Golpe a Khartoum

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il primo ministro sudanese, Abdallah Hamdok, è stato arrestato  da  non meglio identificate forze militari, così come diversi esponenti civili, tra cui i ministri che facevano parte del Consiglio sovrano. Proprio questo organismo “misto”, che finora è stato guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhane, in base alla nuova Costituzione avrebbe dovuto lasciare il posto a un rappresentante civile. Dei gravi fatti di queste ore in Sudan, dopo la fine del regime trentennale di Bashir e due anni di speranze e contrasti, abbiamo parlato con Bruna Sironi, corrispondente da Nairobi per la rivista dei Comboniani “Nigrizia”:

Ascolta l’intervista con Bruna Sironi

Sironi conferma che da Khartoum si riferisce di “restrizioni nell’accesso alle telecomunicazioni”, il che rende difficile avere notizie su quanto sta accadendo. Sembra accertata l’interruzione di Internet e confermata la chiusura dell’aeroporto principale del Paese. Inoltre fonti del ministero dell’Informazione hanno riferito via facebook dell’irruzione di forze militari nella sede della radio e della tv e di alcuni dipendenti portati via dai soldati. Si sa che il ministro dell’Industria è stato arrestato dopo aver postato sui social la notizia di una presenza militare davanti alla sua abitazione. Sironi cita l’Associazione dei professionisti del Sudan, il principale gruppo politico pro-democrazia del Paese, sottolineando che l’Associazione stessa ha denunciato il colpo di Stato in atto ed ha invitato la popolazione a scendere in piazza per protesta. Nelle strade però – spiega – sono scesi reparti dell’esercito per bloccare sul nascere ogni manifestazione e le grandi arterie verso la capitale sono chiuse.

La speranza nel processo costituzionale

Sironi ricorda che nelle prossime settimane il Consiglio sarebbe dovuto passare sotto il controllo più diretto dei civili, in un processo costituzionale di transizione che dalla “rivolta del pane” del 2019 doveva condurre verso nuove elezioni democratiche previste per il 2023. E’ un duro colpo per il Paese di oltre 40 milioni di abitanti, il terzo più vasto dell’Africa, considerato cerniera cruciale con il mondo arabo a Est e con i Paesi del Sahel sempre alle prese con le fiammate jihadiste.

L’aspetto economico e l’ombra del terrorismo

E’ chiaro – nelle parole di Sironi – il riferimento alla situazione economica: i capi militari accusano i civili di non essere in grado di contrastare le crescenti difficoltà economiche in cui versa il Paese. Le difficoltà vengono anche accentuate dai blocchi sui trasporti in particolare nell’est del Paese. Sono blocchi di varia natura, tra scioperi e interdizioni, ma, comunque, vanno a incidere sui commerci di petrolio e di grano, di cui il Paese ha bisogno. E nelle ultime settimane si sono alternate nelle piazze della capitale Khartoum manifestazioni pro-democrazia e assembramenti di gruppi inneggianti a un nuovo golpe militare. Inoltre, Sironi richiama l’attenzione al tentativo di golpe di fine settembre, che era stato attribuito a nostalgici del dittatore Omar al-Bashir, deposto nel 2019, e che – spiega – ha messo in ogni caso in luce un elemento che può essere preoccupante: la presenza di una cellula con base logistica e armi a Khartoum.

Le prime reazioni internazionali

Gli Stati Uniti sono stati i primi a esprimere preoccupazione per le notizie da Khartoum. Sono “fortemente allarmati” secondo i messaggi sui social network dell’inviato per il Corno d’Africa, Jeffrey Feltman, secondo cui questi annunci vanno “contro la dichiarazione costituzionale che deve regolare la transizione nel Paese e le aspirazioni democratiche del popolo sudanese”.