Roberta Barbi – Città del Vaticano
Gli ultimi che pensano ad altri ultimi, come e più di loro: è questo il messaggio che hanno voluto dare i detenuti del carcere napoletano di Secondigliano regalando al Papa una casula nuova ed esprimendo il desiderio che la indossi in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri che ricorrerà domenica 13 novembre. “È stato un momento di gioia umana e spirituale unica – racconta don Raffaele Grimaldi, l’Ispettore dei cappellani d’Italia che ha accompagnato la delegazione assieme al cappellano di Secondigliano, don Giuseppe Russo e alla direttrice dell’istituto di pena, Giulia Russo – questo nuovo laboratorio di abiti liturgici è appena partito e il Papa li ha incoraggiati ad andare avanti, a non scoraggiarsi; ha detto di essere sempre contento quando in entra in un carcere perché lì ha la possibilità di fasciare le ferite di tante persone e di incontrare negli ospiti il Volto di Cristo”.
Nel nome di Maria, sempre e comunque
Sulla casula donata al Papa i ristretti hanno messo anche il gallone mariano che esprime il senso di questo nuovo percorso intrapreso: “Maria è colei che accompagna ciascuno di noi nella vita – prosegue don Grimaldi – è colei che ci invita a fare la volontà del Padre e ci guida verso Cristo”. Un lavoro di rifinitura preziosissimo, quello operato dai sarti detenuti, frutto anche di un’intensa formazione appoggiata dalla direzione. Una specializzazione, quella del confezionamento di paramenti liturgici quali stole e casule, che avvicinerà ancora di più i reclusi al mondo del sacro e li renderà testimoni dentro e fuori del percorso fatto. “In un’occasione come questa il pensiero non può non andare al fenomeno dei tanti suicidi che ci sono stati quest’anno, ben 74 fino ad ora – ricorda l’Ispettore – un dramma che hanno vissuto tante strutture e che si combatte anche con esperienze come questa, che riempie il tempo vuoto della detenzione e allontana i brutti pensieri che possono colpire i più fragili”.
Il lavoro, strumento per riflettere sul dono della vita
Il nuovo progetto deriva da un percorso già noto a Secondigliano, che è quello della sartoria “RicuciAMO” che già durante la pandemia aveva realizzato oltre diecimila mascherine distribuite poi gratuitamente in tutta la città. “In carcere spesso si incontrano vite sbandate, scollegate dalla società – spiega ancora don Raffaele – con questo nome significativo si sottolinea proprio l’obiettivo di voler ricucire, ricollegare queste persone con la vita e con la società”. E il lavoro, chi vive il carcere lo sa, è lo strumento più nobile e adatto allo scopo: “Il lavoro ovviamente forma e regala un futuro alle persone detenute – conclude – ma fa anche riflettere sulla grandezza del dono della vita, che vale la pena di essere vissuta nonostante le sofferenze e a volte nonostante le umiliazioni subite”. Un lavoro che salva, perché come ripete spesso il Papa, “nessuno si salva da solo”.