Dal Liechtenstein, dove si trova in visita, il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali illustra l’azione della Santa Sede nella mediazione dei conflitti e denuncia una profonda crisi del sistema multilaterale e delle grandi organizzazioni, in particolare dell’Onu e invita la comunità internazionale al recupero dello ‘spirito di Helsinki’: quella vaticana è la diplomazia della riconciliazione opposta alla diplomazia delle rivendicazioni di parte
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Siamo tutti affamati di pace e questa pace non può essere raggiunta se non si percorrono cammini di riconciliazione. È quanto esprime l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, nel suo intervento “La diplomazia e il Vangelo” pronunciato in Liechtenstein, dove è in visita oggi 24 aprile e domani, nel corso della conferenza “Diplomacy and the Gospel”, presso il municipio della capitale Vaduz.
La minaccia della guerra in Europa, nulla si può dare per scontato
Nel suo ampio contributo monsignor Gallagher parla di diplomazia pontificia ispirata al Vangelo e quindi sempre a favore della pace e della dignità umana, avendo come filo rosso la misericordia. Le preoccupazioni per la guerra in Ucraina sono inevitabilmente più volte ricordate nelle sue parole: “Ora che anche l’Europa sente più che mai la minaccia per la pace, essendo ferita dalla tragica guerra di aggressione della Russia contro la martoriata terra ucraina, non si può dare più nulla per scontato”, osserva il presule. Rimanda all’insegnamento costante del Vangelo che educa proprio come nessun’altro, all’arte del movimento verso la pace, ‘tirando fuori’, per così dire, le persone, le nazioni, i popoli dalla spirale della guerra, del rancore e dell’odio, per portarli sulla strada del dialogo e della ricerca del bene comune.
Ancora mancano spiragli per una mediazione di pace tra Russia e Ucraina
Insiste, il rappresentante vaticano, nell’evidenziare come “la diplomazia pontificia non ha interessi di potere: né politico, né economico, né ideologico”. Perché, precisa, non è una diplomazia come quelle dei singoli Stati che curano interessi propri ma tiene alla promozione del bene comune. Può pertanto la Santa Sede rappresentare “con maggiore libertà agli uni le ragioni degli altri e denunciare a ciascuno i rischi che una visione autoreferenziale può comportare per tutti”. In virtù di questo, del resto, nella situazione emergenziale della pandemia o dello stesso conflitto in Ucraina, appunto, Papa Francesco è considerata più che mai dai grandi del mondo un’autorità morale e un punto di riferimento notevole, tanto che ne invocano il suo intervento e la sua mediazione: ne riconoscono infatti la sua vocazione di Pontefice, di ponte, per superare barriere altrimenti invalicabili. “Purtroppo – osserva Gallagher – malgrado tutti gli sforzi del Santo Padre e della Santa Sede, ancora non si è aperto uno spiraglio utile per favorire una mediazione di pace tra la Russia e l’Ucraina”.
La diplomazia pontificia e il rispetto dei diritti umani
Di fronte a una variegata tipologia di guerre (dirette – come appunto quella in Ucraina – guerre per procura, guerre civili, guerre ibride, guerre solo congelate e rimandate, che ben presto diventano conflitti transnazionali), monsignor Gallagher precisa le ragioni di quelli che appaiono come fallimenti dell’attività diplomatica. “A volte – spiega – la situazione geopolitica è talmente differenziata e polarizzata, colma di frantumazione di ogni legame, che ogni riassestamento diventa estremamente difficile. Non dimentichiamo, poi, che spesso sono i flussi di denaro e di armi che sostengono e alimentano i conflitti. Come è possibile – domanda – reclamare comportamenti corretti, se si continua ad approvvigionare le parti in conflitto con le armi?”. A questo proposito, “la Santa Sede sostiene una diplomazia che deve riscoprire il suo ruolo come portatrice della solidarietà tra le persone e i popoli come l’alternativa alle armi, alla violenza e al terrore. Una diplomazia che si fa vettore di un dialogo, di una cooperazione e di una riconciliazione, che subentrano al posto delle rivendicazioni reciproche, delle opposizioni fratricide, dell’idea di percepire altri come nemici o di rifiutare totalmente l’altro”.
Tornare ai fondamenti della Dichiarazione universale di 75 anni fa
La sfida, sostiene ancora il presule, è sempre quella di contribuire a una migliore comprensione reciproca tra coloro che rischiano di presentarsi come due poli opposti. E, aggiunge, l’università è un luogo privilegiato per far crescere una cultura di pace. A pochi mesi dal 75.mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre), Gallagher ricorda che la Chiesa è in prima linea nell’impegno, non solo per il rispetto dei diritti ‘politici e civili’ dell’uomo, ma anche di quelli ‘economici, sociali e culturali’ che sono simultaneamente affermati nella citata Dichiarazione universale. In un mondo in cui spesso sono persistenti e gravi le violazioni dei diritti umani, la Chiesa invita a riconoscere l’interdipendenza dei popoli come presupposto di uno spirito di fratellanza. Se questo si realizzasse pienamente, il patrimonio dei diritti dell’uomo, che la comunità internazionale aveva solennemente proclamato 75 anni fa come fondamento di un nuovo ordine all’indomani degli orrori della guerra, potrebbe anche oggi essere un punto di riferimento per la comunità internazionale.
Necessaria una riforma dell’Onu, più rappresentativo
Invece, soprattutto la crisi della guerra in Ucraina, scandisce mons. Gallagher, ha segnato “una profonda crisi del sistema multilaterale e delle grandi organizzazioni, in particolare delle Nazioni Unite”. E auspica: “Quanto è necessaria una riforma del funzionamento di questa organizzazione, in un modo più rappresentativo, che tenga conto delle necessità di tutti i popoli! Per questo – sollecita – serve il supporto di tutta la comunità internazionale e il recupero dello ‘spirito di Helsinki'”.
Nel segno della misericordia, cessi la guerra in Ucraina
Il segretario dei Rapporti con gli Stati non trascura di accennare anche al rischio per l’Europa di “divenire sempre più un corpo – magari anche apparentemente ben organizzato e molto funzionale – ma senza anima; il che è in profondo contrasto con la reale identità dell’Europa, invece ricca di storia, di tradizione e di umanità”. Un aspetto che ha a che fare con il rispetto della dignità delle persone. Infine, Gallagher si sofferma sul fatto che la responsabilità politica debba essere vissuta “nel segno della misericordia, come forma alta di carità”. In questo orizzonte, fa constatare che “non ci possiamo rassegnare al fatto che la guerra in Ucraina possa continuare per lungo tempo con conseguenze tragiche ed inimmaginabili”. E torna a dire: “Anche se al momento non sembrano esserci spiragli di apertura per eventuali negoziati, non bisogna mai perdere la speranza e, soprattutto i credenti in Cristo, devono mantenere vivo l’ideale della pace e la fiducia in Dio che questa guerra finirà, anche se non sarà la fine immaginata dal Presidente Zelensky o dal Presidente Putin. Vogliamo tutti una pace giusta, ma una pace deve venire e per far questo, se necessario, bisogna cominciare anche a “pensare l’impensabile”. L’auspicio è quello di “una pace concreta, mutabile e in divenire, in modo che sia l’anello di un nuovo processo virtuoso tra le parti in conflitto e non solo un’attribuzione di vincitori e vinti”.