Francesco: non si uccide in nome di Dio, ma per Lui si può dare la vita

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All’udienza generale il Papa parla della testimonianza dei martiri, che non sono eroi ma cristiani maturi nella fede e che oggi, ripete, sono più numerosi che nei primi secoli. Fra loro il Pontefice ricorda le missionarie della carità uccise nello Yemen

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Un tiepido sole scalda piazza San Pietro quando Francesco arriva in papamobile per percorrere l’emiciclo del Bernini e abbracciare idealmente i fedeli giunti da diverse parti del mondo per ascoltarlo all’udienza generale. Come è ormai consuetudine, il Papa accoglie alcuni bambini nella jeep che lo porta fra i pellegrini festosi. Poi, giunto sul sagrato della basilica vaticana comincia la sua undicesima catechesi sul tema dello zelo apostolico, che dedica alle figure dei martiri. Testimoni del Vangelo “fino all’effusione del sangue”, non eroi, chiarisce il Pontefice, ma uomini e donne “che hanno dato la vita per Cristo”, “frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa”. “Il primo fu il diacono Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme”, ricorda Francesco, che ricorre a Sant’Agostino per far comprendere “il dinamismo spirituale che animava i martiri”. In un discorso su San Lorenzo, il vescovo di Ippona spiega che il giovane diacono ha compreso e messo in pratica quanto Cristo ha fatto per gli uomini, lo ha amato nella sua vita e lo ha imitato nella sua morte: in lui emerge dunque una dinamica di gratitudine e di gratuito contraccambio del dono.

I cristiani sono chiamati alla testimonianza della vita

Oggi, ribadisce ancora una volta il Papa, i martiri sono più numerosi che nei primi secoli; sono quei tanti cristiani che per confessare la fede sono stati cacciati via dalla società o sono stati incarcerati. Come specifica il Concilio Vaticano II, diventano simili a Cristo nella effusione del sangue e la loro morte è stimata dalla Chiesa “come dono insigne e suprema prova di carità”.

I martiri, a imitazione di Gesù e con la sua grazia, fanno diventare la violenza di chi rifiuta l’annuncio una occasione grande di amore, suprema di amore, che arriva fino al perdono dei propri aguzzini.

Francesco si sofferma su questo perdono dei martiri verso i loro carnefici e riepte, come si legge nella Lumen gentium, che “sebbene siano solo alcuni quelli a cui viene chiesto il martirio, ‘tutti però devono essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa’”. Poi rimarca ancora che oggi ci sono tante persecuzioni sottolineando il messaggio che i martiri offrono ai credenti

 I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù.

I martiri del XXI secolo

Fra i numerosi testimoni cristiani, presenti “in ogni angolo del mondo”, Francesco cita quelli morti nello Yemen, “una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata”, che ha ucciso molte persone “e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini”.

Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle suore Missionarie della Carità che hanno dato la vita lì. Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, queste suore, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini. 

Le missionarie della carità uccise nello Yemen insieme a fedeli musulmani

Il pensiero del Papa va a suor Aletta, suor Zelia e suor Michael, assassinate perchè cristiane da un fanatico nel luglio 1998, mentre tornavano a casa dopo la Messa, e ancora a suor Anselm, suor Marguerite, suor Reginette e suor Judith, ammazzate nel marzo 2016 “insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi”. Martiri del nostro tempo, li definisce il Pontefice. Tra questi c’erano dei fedeli musulmani che lavoravano con le religiose.

Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri.

Non ci si deve stancare di “dare testimonianza al Vangelo anche in tempo di tribolazione”, conclude Francesco, che per questo invita a pregare, auspicando che “tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno”.