Gli ospedali andrebbero salvaguardati dagli attacchi bellici. È il monito del dottor Raid Haj Yahya, volontario per Medici per i diritti umani che vive a Wahat al Salam, dove ebrei e palestinesi coabitano nel rispetto di un modello di uguaglianza, democrazia e reciproca legittimazione. Tra i promotori del Programma di Aiuti Umanitari a favore degli ospedali di Gaza, attivo da vent’anni, denuncia le ultime emergenze sanitarie con l’appello a garantire le cure ai malati e il lavoro dei medici
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Israele, Hamas e Stati Uniti sarebbero vicini ad un accordo preliminare per una imminente liberazione degli israeliani tenuti in ostaggio a Gaza. In cambio, riporta il quotidiano statunitense Washington Post, vi sarebbero cinque giorni di pausa nei combattimenti. Per il momento non vi sarebbero però conferme a tali ipotesi, come indicato dalla stessa Casa Bianca, secondo la quale non ci sarebbe un accordo, ma si starebbe “lavorando duro per arrivarci”. E mentre il gabinetto di sicurezza israeliano avrebbe approvato la decisione di fare entrare ogni giorno, per ragioni umanitarie, una certa quantità di carburante a Gaza, si continuano a contare le vittime dei bombardamenti sulla Striscia. E l’ospedale Al-Shifa di Gaza, dichiarata ormai ‘zona di morte’ dall’Oms, sarà completamente evacuato dei quasi 300 pazienti e 25 sanitari rimasti.
Un potente grido a fermare la guerra arriva da Raid Haj Yahya, medico volontario per Medici per i diritti umani Israele, impegnato da anni in missioni a Gaza. Il suo appello, di cui si fa portavoce l’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al Salam, è proprio a sostegno degli ospedali della Striscia di Gaza.
La situazione è drammatica
La Striscia di Gaza il dottor Yahya la conosce bene, lì ci sono molti suoi amici e colleghi ma che non riesce ormai da giorni a sentire. Lui vive a Neve Shalom Wahat al-Salam, un villaggio situato su una collina a mezz’ora da Tel Aviv-Jaffa e da Gerusalemme. È la sola comunità presente oggi in Israele in cui ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana, risiedono insieme per scelta, e rappresenta un modello di uguaglianza, democrazia, rispetto e reciproca legittimazione. Vi abita un centinaio di famiglie. Il medico spiega che tutte le campagne precedenti per aiutare i centri sanitari di Gaza fino a due mesi e mezzo fa erano andate a buon fine e la situazione reggeva. Adesso “la situazione è drammatica. Mancano la benzina, l’acqua, l’elettricità, le medicine, i presidi medici. Non ci sono posti in altri ospedali”, denuncia.
Il progetto dell’Oasi di pace per gli ospedali di Gaza
Il Programma di Aiuti Umanitari lanciato dai residenti, ebrei e palestinesi, a favore degli ospedali di Gaza esiste da vent’anni ed è gestito interamente dagli abitanti dell’Oasi di pace. Con l’aiuto del dottor Raid Haj Yahya, intende acquistare e consegnare medicinali, attrezzature e strumentazione medica. Da diversi anni il medico fornisce, come volontario, chirurgia e supporto agli ospedali di Gaza insieme ad altri professionisti del settore sanitario. Il progetto intende assicurare assistenza e cure d’emergenza e, in seconda battuta, sostegno alla salute mentale per le centinaia di migliaia di bambini e bambine traumatizzati dal conflitto. L’Associazione Italiana si unisce alla raccolta fondi avviata, in parallelo, anche dalle altre associazioni amici del Villaggio sparse in diversi Paesi, tra cui Stati Uniti, Germania, Regno Unito.
Urge proteggere i malati e il personale sanitario
Gli aiuti umanitari non riescono a far breccia nella Striscia, lamenta ancora il medico. “Non ci sono anestetici per le operazioni e i kit sanitari di necessità. E non solo in quell’ospedale, ma in tutti gli ospedali di Gaza. C’è urgenza di far entrare gli aiuti fondamentali e togliere il blocco su queste strutture perché possa continuare il lavoro dei medici”. Raid Haj Yahya non si stanca di ripetere l’appello:”Non è rimasto niente per poter dare il minimo di servizio sanitario, soprattutto per i malati dializzati e i neonati. Non c’è più alcuna speranza di vita se continua così”. Ricorda che nell’ultima visita effettuata ad Al-Shifa, “la situazione dell’ospedale era abbastanza buona sia per i malati che per il personale. Si poteva entrare e uscire tranquillamente. Ma da quando c’è la guerra il sostegno umanitario è stato insufficiente”.
Smettere di uccidere civili inermi
“Chiediamo a tutte le organizzazioni e le istituzioni internazionali ad alta voce un intervento per far entrare l’acqua e togliere l’assedio perché i medici e gli infermieri possano fare il loro lavoro. Almeno far uscire i malati per dirottarli in altre strutture”, queste le parole del dottor Raid Haj Yahya. Il suo grido si unisce a quello di coloro che non possono più assistere alla carneficina: “Bisogna smettere di uccidere persone innocenti e inermi, loro non sono soldati e non hanno nulla a che fare con la guerra. Bisogna proteggere i civili. Bisogna fermare questa guerra”, è l’appello. “Gaza è interamente distrutta. Il nord è privo di servizi medici operativi ed efficaci. Sono stati distrutti 26 ospedali, sono fuori uso. Fermare la guerra, fermare la guerra”.