Gallagher: essenziali per la Chiesa il rifiuto radicale della guerra e la scelta del dialogo

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

La missione della Chiesa e la ricerca della pace sono profondamente correlate e il dialogo e l’educazione sono “le vie maestre della nostra testimonianza cristiana per la pace”. Lo sostiene monsignor Paul Richard Gallagher nel suo intervento all’Assemblea dell’Unione dei Superiori Generali, in corso fino al 25 novembre alla Fraterna Domus di Sacrofano (Rm), in cui ripercorre gli insegnamenti dei Papi e del Magistero della Chiesa in merito all’impegno di “tirar fuori” le persone e i popoli “dalla spirale della guerra, del rancore e dell’odio verso una vita riconciliata”. Ricorda l’affermazione di Papa Francesco nel 2015 alle Nazioni Unite: “Lo sviluppo umano integrale e il pieno esercizio della dignità umana non possono essere imposti. Devono essere costruiti e realizzati da ciascuno in comunione con gli altri esseri umani”.

Gli interventi dei Pontefici guidano l’opera della Chiesa 

Era il 1967 quando Paolo VI istituì la Giornata della Pace commentando che “dedicare alla pace il primo giorno dell’anno non voleva essere un’esclusiva della Chiesa cattolica, ma intendeva incontrare l’adesione di tutti i veri amici della pace”, e monsignor Gallagher afferma come la volontà di “agire quotidianamente per la riconciliazione”, prosegua ancora oggi ad ispirare l’opera della Chiesa nel mondo e abbia ispirato, pur con accenti diversi, le parole dei Pontefici che ci offrono “una sintesi dei criteri che animano il ruolo della Chiesa in questo ambito. Primo fra tutti il “rifiuto radicale della guerra”, quindi la promozione del disarmo e dello strumento del dialogo e della negoziazione.

La pace e i diritti umani, la pace e la solidarietà tra i popoli

“La pace non è solo assenza di conflitti”, ricordava Giovanni Paolo II sottolineando l’importanza della “salvaguardia dei diritti dell’uomo e anche dei diritti dei popoli”, e specie di quello fondamentale alla libertà di coscienza e di religione. “In altre parole – afferma Gallagher – ogni volta che l’uomo viene dimenticato o manipolato, la pace è ferita”. Altro nodo centrale è il rapporto tra i membri della Comunità internazionale che dovrebbe essere caratterizzato dalla solidarietà e in cui nessun popolo dovrebbe essere trattato come una realtà subordinata.
Dell’impegno della Santa Sede monsignor Gallagher sottolinea poi lo sforzo “per la formazione di un ‘uomo integrale’, aperto ai valori dello spirito e solidale con i suoi fratelli”, perché “promuovere una pedagogia della pace, richiede una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati”. Si tratta di creare infatti “una mentalità e una cultura della pace”. Tra gli strumenti “per migliorare la collaborazione internazionale”, indica la diplomazia che richiede in chi la pratica “apertura ai problemi reali dell’altro”, fiducia e scelta di affidarsi solo a mezzi pacifici, ricerca dell’interesse generale che andrà garantito mediante “patti, accordi, istituzioni a livello di Paese, di regione, per evitare, per quanto possibile, che i più deboli siano vittime della cattiva volontà, della forza o della manipolazione altrui”.

Tra politica e Chiesa autonomia e collaborazione

“È soprattutto la Costituzione conciliare Gaudium et Spes ad indicare i principi guida della missione della Chiesa nel mondo”, afferma ancora il segretario per i Rapporti con gli Stati, citando alcuni brani che riconoscono la responsabilità della Chiesa nella protezione della dignità umana e nel sostegno dello sviluppo delle società orientato al bene comune. In tutto questo la Chiesa agisce collaborando con le istituzioni. “La comunità politica e la Chiesa – si legge nella Gaudium et Spes – sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini”. La pace vera, afferma monsignor Gallagher “trova il proprio grembo nel cuore dell’uomo e nella coscienza” e, come già ricordava Paolo VI, non può essere disgiunta dalla giustizia, dalla misericordia e dalla carità. Ciò introduce ad un passo ulteriore aprendo all’importante ruolo delle religioni per la pace nel mondo. Papa Francesco ha sottolineato la “profonda connessione tra l’identità di Dio e la ricerca della pace”, parlando proprio ai leader religiosi lo scorso 14 settembre.

La logica di Dio non è una logica di sopraffazione

“La logica di Dio che il Papa ci ha indicato non è una logica di potere ma di nascondimento, di fermento, una logica che opera silenziosamente per il bene altrui. Altrettanto si può dire della Chiesa”, osserva monsignor Gallagher, e la Chiesa cercherà dunque di “esprimere, soprattutto nei confronti della controparte, una forza positiva, che crei nuove possibilità di relazioni e che non peggiori quelle ancora esistenti”. La scelta dei mezzi è fondamentale: “da questo punto di vista la Chiesa, e la diplomazia pontificia in particolare, è animata dalla peculiarità cristiana, dove non è più la regola dell’occhio per occhio, dente per dente, che norma le relazioni, bensì comprensione e ascolto, secondo le regole di una giustizia superiore che vince il male con il bene”.

La pace va costruita ogni giorno

“La pace non è solo una parola da urlare – sottolinea ancora Gallagher – ma un atteggiamento da costruire quotidianamente (…) attraverso gesti quotidiani di ascolto e riconciliazione”. E occorre che “il servizio prestato dalla Chiesa in favore della pace, sia qualificato e sia interiormente animato dallo stile inconfondibile della carità”, secondo l’insegnamento di Gesù nella parabola del buon samaritano. “La pace evangelica, portata da Gesù, produce conseguenze anche nell’ambito della pace civile e politica, oltre che nei cuori e nelle famiglie”, sostiene il segretario per i Rapporti tra gli Stati. Il binomio politica e carità può “concorrere a illuminare e sostenere le responsabilità di ogni uomo in favore della pace” e suscitare una “concreta risposta istituzionale” in tal senso. Una politica che si proponga come “una forma moderna e d esigente di carità” mal si concilia con la fretta, nemica della democrazia, e con la paura in chi assume pubbliche responsabilità, specie se si tratta di un cristiano, spingendolo al compromesso.

La speranza cristiana non delude mai

Avviandosi alla conclusione del suo intervento, monsignor Gallagher riconosce che “una speranza di pace a misura umana è insufficiente per sostenere nella durata un’azione politica lungimirante e onesta”, è necessaria “la presenza di un lievito capace di attaccare la pasta, di un sale non scipito”. E questo è “la speranza cristiana” che non delude mai perché basata sulla fiducia nella presenza del Signore. “Ogni cristiano – afferma Galagher – ha bisogno di tale speranza, soprattutto se opera in campi difficili, in particolare nella vita sociale e politica”. “La speranza cristiana – prosegue – ci dice che vale la pena combattere per obiettivi buoni, come lo è la pace”, anche in assenza di risultati immediati, nella fiducia che “tutte le potenze del male, non potranno spegnere il valore che ogni obiettivo onestamente perseguito in definitiva rappresenta”. Le conseguenze distruttive che la guerra porta ai singoli e ai popoli, agli abusi, all’odio e alla violenza che essa genera ci impongono, conclude l’arcivescovo, “di continuare a testimoniare come Chiesa la necessità della pace”.