Dal suo profilo X l’organismo Onu stigmatizza la strage avvenuta ieri, 10 agosto, nella scuola di Al-Tabai’een, a Gaza City, dopo un attacco israeliano sull’edificio considerato un covo di Hamas: “Negli ultimi dieci mesi, più del 50% delle scuole utilizzate come rifugi a Gaza sono state direttamente colpite, con conseguenze devastanti”. Il communication officer Salim Oweis: “La guerra inarrestabile continua a infliggere orrori ai bambini”
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Anche l’Unicef stigmatizza la strage avvenuta ieri, 10 agosto, nella scuola Al-Tabai’een, nel settore Al-Sahaba a Gaza City, presa di mira dall’esercito israeliano con tre attacchi consecutivi per stanare membri di Hamas, provocando quello che la protezione civile locale ha definito un massacro atroce con almeno 100 morti e dozzine i feriti, secondo quanto riferito dalle autorità palestinesi. “Notizie terribili”, ha scritto l’organismo Onu per l’infanzia dal suo profilo ufficiale su X, “bambini uccisi e feriti in un luogo che credevano fosse sicuro. Le scuole e i rifugi devono essere protetti e questa violenza contro i bambini deve cessare”. “Negli ultimi dieci mesi – afferma sempre Unicef sulla piattaforma social – più del 50% delle scuole utilizzate come rifugi a Gaza sono state direttamente colpite, con conseguenze devastanti per i bambini e le famiglie. Scuole e rifugi non devono essere attaccati. I bambini devono essere al sicuro”.
Quella dei bambini a Gaza non è una vita
E di bambini e dell’orrore continuo che subiscono a causa di questa “guerra inarrestabile” parla pure il communication officer dell’Unicef, Salim Oweis, in una dichiarazione in cui si dice “scioccato dalla profondità delle sofferenze, della distruzione e degli sfollamenti diffusi a Gaza”. “I video che il mondo vede in televisione danno una visione importante dell’inferno che la gente sta sopportando da oltre dieci mesi. Ciò che non mostra appieno è come dietro gli edifici sbriciolati, interi quartieri, mezzi di sussistenza e sogni sono stati rasi al suolo”, afferma.
“Quando si vede l’immagine di una madre sfollata che porta sulle spalle il proprio figlio e tutte le sue cose, non si vedono centinaia di persone sradicate che la seguono lungo la strada. La vita di un bambino a Gaza, nel decimo mese di questo conflitto, non è una vita. Non lo diremo mai abbastanza: non c’è un posto sicuro e tutto sta finendo: cibo, acqua, carburante, medicine. Tutto”, sottolinea Oweis. “Quando si cammina attraverso i labirinti di rifugi di fortuna, si fa fatica ad arrampicarsi sulla sabbia su cui sono adagiati e si sente il forte odore di liquami che riempie i sentieri intorno. Si rimane colpiti dai tanti bambini che si aggirano intorno e che fanno una sola domanda: Signore, quando finirà la guerra?”.
L’emergenza acqua e rifiuti
Un altro problema enorme sono l’acqua e i rifiuti: “A Deir al-Balah, dove la maggior parte degli sfollati è fuggita negli ultimi mesi, si stima che il sistema igienico-sanitario parzialmente funzionante sia sovraccarico di sette volte la sua capacità a causa di queste massicce ondate di sfollamento nella zona. Di conseguenza, la rete fognaria vecchia di decenni è per lo più intasata e perde”, riferisce il rappresentante Unicef. “Le famiglie mi hanno chiesto urgentemente sapone e prodotti per l’igiene. Stanno usando acqua e sale per pulire i loro bambini o acqua bollente con limoni per cercare di curare le eruzioni cutanee. Mi dicono che i medici non hanno la capacità o le medicine per curarle, con casi medici più gravi che arrivano ogni ora e senza scorte sugli scaffali. E così, le eruzioni cutanee si diffondono”.
Mancanza di medicine per i malati gravi
C’è poi l’altra grave emergenza della mancanza di medicinali per i bambini con condizioni preesistenti come il cancro e le malattie congenite. Salim Oweis racconta dell’incontro nell’ospedale di Al-Aqsa con Abdel Rahman, 10 anni, ferito a una gamba durante un attacco aereo: “La sua gamba non è mai guarita e, dopo aver consultato i medici, gli è stato diagnosticato un cancro alle ossa. Sua madre Samar mi ha detto con voce rotta: ‘Vorrei che mio figlio morisse e non soffrisse come sta facendo ora. Riesci a credere che lo desidero ora?’. Un bambino affetto da una malattia nella Striscia di Gaza è stato condannato a una morte lenta perché non può ricevere le cure di cui ha bisogno, ed è improbabile che sopravviva abbastanza a lungo per uscirne”, commenta il communication officer. “La loro unica speranza di sopravvivenza è il cessate il fuoco. I bambini di Gaza si aggrappano ancora alla convinzione che questo giorno arriverà, e l’Unicef condivide questa speranza. Raggiungere un cessate il fuoco è ancora possibile, è più che mai necessario e molto atteso, e tutti devono fare tutto ciò che è in loro potere per sostenerlo”.
Minori separati dai loro cari
In mezzo a questi “orrori” che la guerra continua a infliggere a migliaia di minori, separati dai loro cari, ci sono anche piccoli segni di speranza. Sempre Oweis riporta nella sua dichiarazione di un altro incontro, questa volta con Yahya, bimbo di 8 mesi: “Quattro giorni e diversi tentativi più tardi, dopo un lungo e pericoloso viaggio insieme, attraverso i check point militari nel nord della Striscia di Gaza, Yahya ha incontrato suo padre, Zakaria, per la prima volta. Il piccolo Yahya è nato all’ospedale Kamal Adwan il 27 novembre 2023. Il bambino è nato prematuro ed è stato trasferito all’ospedale di Shifaa per le cure mediche neonatali. Poco dopo, un’operazione militare ha avuto luogo intorno all’ospedale di Shifaa e il bambino è stato evacuato all’ospedale Al-Aqsa di Deir al-Balah, nel centro della Striscia di Gaza. Ma i suoi genitori sono stati costretti a rimanere nel nord. Una volta guarito, Yahya è stato affidato a un centro di accoglienza temporaneo e tenuto al sicuro grazie al sostegno dell’Unicef e dei partner, che sono riusciti a rimanere in contatto con la sua famiglia. Infine, è arrivato il momento di riunirlo con la madre e il padre, che hanno dovuto sopportare mesi di incertezza e paura prima di poterlo stringere tra le mani”.
“Il successo della missione, che ha coinvolto sette bambini di quattro famiglie – sottolinea il delegato Unicef – ha rappresentato un raro momento di gioia in un ambiente altrimenti desolato. Ma non è stata priva di complessità. Alla nostra missione è stato negato l’accesso già tre volte, nonostante il precoordinamento e le approvazioni iniziali. Solo due settimane prima, un’altra auto dell’Unicef in missione di riunificazione era stata colpita da tre proiettili, mentre aspettava in un punto di detenzione sulla strada per il nord. Ma la nostra piccola vittoria – vedere Zakaria piangere di gioia e di sollievo – è il motivo per cui persistiamo nonostante le numerose sfide”.