Roberta Barbi – Città del Vaticano
Gratitudine, riconoscenza, rispetto, stima. È un crescendo l’espressione dei sentimenti che attraverso la speciale Lettera ai Curanti pubblicata dalla Pastorale sanitaria della Cei tutti quanti noi vorremmo manifestare al popolo di medici e sanitari che quotidianamente si prendono cura di noi e delle nostre famiglie, soprattutto ma non solo in questi ultimi due anni di pandemia. E quale migliore occasione per farlo se non la Giornata Mondiale del Malato che nella sua 30.ma edizione quest’anno si svolge all’insegna del tema “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”, tratto dal Vangelo di Luca, e riflette sulla necessità di “porsi accanto a chi soffre in un cammino di carità”.
La malattia mentale e il problema dell’accesso
Nel delineare il contesto storico, aggravato dalla pandemia, in cui i sanitari di oggi si muovono, i vescovi hanno sottolineato in particolare la questione di una specializzazione che diventa sempre più tecnologica e meno umana. A questo si aggiungono particolarismi e regionalizzazioni, divari incolmabili tra una parte e l’altra del nostro Paese, le cui fragilità sono state ulteriormente portate sotto i riflettori dalla crisi del Covid e che si concretizzano soprattutto nella problematica degli “irraggiunti”, cioè coloro che, pur avendone diritto a titolo gratuito, non riescono ad accedere alle prestazioni sanitarie. C’è, poi, la delicata questione dell’intreccio tra situazione sanitaria ed economica: spesso, ormai i medici si trovano a dover curare anche “altro”, specie nel campo della malattia mentale che richiede sempre maggior attenzione e sensibilità.
I rischi della disumanizzazione
Se la pandemia ci ha fatto riscoprire la nostra fragilità, ci ha però anche insegnato un rinnovato amore e attaccamento alla vita intesa non solo in senso biologico ma affettivo e relazionale, di cui dobbiamo ringraziare soprattutto i sanitari per l’abnegazione con cui hanno mostrato di esercitare la loro professione, interpretando in questo senso il ruolo di testimoni. Fa male, quindi, sottolineano i vescovi, venire a conoscenza dei “continui episodi di aggressione” ai danni di medici e sanitari, che “generano nel personale un senso di abbandono e solitudine che umilia sia la dimensione umana che quella professionale. In coloro che sono in prima linea vengono individuati obiettivi da colpire per responsabilità che non appartengono a loro”. È un modo errato, questo, di confrontarsi con il senso del limite, con la finitudine umana che è caratteristica di tutti, e non solo di medici e sanitari. Infine, ma non ultima tra le preoccupazioni, la crescente burocratizzazione del lavoro che rischia, ancora una volta, di disumanizzarlo.
La speranza oltre la malattia
Sperare nell’uomo e confidare in Dio sono altre due costanti del lavoro di medici e sanitari. La speranza, oggi, si concretizza anche nel constatare che un sempre crescente numero di giovani si dedica a queste professioni per natura portate a realizzare il bene, ma anche nell’auspicio di un generale miglioramento delle condizioni in cui esercitarle, in un futuro prossimo. L’ultima riflessione offerta dalla Lettera ai Curanti, indica come esempio i Santi della sanità, Santi della bellezza, della speranza e della cura. La malattia, infatti, spesso dalla sfera fisica dell’uomo invade quella spirituale: ecco perché è importante che accanto a medici e pazienti ci siano assistenti spirituali e cappellani che collaborano nella cura dell’anima; perché i malati non siano più ridotti a semplici codici sanitari, corpi di cui si considera solo l’organo non funzionante o la patologia, ma vengano accolti nella loro totalità e unicità di persone. “Quando s’incontrano due persone, il curante e il curato, nasce la vera presa in carico – conclude la Lettera – il paradosso della cura è che il paziente diventa strumento di realizzazione umana, non solo professionale, e di esperienza di grazia per il Curante”.