Alla Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ricevuta in udienza, il Papa consegna il discorso nel quale esprime la sua certezza che “i cristiani cresceranno nella comunione reciproca e aiuteranno il mondo, segnato da divisioni e discordie”. Gioia per i risultati della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
La guerra in Ucraina mostra che tutte le guerre sono disastri totali, “per i popoli e per le famiglie, per i bambini e per gli anziani, per le persone costrette a lasciare il loro Paese, per le città e i villaggi, e per il creato”, così come è stato a seguito “della distruzione della diga di Nova Kakhovka”. Francesco condivide la sua preoccupazione per il popolo ucraino con i membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, ricevuti oggi in udienza, giunti a Roma per assistere in San Pietro alla celebrazione dei santi Pietro e Paolo del 29 giugno, visita che viene ricambiata il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di Sant’Andrea. Ai fratelli del Patriarcato, ai quali viene consegnato il discorso, Francesco chiede uno sforzo comune per arrivare alla pace.
Come discepoli di Cristo, non possiamo rassegnarci alla guerra, ma abbiamo il dovere di lavorare insieme per la pace. La tragica realtà di questa guerra che sembra non avere fine esige da tutti un comune sforzo creativo per immaginare e realizzare percorsi di pace, verso una pace giusta e stabile. Certamente, la pace non è una realtà che possiamo raggiungere da soli, ma è in primo luogo un dono del Signore. Tuttavia, si tratta di un dono che richiede un atteggiamento corrispondente da parte dell’essere umano, e soprattutto del credente, il quale deve partecipare all’opera pacificatrice di Dio.
È il Vangelo, aggiunge Francesco, a mostrare ai cristiani che la pace “non viene dalla mera assenza di guerra, ma nasce dal cuore dell’uomo”.
A ostacolarla, infatti, è in ultima analisi la radice cattiva che ci portiamo dentro: il possesso, la volontà di perseguire egoisticamente i propri interessi a livello personale, comunitario, nazionale e persino religioso.
L’amore di Dio converte e rinnova i cuori, “è un amore gratuito”, dice ancora Francesco, e “non confinato al proprio gruppo”, che va annunciato, così come va testimoniato Gesù al mondo.
Alle chiusure e agli egoismi va opposto lo stile di Dio che, come ci ha insegnato Cristo con l’esempio, è servizio e rinuncia di sé. Possiamo esser certi che, incarnandolo, i cristiani cresceranno nella comunione reciproca e aiuteranno il mondo, segnato da divisioni e discordie.
È con gioia che Francesco incontra la delegazione del Patriarcato ecumenico, guidata dal Metropolita di Pisidia Job, copresidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, accompagnato dal vescovo di Nazianzus Athenagoras e dal Diacono patriarcale Kallinikos Chasapis. Nel discorso il Papa esprime soddisfazione per i risultati della quindicesima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, poiché “una lettura comune del modo in cui si è sviluppato in Oriente e in Occidente il rapporto tra sinodalità e primato nel secondo millennio” può contribuire “al superamento di argomenti polemici utilizzati da entrambe le parti” che anziché “rinsaldare le rispettive identità” finiscono “con il concentrare l’attenzione solo su sé stessi e sul passato”.
Oggi, tenendo a mente gli insegnamenti della storia, siamo chiamati a cercare insieme una modalità di esercizio del primato che, nel contesto della sinodalità, sia al servizio della comunione della Chiesa a livello universale”.
Si deve però partire dal presupposto che, precisa il Papa, “non è possibile pensare che le medesime prerogative che il Vescovo di Roma ha nei riguardi della sua Diocesi e della compagine cattolica siano estese alle comunità ortodosse”.
Quando, con l’aiuto di Dio, saremo pienamente uniti nella fede e nell’amore, la forma con la quale il Vescovo di Roma eserciterà il suo servizio di comunione nella Chiesa a livello universale dovrà risultare da un’inscindibile relazione tra primato e sinodalità.
L’unità piena sarà dono dello Spirito Santo, si legge ancora, ed è nello Spirito che va cercata.
Perché la comunione tra i credenti non è questione di cedimenti e compromessi, ma di carità fraterna, di fratelli che si riconoscono figli amati del Padre e, colmi dello Spirito di Cristo, sanno inserire le loro diversità in un contesto più ampio. Questa è la prospettiva dello Spirito Santo, che armonizza le differenze senza omologare le realtà
L’auspicio di Francesco, che attraverso la Delegazione, invia il suo saluto all’“amato Fratello Bartolomeo e a tutti i vescovi del Patriarcato ecumenico”, è che l’incontro “possa essere un ulteriore passo nel cammino verso l’unità visibile nella fede e nell’amore”.