nel suo cuore quella fiamma, quella passione per seguire Gesù. Voleva persino costruire una chiesa vicino a casa sua in modo che suo padre, che all’inizio rifiutava di frequentare la chiesa, potesse parteciparvi. Juanito fu torturato il giorno in cui venne catturato in un raid dell’esercito nella sua comunità e gli vennero tagliate le piante dei piedi. Poi lo fecero camminare lungo la riva del fiume. Fu appeso ad un albero e gli spararono…. E Juanito brilla oggi. La sua testimonianza – afferma ancora il presule – è diventata ‘virale’, qui i ragazzi lo chiamano il ‘Carlo Acutis’ del Guatemala”.”Il Guatemala costruisce una società riconciliata”.Combattere come i martiri contro le “nuove minacce”.
Un richiamo alla carità e alla riconciliazione nel Paese
Il vescovo di Quiché sottolinea anche che l’esempio di coraggio di questi cristiani è una fonte di ispirazione per le comunità di oggi in Guatemala, che devono affrontare le minacce del nostro tempo, come la povertà, la mancanza di lavoro, lo sfruttamento e la migrazione forzata: “A questo punto del terzo millennio – fa notare – ci sono ancora molte comunità senza elettricità, comprese alcune che sono molto vicine alle centrali idroelettriche. C’è anche la sofferenza dei nostri migranti, la maggior parte dei quali partono per gli Stati Uniti”. Monsignor Bianchetti ricorda che questa beatificazione è anche una chiamata a costruire una società riconciliata in Guatemala con il contributo di tutti. Non c’è una sola testimonianza che dica “questo si è vendicato” per la morte dei martiri, afferma il vescovo. “Nessuno si è vendicato perché hanno ucciso il parente, il padre o l’amico, o perché hanno bruciato le case. Ma ci sono molta sofferenza e ferite aperte. Per questo dobbiamo continuare a fare un cammino per guarire queste ferite con gli occhi e il cuore fissi su Gesù crocifisso e risorto. Questo è il nostro compito”.
Il Guatemala di fronte a pandemia e altre calamità
Riferendosi all’attuale pandemia causata dal Covid-19, il vescovo di Quiché afferma che il Guatemala è un popolo che ha sempre “portato la sua croce”:”È un popolo che lotta in mezzo a questa pandemia per sopravvivere con dignità. Certamente, le rimesse sono il principale contributo della gente per far muovere l’economia. È quella che conosciamo come l’economia informale perché in Guatemala anche la macroeconomia si sostiene grazie alla microeconomia, cioè grazie ai soldi inviati da chi lavora all’estero e che vengono investiti nel commercio e nell’educazione dei bambini”, spiega monsignor Bianchetti, sottolineando che il popolo guatemalteco ha saputo affrontare tante sofferenze e calamità, non solo naturali. Nonostante l’incertezza dell’attuale panorama globale, monsignor Bianchetti conclude l’intervista con un messaggio incoraggiante: “La Chiesa qui in Quiché, umilmente, ma con molta speranza, sta camminando e vuole continuare a costruire mano nella mano con i nostri martiri, nuovi cieli e nuove terre, con molta fede, con molta speranza e con molta passione per il Regno di Dio”.