Herranz: nel Sinodo un “sapore di inizio” che ricorda la speranza del Concilio

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Pubblicati nell’edizione italiana del libro “Due Papi” i ricordi del 93 enne cardinale spagnolo, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi: dal pontificato di Benedetto XVI a quello di Francesco. Nella lettera-prefazione il Papa lo definisce “enfant terrible” ma anche “uomo dal cuore ecclesiale”. Ampio spazio alla riflessione sul nuovo cammino sinodale e sull’applicazione dell’”ecclesiologia di comunione” del Vaticano II

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

L’anziano cardinale spagnolo Julián Herranz Casado, 94 anni il prossimo 31 marzo, nota “un curioso sapore di inizio”, guardando al cammino sinodale avviato nell’ottobre 2021 e che sta concludendo in questi giorni la sua prima Assemblea. Nel suo libro di memorie “Due Papi”, da poco uscito nell’edizione italiana per Piemme, il presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, e della Commissione Disciplinare della Curia Romana, scrive che il Sinodo sulla sinodalità gli ricorda il clima di “crescente speranza suscitata da san Giovanni XXIII”, il primo dei sei Pontefici che ha servito in Vaticano, dal 1° aprile 1960, e dal Concilio Vaticano II. “Stiamo assistendo adesso ai primi passi della sinodalità, che ha qualcosa dello stile degli inizi – spiega nel volume – quando gli apostoli erano soliti ‘camminare insieme’ parlando con Gesù. E poi, dopo l’Ascensione, con i primi cristiani che si andavano aggiungendo gioiosi” nel ricevere la “buona notizia”.

Un Concilio non ancora del tutto compreso e applicato

Nell’ultimo dei 21 capitoli del libro, intitolato “Concilio Vaticano II e Rivoluzione francese” nel quale rivolge il suo sguardo al futuro della Chiesa, dopo aver scavato nel passato dei due ultimi pontificati, quelli di Benedetto XVI e di Francesco, il cardinale Herranz sottolinea che “inizia a chiudersi un lungo periodo nel quale, nonostante l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II e la successiva riforma canonica, non sono stati ascoltati i fedeli”. E di conseguenza, molti di loro “hanno perduto l’interesse ad ascoltare i pastori lontani alle loro preoccupazioni quotidiane”, o incapaci di esprimersi con un linguaggio semplice. E non c’è lamento, ma speranza in lui, legato fin dalla vocazione sacerdotale alla prelatura dell’Opus Dei a al suo fondatore, san Josemaria Escrivà de Balaguer, quando afferma che “il gran dono di grazia divina che questo Concilio ha significato per l’evangelizzazione del mondo contemporaneo non è stato ancora sufficientemente compreso, assimilato senza riserve da noi che abbiamo avuto responsabilità di governo” come pure “non è stato applicato con la fortezza e l’entusiasmo col quale si doveva fare”.

Lumen Gentium e la Chiesa “popolo di Dio corresponsabile” 

Concetti conciliari come “popolo di Dio” ed “ecclesiologia di comunione”, per il cardinale spagnolo, laureato in medicina con specializzazione in psichiatria, prima degli studi di Diritto canonico, non sembra siano stati sufficientemente assimilati nella vita reale della Chiesa, anche se “tanto usati e abusati” nella predicazione e letteratura ecclesiastica. Eppure di Chiesa come popolo di Dio, “comunità di uomini e donne, in maggioranza laici, chiamati dal battesimo alla santità e all’apostolato, alla pienezza di vita in Cristo e alla diffusione del Vangelo” nella vita secolare, ricorda Herranz, aveva parlato, prima del Concilio, il fondatore dell’Opus Dei. E dopo il Concilio, che nella costituzione Lumen Gentium definisce la Chiesa “popolo di Dio corresponsabile” della missione evangelizzatrice, Paolo VI, di cui il cardinale ha parlato nel suo precedente libro “Nei dintorni di Gerico”, ha spinto nella rinnovata legislazione ecclesiastica “venissero descritti i diritti e i doveri di tutti i fedeli”, non solo della gerarchia, “dei ministri sacri o chierici”.

Questo, per Herranz, è uno dei motivi che può spiegare l’abbandono della pratica religiosa e la “mancanza di attaccamento alla Chiesa” tra tanti fedeli laici nelle nazioni di tradizione e cultura cristiana, nel Primo mondo dove benessere e consumismo, anche se frammiste a povertà e miseria, ispirano una vita vissuta “come se Dio non esistesse”. Forse, scrive, “questo distanziamento tra la gerarchia e il laicato” ha contribuito alla cosiddetta “apostasia silenziosa” di non pochi christifideles laici.

Una Chiesa monarchica

In un certo modo, chiarisce il novantenne cardinale, il cambiamento portato nella Chiesa dal Concilio, con il concetto di popolo di Dio “corresponsabile”, potrebbe assomigliare a quello che ha portato la Rivoluzione francese nell’organizzazione della società civile. Ma sarebbe sbagliato dire, in una visione umana, che si è passati da una “Chiesa monarchica” ad una “democratica”. Come pure che la possibile partecipazione dei fedeli laici all’esercizio della potestà ecclesiastica, come si stabilisce nella costituzione Praedicate Evangelium che riforma la Curia romana, in una visione clericale, sarebbe esclusivamente per concessione della gerarchia dei ministri ordinati, “senza connessione col sacramento del battesimo”. Sarebbe, per Herranz, “un disconoscere l’ecclesiologia di comunione (di collegialità e sinodalità)” che ispira il magistero dottrinale del Vaticano II e anche “la successiva riforma del Diritto universale della Chiesa”.

Il porporato spagnolo ricorda poi i punti più significativi dell’ecclesiologia di comunione, che non significa “trasformare la Chiesa in una specie di ‘repubblica’”, ma che “tutti i battezzati, incorporati a Cristo dal sacramento, si integrano in questo nuovo popolo di Dio e sono chiamati a partecipare attivamente” al compimento “della missione evangelizzatrice che Cristo ha affidato alla Chiesa nel mondo”. Nella Lumen Gentium si sottolinea che il sacerdozio ministeriale gerarchico è “al servizio del sacerdozio comune” dei fedeli, e in altri documenti conciliari vi sono norme per facilitare la partecipazione attiva di tutti i fedeli alla liturgia. Come pure viene messa al primo posto, nell’organizzazione di diocesi e parrocchie, la “comunità di fedeli” con la creazione di “consigli pastorali parrocchiali e diocesani”, e si sviluppa la dottrina “sui carismi personali in quanto doni dello Spirito Santo”.

Camminare insieme

È questo, sottolinea Herranz, il cammino sinodale per Papa Francesco, quel “camminare insieme” del popolo di Dio. Ed è dovere dei pastori “fare in modo che tutti gli altri fedeli si sentano realmente responsabili di questa missione comune di accogliere, ascoltare e discernere”. E visto che questa ricchezza dottrinale sulla Chiesa come popolo di Dio è rimasta lontana “salvo rare eccezioni, dalla realtà pastorale e vitale” dello stesso popolo, al cardinale sembra necessaria “una decisa conversione pastorale”. Le resistenze possono provenire, per lui, anche da un’ interpretazione “democratica” di norme come la creazione dei consigli pastorali, e dei concetti di “popolo di Dio”, “ecclesiologia di comunione” e “cammino sinodale”, che invece non possono essere considerati “contrari alla retta tradizione della Chiesa”.

L’autore di “Due Papi” dedica spazio quindi alle speranze e al “vento nuovo” portato dal quarto Sinodo voluto da Francesco, sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Ricorda, citandolo, che il Papa ha pensato l’itinerario del Sinodo come “un dinamismo di ascolto reciproco, praticato a tutti i livelli della Chiesa e facendo partecipe tutto il popolo di Dio”. E che non si tratta di “raccogliere opinioni”, non è “un’inchiesta” ma “si tratta di ascoltare lo Spirito Santo”, perché, spiegava il Papa il 18 settembre 2021 ai fedeli della diocesi di Roma “la sinodalità esprime la natura della Chiesa”.

Superare l’immagine di una Chiesa divisa tra dirigenti e subalterni

È via via diventato palese, sottolinea Herranz, che il cammino sinodale “non si limita ad ascoltare una piccola minoranza di cattolici” che “ha il tempo e l’interesse sufficiente per andare alle riunioni”. Ma, come ha spiegato il segretario generale del Sinodo, il cardinale Mario Grech, “la Chiesa, come madre, include tutti, anche coloro che non praticano”, perché “lo Spirito Santo non fa distinzioni, può comunicarsi con tutti”. Questo riunirsi e parlarsi, conclude l’autore, non è una forma democratica per “decidere a maggioranza il cammino da percorrere”, perché “tutti seguono il cammino indicato dalla parola di Dio”. I pastori, ricordava il Papa ai fedeli di Roma, camminano col popolo “davanti per guidare, in mezzo per incoraggiare e non dimenticare l’odore del gregge, dietro perché il popolo ha anche ‘fiuto’”. È il modo per superare “l’immagine di una Chiesa rigidamente divisa tra dirigenti e subalterni”.

Uomo di Chiesa dal cuore ecclesiale

Nei 20 capitoli precedenti, il cardinale Herranz, che Francesco definisce enfant terrible nella sua lettera-prefazione, perché pur a 93 anni non ha perso il piglio ironico e la voglia di raccontare, descrive fatti grandi e piccoli di cui è stato testimone, nei pontificati di Benedetto XVI e Francesco, con rimandi anche agli altri quattro Pontefici che hanno influenzato la sua vita. Papa Bergoglio scrive al cardinale di ammirare “la sua memoria e la sua giovane età”, e lo definisce anche un “uomo di Chiesa, un uomo dal cuore ecclesiale”. Invitandolo, alla fine, a curare la salute perché “possa continuare a fare le sue ‘marachelle ecclesiali’”.

Quasi quattrocento pagine ricche di citazioni dai discorsi rimasti storici dei due ultimi Papi, annotazioni personali, lettere ai Pontefici e resoconti dei suoi incontri con loro. Herranz, giustifica le sue lettere di “suggerimenti” e “proposte” a Benedetto e Francesco, con il fatto che “amo il Papa e preferisco dirgli lealmente quello che penso. Non indirettamente, per esempio con interviste ai media”. E testimonia, per entrambi, il grado eroico della loro “comprensione e pazienza con me”. Tanti i temi affrontati, anche quelli controversi, da Vatileaks, vissuto come presidente della Commissione di tre cardinali, con Tomko e De Giorgi, che nel 2012 indaga sulla sottrazione di documenti riservati dall’ appartamento di Papa Ratzinger, agli abusi su minori nella Chiesa, dalle dimissioni di Benedetto XVI fino alle ostilità contro i due Papi.

Benedetto XVI, Padre e dottore della Chiesa

Nella prima parte Herranz definisce Benedetto XVI, un “Padre e dottore della Chiesa per il ventunesimo secolo”, che ha saputo, come Papa, “rendere forti nella fede i suoi fratelli, con uno stile sottile e penetrante, e coniugare l’adeguamento dell’intelletto alla realtà, con una straordinaria capacità di ascolto e di dialogo con la cultura contemporanea. Ci ha invitato a passare dalle idee alla pratica, dal detto al fatto, dall’essere cristiano al vivere da cristiano”. Ricorda i suoi storici discorsi contro la dittatura del relativismo e “l’insufficienza razionale della cultura positivistica imperante” all’Onu come alla Westminster Hall di Londra, fino al Reichstag di Berlino.

Gli riconosce di aver affrontato “con decisione i gravissimi reati di abuso di minori” compiuti da membri della Chiesa. Ricorda che già da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel febbraio 1988, Joseph Ratzinger “ha sollevato per la prima volta nella Santa Sede l’opportunità di riconsiderare le norme giudiziarie canoniche e pastorali contro questi gravissimi reati, per facilitarne l’applicazione ed evitare l’errata prassi seguita fino ad allora”. Fu anche il primo Papa, testimonia Herranz, che “volle incontrare e ascoltare le vittime di questi crimini nei suoi viaggi pastorali”. Un’ azione che Papa Francesco ha intensificato con l’incontro mondiale su “La protezione dei minori nella Chiesa” del febbraio 2019 e con il successivo motu proprio “Vos estis lux mundi”. Il cardinale lamenta solo che la situazione provocata dall’ “orribile dolore” causato alle vittime, degli abusi, unita agli scandali finanziari in Vaticano”, “sta compromettendo in tutto il mondo i valori della Chiesa, come sacramento universale di salvezza, e la stessa credibilità del Vangelo che predica”.

Parlando delle “incomprensioni e attacchi” contro Benedetto XVI, molto forti nel 2010, il cardinale ricorda che, alla domanda di un vaticanista sulla loro ragione, rispose che era legata al suo “opporsi decisamente all’utopia, così attuale e pericolosa, della ‘libertà senza verità’” e al suo “alzare la voce contro una visione culturale e sociale di totale relativismo (che nega l’esistenza di verità e valori assoluti) e un esasperato individualismo nei diritti, a detrimento del bene comune”. Definisce le storiche dimissioni dell’11 febbraio 2013 come “un gesto di umiltà e carità eroiche, col quale il Papa ha dimostrato di amare più la Chiesa di sé stesso”. E anche nell’ultimo tweet pubblicato sul suo account prima di salire sull’elicottero. Il 28 febbraio, e lasciare il Vaticano per Castel Gandolfo, Benedetto XVI ha augurato ai fedeli “di sperimentare sempre l’allegria che dà mettere Cristo al centro delle nostre vite”. Non è per questo un uomo che si è limitato “a segnalare errori o pericoli”. Ma ha sottolineato che “il cristianesimo annuncia la realtà più positiva e gioiosa della storia: l’incontro di ogni essere umano con la Verità incarnata, con Cristo”. 

Benedetto XVI e Francesco: continuità di due magisteri

Nel suo libro, Herranz sottolinea anche la vicinanza e la continuità del magistero di Benedetto XVI in Francesco: “Soprattutto nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, egli è in linea con la sensibilità e la preoccupazione di Benedetto. Dio Creatore e Padre è allo stesso tempo colui che dà dignità teologica alla natura creata e che ci rende fratelli e sorelle”. “Da qui l’enorme dolore del Papa di fronte alla ‘guerra sacrilega’ in Ucraina e alle tante altre che rendono diabolicamente presente nel mondo l’ideologia del cainismo”, scrive ancora il cardinale, accennando alla grande preoccupazione e dedizione di Francesco per la ricerca della pace.  

Nella seconda parte, Herranz descrive Francesco come “innamorato” di Cristo e del prossimo, “uomo particolarmente contemplativo e comunicativo”. Che fa “pazzie” come il primo viaggio a Lampedusa, dopo le tragedie dei migranti morti nel Mediterraneo. Un viaggio che ha elogiato perché compiuto non come “capo di Stato” ma come “vicario di Cristo”, che dava priorità al suo servizio ai poveri, che andava a “con-patire” il dolore e “l’angoscia di tanti Cristi flagellati dalla mancanza di pace e di lavoro”. E inoltre ricorda la fervente preghiera in Piazza San Pietro, che il Papa ha guidato per le persone affette dalla pandemia nelle città di tutto il mondo. 

Ma Francesco, per il cardinale spagnolo, è anche una persona riflessiva e molto razionale. “Sa ascoltare il suo cuore, ma anche ponderare le sue ‘follie’ di innamorato”. E sottolinea anche il suo “affetto fraterno”, che gli fa trovare il tempo per tantissime lettere, telefonate e anche visite personali, perché “mi piace essere sacerdote”, ha commentato il Pontefice, coltivando “l’amicizia umana come occasione e mezzo di evangelizzazione”. Herranz elenca altre piccole “follie” del Papa gesuita, come l’uso di auto piccole e di un autobus per gli esercizi spirituali della Curia romana, i pasti nelle sale da pranzo comuni di Casa Santa Marta, e grandi come uno “stile di vita e di lavoro con orari e ritmi sommamente esigenti” senza periodi di riposo. Ma anche la scelta di cardinali da tutte le “periferie” del mondo, e le norme che hanno rinnovato l’organizzazione del Sinodo dei vescovi e quelle che hanno modificato l’organizzazione della Curia romana, “rendendo possibile la nomina di fedeli laici nei posti di governo dei dicasteri”.

La necessità di una riforma missionaria della “Chiesa in uscita”

Herranz dedica ampio spazio all’ esortazione “programmatica” di Papa Francesco, l’Evangelii gaudium, nella quale parla della “necessità di una riforma missionaria della ‘Chiesa in uscita’, la Chiesa intesa come la totalità del popolo di Dio che evangelizza, l’annuncio del Vangelo come speranza di salvezza per la società consumistica, la dimensione sociale dell’evangelizzazione, la gioia e l’uscire da se stessi come componenti della personalità cristiana”. Ed esprime “con particolare chiarezza e forza” principi classici della dottrina sociale della Chiesa come il no ad un “economia dell’esclusione” alla “nuova idolatria del denaro” e all’ “iniquità che genera violenza”. Francesco, per l’anziano porporato, “non nega la necessità del libero mercato produttore di ricchezza ma, allo stesso tempo, ne sottolinea i limiti etici”.

Un magistero sociale, spiegato nell’enciclica Laudato sì, che ha provocato campagne di opinione contro Francesco, promosse, ricorda Herranz, “da grandi imprenditori dell’industria nordamericana mineraria del carbone, così come alcune compagnie petrolifere”. Di fronte all’innegabile evidenza del cambiamento climatico, “causato in gran parte dalla combustine di idrocarburi”, il Papa nel 2018 e 2019 ha ricevuto in udienza gli amministratori delle maggiori imprese petrolifere, da Exxon Mobil a Shell, Bp e Eni, e “li ha invitati a studiare, con l’aiuto di alcune accademie pontificie, la transizione energetica a fonti rinnovabili e non contaminanti”. Il cardinale spagnolo ricorda infine anche l’opposizione a Papa Bergoglio di cattolici “conservatori” e antiabortisti statunitensi che “hanno smesso di essere ‘pro vita’” e si dimenticano della sua difesa davanti alle “innumerevoli morti annuali a causa della povertà o mancanza di assistenza medica, la pena di morte, il numero crescente di morti come conseguenza della vendita facile di armi da fuoco”