Osservatore Romano
Un’immagine che sembra venire dallo spazio: il bianco del ghiaccio e il blu scuro dell’Oceano. Un’istantanea raccolta da Placemark, nel profondo sud lungo le coste dell’Antartide. Il satellite ferma il momento esatto in cui alcuni iceberg si staccano dalla crosta di ghiaccio che ricopre il sesto continente per iniziare il viaggio che li porterà a spegnersi un poco alla volta nell’Oceano. Un fenomeno sempre più comune. A confermarlo è una ricerca condotta dall’ INGV (Istituto Nazionale italiano di Geofisica e Vulcanologia): un team di ricercatori ha evidenziato come nei 25 anni compresi tra il 1992 e il 2017, siano state ben 2.700 miliardi le tonnellate di ghiaccio perse complessivamente dall’Antartide. Inoltre, i dati indicano una sensibile accelerazione del tasso di scioglimento, passato dai circa 49 miliardi di tonnellate l’anno perse tra il 1992 e il 1997 ai 219 miliardi di tonnellate sciolte tra il 2012 e il 2017. Le conseguenze di quanto sta avvenendo sono molteplici: dal rischio di modificazioni delle correnti oceaniche, da cui dipende lo stesso clima, all’allagamento di porzioni di costa, per non parlare della scomparsa di vere e proprie isole. L’innalzamento del livello del mare – legato non solo allo scioglimento dei ghiacci polari – è infatti uno degli effetti più evidenti del cambiamento climatico: secondo i dati della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), l’aumento è di circa 3,2 mm ogni anno e nei prossimi 30 anni la crescita registrata sarà pari a quella dell’ultimo secolo mettendo a rischio in tutto il mondo circa cinquanta città e centinaia di isole.