Debora Donnini e Tiziana Campisi – Città del Vaticano
È stato un discorso incentrato sulla pace quello che Papa Francesco ha rivolto lunedì ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, in occasione degli auguri per il nuovo anno. Un appuntamento annuale consueto, quello con gli ambasciatori, le loro famiglie e i loro collaboratori, che il Pontefice quest’anno ha voluto come “un’invocazione di pace in un mondo che vede crescere divisioni e guerre” e in cui è il dialogo che contribuisce a costruire il valore della pace e della fraternità umana. E infatti, compito della diplomazia, ha detto Francesco, è “quello di appianare i contrasti per favorire un clima di reciproca collaborazione e fiducia per il soddisfacimento di comuni bisogni”. Ma è alla minaccia del nucleare che il Papa ha fatto riferimento, anzitutto, descrivendo le sue preoccupazioni nei confronti dell’umanità che sta vivendo “la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti”.
C’è una crisi dell’ordine internazionale, spiega il professor Agostino Giovagnoli, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, intervistato da Vatican News, e i diversi conflitti, nel mondo, sono legati l’uno all’altro. Per questo è necessaria una risposta di pace globale, da qui il richiamo alla Pacem in terris di Giovanni XXIII.
Professor Giovagnoli, un discorso ampio e articolato quello di Papa Francesco. “La pace – sottolinea – non può reggersi sull’equilibrio delle forze, ma sulla via di un disarmo integrale”. Cosa la colpisce di più delle parole del Papa di questo discorso?
Questo discorso è molto ampio, e questa, forse, è la prima cosa su cui riflettere. È come se Papa Francesco avesse voluto fare un quadro generale di cosa vuol dire oggi la pace nel mondo, realizzare la pace nel mondo, e questo non è scontato. Si lega, io credo, a quella preoccupazione, che lui ha espresso chiaramente, all’interno di questo discorso, per una crisi dell’ordine mondiale, una crisi delle organizzazioni internazionali, come l’ONU, che, in qualche modo, sono chiamate a presidiare questo ordine internazionale, dunque, a garantire la pace. E come se il mondo fosse a pezzi, e il mondo a pezzi è anche il mondo di una terza guerra mondiale a pezzi. E la crisi di questo ordine internazionale si riflette in una conflittualità diffusa, che è legata; nel senso che ogni guerra, ogni crisi – e il Papa le ha elencate praticamente tutte – ogni conflitto è legato agli altri. E probabilmente è così: ci sono dei legami profondi che sono, appunto, l’espressione di questa crisi globale. Dunque la risposta deve essere globale, e questo, credo, sia la spiegazione dell’ampiezza di questo discorso e anche, specificamente, del riferimento alla Pacem in terris. È vero che c’è un motivo, cioè l’anniversario di questa enciclica di Giovanni XXIII del 1963, ma non è soltanto questo il motivo per ricordarla, è anche il fatto che quell’enciclica da un lato rispondeva a una crisi gravissima perché è stata scritta dopo la crisi di Cuba in cui si è rischiata, davvero, una terza guerra mondiale – che per fortuna non c’è stata, anche, un po’, per l’intervento dello stesso Giovanni XXIII -, dall’altra questa enciclica ha cercato di pensare la pace in termini più globali. Quindi, credo che questa sia stata l’ispirazione fondamentale anche del discorso che ha fatto Papa Francesco.
Il Papa parla proprio di una terza guerra mondiale, nel senso che i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti. E fa l’esempio dell’Ucraina, ricordando, anche, le ripercussioni di questo conflitto su tantissimi Paesi nel mondo. Come influiscono, in questo discorso di interconnessione, le armi atomiche, il cui possesso il Papa definisce immorale?
Le armi atomiche sono la cartina di tornasole della connessione che lega i vari conflitti, anche quelli che sembrano specificamente locali. In questi mesi se ne è tornato a parlare per un motivo molto preciso, perché il conflitto tra Russia e Ucraina, l’aggressione della Russia all’Ucraina, ha fatto sì che evocasse l’uso di queste armi. Oggi si parla di armi nucleari tattiche, limitate, ma comunque si è tornati a parlare della possibilità di un uso delle armi nucleari, anche in connessione alle difficoltà che la Russia ha di vincere questa guerra. E questo fa capire che il confine, la distinzione fra conflitto locale e conflitto globale è molto esile, perché l’arma nucleare, di per sé, è un’arma che coinvolge tutti, è un’arma mondiale. Questo era molto chiaro ai tempi di Giovanni XXIII ed è molto chiaro nel momento in cui scoppi la distensione all’interno della guerra fredda, proprio per evitare che si ricorra ad armi nucleari, che sono armi distruttive, autodistruttive, distruttive di tutta l’umanità per la loro tremenda potenzialità E quindi, anche oggi, tornare a parlare di armi nucleari, pure senza usarle ma solo parlarne è qualcosa che non dovrebbe accadere, perché è molto grave e preoccupante. Ecco perché si torna anche a fare una riflessione, come fa Papa Francesco, su un accordo, un ampio accordo, che coinvolga tutti i Paesi, un accordo complessivo. Giustamente Papa Francesco va alla radice del problema: non basta non usarle, bisogna non possederle. Perché già possederle, in qualche modo, è molto pericoloso.
Il Papa parla anche della questione delle donne considerate in molti paesi cittadine di seconda classe – e lo vediamo dalla cronaca attuale -, e ancora parla, anche, di un presunto diritto all’aborto. Un tema di grande attualità…
Si, è un tema di grande attualità, purtroppo, perché c’è un atteggiamento sempre più incline a considerare l’aborto come un diritto. Giustamente il Papa nega questo, nega la possibilità che si parli dell’aborto come di un diritto, perché, in realtà, l’aborto contraddice un diritto fondamentale: il diritto alla vita del nascituro. Da questo punto di vista è molto forte il suo appello a difendere questa vita che è assolutamente incapace di difendere sé stessa, non ha nessuno strumento per difendersi. Il nascituro è esposto totalmente alla volontà degli altri, e anche alla volontà di chi vuole abortire. È una battaglia per la vita, per le vite, per quelle vite di coloro che devono ancora nascere e che, essendo particolarmente esposti, devono essere fortemente tutelati dal diritto, dalla legge. Quindi bisogna rovesciare questa logica dell’aborto come diritto, perché invece si tratta di un diritto fondamentale di ogni essere umano, del diritto alla vita. Ed è anche molto significativo questo ritornare sul tema delle donne e dei loro diritti, mi sembra che il Papa citi questo problema sotto vari profili. Tre o quattro volte, nel corso del discorso, il Papa ha voluto dare grande attenzione al problema – ha citato anche il caso dell’Iran -; ha collegato il problema della crisi della democrazia anche a un problema di mancanza di rispetto dei diritti delle donne.
Il Papa ha parlato anche di paura della vita, che si traduce, ad esempio in Italia e in alcuni Paesi, nel timore a formare una famiglia, a mettere al mondo dei figli…
Questo è un problema storico. Storico perché non è soltanto un fatto passeggero. La crisi della natalità, per esempio in l’Italia, è cominciata da molti decenni, e già dagli anni ‘70 ormai gli italiani non sono più in grado di mantenere l’equilibrio demografico, perché il numero dei figli non rimpiazza la generazione precedente. Questo è un fenomeno diffuso, non solo in Italia, è un fenomeno soprattutto occidentale e pone un grande problema di futuro, perché una società senza figli è una società non solo che non ha un futuro, ma che non riesce neanche immaginare un futuro, perché c’è bisogno di energie giovani. La paura nasce anche dal fatto che siamo privi di quelle energie che è normale che in ogni società ci siano. Che si facciano sempre meno figli è molto legato al fatto che le nostre società non sanno immaginare sé stesse e il proprio futuro.
Probabilmente è anche indice di una crisi esistenziale e di fede profonda questa paura della vita. Il Papa parla ancora di persecuzione per motivi religiosi. “Non posso non menzionare – dice – come alcune statistiche dimostrano che un cristiano ogni sette viene perseguitato”. E parla anche del totalitarismo ideologico che promuove l’intolleranza nei confronti di chi non aderisce a pretese posizioni di progresso. E dice anche: “Risorse sempre maggiori sono state impiegate per imporre, specialmente nei confronti dei paesi più poveri, forme di colonizzazione ideologica, creando peraltro un nesso diretto tra l’elargizione di aiuti economici e l’accettazione di tali ideologie. Ciò ha affaticato il dibattito interno alle organizzazioni internazionali”. Anche questo segno di totalitarismo ideologico è un segno di crisi?
Si, è un segno di crisi. Perché è un rovesciamento, per cui la pretesa di imporre determinate logiche, che vorrebbero essere logiche di tolleranza, in realtà si ribalta nell’intolleranza. Qui c’è, certamente, anche una logica che si impone nei confronti dei paesi più poveri, e che quindi è una logica che esprime degli interessi forti, di grandissimo interesse economico, i quali interessi vogliono influire, anche sotto il profilo ideologico, su coloro che non sono in grado di resistere a queste pressioni. Papa Francesco parla di uno scambio tra aiuti economici e imposizione di ideologie, che sono ideologie funzionali, a questi interessi economici, funzionali al consumismo, agli interessi delle multinazionali e così via. Papa Francesco ha ripreso un tema che aveva già affrontato prima ancora di diventare Papa. Più volte, vedendo nella sua Argentina quanto facilmente si imponessero delle logiche che venivano da lontano, ricattando la fragilità di popoli che non hanno le risorse anzitutto economiche, politiche, per difendere la propria autonomia, la propria cultura e la propria identità. In questo senso Papa Francesco parla anche di colonizzazione.