Con i Fratelli oblati diocesani di Milano ricevuti in udienza il Papa si sofferma sul senso della fraternità e della diocesanità: a volte vorremmo salvare il mondo ma non si può amare l’umanità in astratto, la legge dell’amore chiede di essere vicini alle persone che si incontrano in un determinato contesto
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Una testimonianza che nella Chiesa “merita di essere riscoperta”, un segno piccolo ma indispensabile “nel mosaico delle vocazioni”: questo rappresentano i fratelli consacrati. Francesco lo evidenzia nel saluto consegnato ai Fratelli oblati diocesani di Milano, nati con San Carlo Borromeo – che volle dei collaboratori laici da affiancare ai presbiteri negli impegni del loro minister – e poi pensati dall’arcivescovo Alfredo Ildefonso Schuster come una famiglia della Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo. Nel testo, il Papa si sofferma sui tre aspetti che caratterizzano la scelta di vita dei religiosi: la fraternità, l’oblazione, la diocesanità.
Un servizio nascosto e umile
Primo aspetto della vita consacrata dei fratelli oblati diocesani è la “fraternità secondo il Vangelo”, costruita quotidianamente attraverso “una forma concreta di vita”; una forma, indica Francesco, che ciascuno “vive in modo diverso, con la propria personalità e i propri doni e anche i propri limiti”. Vivere questa fraternità è il “modo di assomigliare a Gesù, che ha vissuto questa dimensione dell’essere fratello di ogni uomo”, chiarisce il Papa, aggiungendo che questo essere “fratello universale” di Cristo “è un aspetto proprio del mistero dell’Incarnazione”. Quanto all’oblazione, “il dono di sé nel servizio, Francesco precisa che deve essere umile.
Gesù, dalla forma di Dio, ha assunto la forma di servo; ma attenzione: non un servizio di quelli che tutti dicono: che bravo!, un servizio da applaudire, “che fa notizia”. No. Un servizio nascosto, umile, a volte anche umiliante. Questa – lo sappiamo – è la strada da seguire per ogni cristiano.
La gioia di servire
A chi vive il servizio nell’umiltà lo Spirito Santo dona “gioia interiore”, quella che – osserva ancora Francesco – Madre Teresa definiva “gioia di servire”, una gioia che nascosta, come quella di Maria quando “è andata ad aiutare Elisabetta”, una gioia nota solo a Dio: la beatitudine del servizio. Infine il Papa sottolinea il significato del servizio rivolto a una determinata realtà sociale.
A volte vorremmo salvare il mondo! Ma Dio ti dice: sii fedele a quel servizio, a quelle persone, a quell’opera… Gesù ha salvato il mondo dando la vita per le pecore perdute della casa d’Israele, e così ha compiuto la fedeltà del Padre; ha amato fino alla fine quelli che il Padre gli aveva dato, ha versato il suo sangue per loro, e così lo ha versato per tutti. Questa è la legge dell’amore: non si può amare l’umanità in astratto, si ama quella persona, quelle persone.
Quel servizio diocesano, reso dai fratelli oblati, è una “scuola di fedeltà”, conclude Francesco, invocando Maria perché custodisca i religiosi in questa fedeltà e nella gioia.