L’Osservatore Romano
I confini sono netti, precisi e la loro avanzata inarrestabile. Vista dal cielo la distruzione dell’Amazzonia appare come un processo chirurgico: al centro la foresta ancora vergine, tutto attorno una cornice scavata da bulldozer e motoseghe. Ci troviamo nello stato brasiliano di Rondônia, al confine con la Bolivia, un’area soggetta alla deforestazione che potrebbe presto subire un’ulteriore ferita: l’Istituto brasiliano dell’ambiente e delle risorse naturali rinnovabili (Ibama) ha infatti concesso il via libera preliminare al rifacimento dell’autostrada che collega Manaus alla capitale dello Stato di Rondônia, Porto Velho, tagliando in due la foresta. Un percorso di 405 chilometri che il presidente Bolsonaro vuole potenziare e rendere percorribile tutto l’anno come volano di sviluppo, ma che le associazioni ambientaliste vedono come un incredibile acceleratore della deforestazione già in atto.
Nel 2014 nel corso di un summit sul clima alle Nazioni Unite governi, compagnie private, popoli indigeni e comunità locali hanno siglato la Dichiarazione di New York sulle Foreste (NYDF) con l’impegno di porre fine alla distruzione delle foreste naturali entro il 2030 e a ripristinare 350 milioni di ettari di terreno. Un obiettivo lontano dall’essere raggiunto: l’ultimo rapporto redatto dalla stessa NYDF nel 2021 denuncia come la deforestazione nel mondo proceda al ritmo di 10 milioni di ettari all’anno, mettendo a rischio quelle che sono, nei fatti, incubatrici insostituibili di biodiversità. Tra le principali cause il reperimento di terreni per allevamento, l’impianto di monocolture e lo sfruttamento minerario.