Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Affidiamo allo Spirito Santo, nella preghiera, “il nostro percorso comune, e invochiamo su di noi la sua effusione, una rinnovata Pentecoste che dia sguardi nuovi e passi celeri al nostro cammino di unità e di pace”. Così Papa Francesco introduce la Preghiera per la pace, cuore dell’incontro ecumenico nella Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia di Awali, con sei invocazioni lette da preti e archimandriti di diverse Chiese ortodosse, dall’indiana alla copta, dalla siriaca all’armena, ma anche dall’arcivescovo greco ortodosso Ghattas e da un pastore della Chiesa riformata dell’India del Sud.
Unità nella diversità e testimonianza di vita
Nella sua allocuzione, preceduta dalla lettura del racconto della Pentecoste dagli Atti degli Apostoli, proclamata dal vescovo anglicano di Cipro Lewis, il Papa indica come essenziali per il cammino di comunione dei cristiani “l’unità nella diversità e la testimonianza di vita”. Perché “non si può testimoniare davvero il Dio dell’amore se non siamo uniti tra noi come Egli desidera, e non si può essere uniti rimanendo ciascuno per conto suo, senza aprirsi alla testimonianza”, fortificata dalla carità, perché i cristiani “amano tutti” e sono “persone di pace”.
Un gesto di fraternità reciproca
Accanto a Francesco, il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, incontrato “in un clima di fraternità e affetto” prima degli appuntamenti del pomeriggio, che introdurrà poi la benedizione finale. All’inizio dell’incontro, i due pastori hanno baciato la croce pettorale l’uno dell’altro. Ma nella Cattedrale, inaugurata meno di un anno fa, in prima fila ci sono anche il re del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalifa, che ha donato il terreno per la sua costruzione, e il ministro della Giustizia del Bahrein.
La varietà delle origini e dei linguaggi non è problema, ma risorsa
Il Pontefice esordisce ricordando che a Gerusalemme, nel giorno di Pentecoste, c’erano “Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia” ma anche “Romani, Giudei, Cretesi e Arabi”, che “pur provenendo da molte regioni, si sentirono uniti in un solo Spirito”, e oggi “da tanti popoli e di tante lingue, da tante parti e di tanti riti, siamo qui insieme”, a motivo “delle grandi opere compiute da Dio”. Oggi come allora, chiarisce Papa Francesco, “la varietà delle provenienze e dei linguaggi non è un problema, ma una risorsa”. Noi tutti, prosegue citando un autore africano, siamo inseriti “in quel corpo di Cristo cioè nella Chiesa, che parla tutte le lingue”, perché tutti, scrive san Paolo ai Corinti “siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo”.
Purtroppo con le nostre lacerazioni abbiamo ferito il santo corpo del Signore, ma lo Spirito Santo, che congiunge tutte le membra, è più grande delle nostre divisioni carnali. È perciò giusto affermare che quanto ci unisce supera di molto quanto ci divide e che, più camminiamo secondo lo Spirito, più saremo portati a desiderare e, con l’aiuto di Dio, a ristabilire la piena unità tra di noi.
Lo Spirito si posa sui discepoli quando stanno tutti insieme
Meditando il testo di Pentecoste, il Papa ha colto due elementi “utili per il nostro cammino di comunione”: “l’unità nella diversità e la testimonianza di vita”. Parlando del primo, Francesco nota che lo Spirito Santo, “che si posa su ciascuno” dei discepoli, sceglie tuttavia “il momento in cui stanno tutti insieme”.
Potevano adorare Dio e fare del bene al prossimo anche separatamente, ma è convergendo in unità che si spalancano le porte all’opera di Dio. Il popolo cristiano è chiamato a riunirsi perché le meraviglie di Dio si avverino.
Per crescere nell’unità, lodiamo insieme Dio
In Bahrein, dove i cristiani, poco più del 10 per cento della popolazione, sono “come piccolo gregge di Cristo, disseminato in vari luoghi e confessioni”, si avverte, per il Pontefice, “il bisogno dell’unità, della condivisione della fede” e come in questo arcipelago “non mancano saldi collegamenti tra le isole”, così sia anche tra di noi, “per non essere isolati, ma in comunione fraterna”. E qui Papa Francesco si chiede: “Come fare ad accrescere l’unità se la storia, l’abitudine, gli impegni e le distanze sembrano attirarci da altre parti?”. E indica come “luogo di ritrovo”, “cenacolo spirituale della nostra comunione”, la lode di Dio, “che lo Spirito suscita in tutti”.
La preghiera di lode non isola, non chiude in sé stessi e nei propri bisogni, ma ci immette nel cuore del Padre e così ci connette a tutti i fratelli e le sorelle. La preghiera di lode e di adorazione è la più alta: gratuita e incondizionata, attira la gioia dello Spirito, purifica il cuore, ricostituisce l’armonia, risana l’unità. È l’antidoto alla tristezza, alla tentazione di lasciarci turbare dalla nostra pochezza interiore e dalla pochezza esteriore dei nostri numeri.
Uniti anche dalla lode dei martiri cristiani
Chi loda, prosegue il Papa, “non bada alla piccolezza del gregge, ma alla bellezza di essere i piccoli del Padre”. Nella lode, lo Spirito riversa “la sua consolazione in noi”, ed è “un buon rimedio contro la solitudine e la nostalgia di casa”, perché “ci permette di avvertire la vicinanza del Buon Pastore, anche quando pesa la mancanza di Pastori vicini, frequente in questi luoghi”. La lode e l’adorazione ci conducono, “alle fonti dello Spirito, riportandoci alle origini, all’unità”. Per questo, è il suo invito, continuate “ad alimentare la lode di Dio, per essere ancora di più segno di unità per tutti i cristiani!”. E proseguite anche “la bella abitudine di mettere a disposizione di altre comunità gli edifici di culto per adorare l’unico Signore”. Perché non solo in terra, ma anche in Cielo, “c’è una scia di lode che ci unisce”.
È quella dei tanti martiri cristiani di varie confessioni – quanti ce ne sono stati negli ultimi anni in Medio Oriente e nel mondo intero! Ora formano un solo cielo stellato, che indica la strada a chi cammina nei deserti della storia: abbiamo la stessa meta, siamo tutti chiamati alla pienezza della comunione in Dio.
Unità non è uniformità, ma accoglienza nelle differenze
Ma l’unità che cerchiamo, per la quale siamo in cammino, ricorda Francesco, “è nella differenza”. Lo Spirito, nella Pentecoste, “non conia un linguaggio identico per tutti, ma permette a ciascuno di parlare lingue altrui, e fa in modo che ognuno senta la propria parlata da altri”.
Insomma, non ci rinchiude nell’uniformità, ma ci dispone ad accoglierci nelle differenze. Questo accade a chi vive secondo lo Spirito: impara a incontrare ogni fratello e sorella nella fede come parte del corpo a cui appartiene. Questo è lo spirito del cammino ecumenico.
Cosa facciamo per i cristiani che non sono dei “nostri”?
Così il Pontefice chiede “a noi stessi” se come pastore, ministro o fedele “sono docile all’azione dello Spirito”. Se “vivo l’ecumenismo come un peso, come un impegno ulteriore, come un dovere istituzionale, oppure come il desiderio accorato di Gesù che diventiamo «una sola cosa»”.
Concretamente, che cosa faccio per quei fratelli e sorelle che credono in Cristo e non sono dei “miei”? Li conosco, li cerco, mi interesso di loro? Tengo le distanze e mi atteggio in modo formale oppure cerco di capirne la storia e di apprezzarne le particolarità, senza ritenerle ostacoli insormontabili?
L’essenza della testimonianza dei cristiani: l’amore verso tutti
Il secondo elemento utile nel cammino di comunione, per Papa Francesco, è “la testimonianza di vita”. A Pentecoste i discepoli, usciti dal Cenacolo, “andranno ovunque nel mondo”. La paura “che li chiudeva in casa rimane un ricordo lontano: ora si dirigono dappertutto”, ma non “per rivoluzionare l’ordine delle società”, bensì “per irradiare in ogni angolo la bellezza dell’amore di Dio attraverso la loro vita”. Quello dei cristiani, infatti, “non è tanto un discorso da fare a parole, ma una testimonianza da mostrare coi fatti; la fede non è un privilegio da rivendicare, ma un dono da condividere”. E qui il Papa cita la Lettera a Diogneto, che dei cristiani dice che “non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere, ogni regione straniera è la loro patria. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti”.
Amano tutti: ecco il distintivo cristiano, l’essenza della testimonianza. Essere qui in Bahrein ha permesso a tanti di voi di riscoprire e praticare la genuina semplicità della carità: penso all’assistenza nei riguardi dei fratelli e delle sorelle che arrivano, a una presenza cristiana che nell’umiltà quotidiana testimonia, nei luoghi di lavoro, comprensione e pazienza, gioia e mitezza, benevolenza e spirito di dialogo. In una parola: pace.
Unità e testimonianza sono coessenziali
Anche qui, Francesco si chiede se, nella nostra testimonianza, passando il tempo, non ci sia il rischio di “andare avanti per inerzia e affievolirsi nel mostrare Gesù attraverso lo spirito delle Beatitudini, la coerenza e la bontà della vita, la condotta pacifica”. “Ora che stiamo pregando insieme per la pace – si domanda – siamo davvero persone di pace?”. Sappiamo testimoniare “la mitezza di Gesù?”. E nel concludere, ribadisce l’importanza dell’unità “che la lode rafforza”, e della testimonianza, “che la carità fortifica”.
Unità e testimonianza sono coessenziali: non si può testimoniare davvero il Dio dell’amore se non siamo uniti tra noi come Egli desidera; e non si può essere uniti rimanendo ciascuno per conto suo, senza aprirsi alla testimonianza, senza dilatare i confini dei nostri interessi e delle nostre comunità in nome dello Spirito che abbraccia ogni lingua e vuole raggiungere ognuno.
La Preghiera per la pace
È lo Spirito infatti, che “dà la diversità dei carismi ma la tempo stesso crea l’unità come armonia” e che “unisce e invia, raduna in comunione e manda in missione”. Queste parole del Pontefice introducono la Preghiera per la pace, nella quale il prete giacobita-siriaco ortodosso Rajan, chiede a Dio “la fine della violenza perpetrata da parole dure, armi mortali e fredda indifferenza”, perché “tutti i Paesi del mondo diventino oasi di pace, dove tutti possano vivere in sicurezza”. Dopo di lui l’archimandrita armeno ortodosso Manouelian prega “per tutti coloro che soffrono nel corpo o nello spirito a causa di guerre, disastri naturali o disordini civili”. Quindi nella Cattedrale di Nostra Signora d’Arabia risuona il canto della Preghiera per la pace di san Francesco d’Assisi, “O Signore fa di me uno strumento della tua pace: dove c’è odio, fa’ ch’io porti l’amore. Dove c’è offesa, c’io porti il perdono”. E al termine, Papa Francesco e tutti i rappresentanti delle Chiese e Comunità cristiane presenti posano per una foto di gruppo.
Le parole scritte dal Papa nel Libro d’Onore
Al suo arrivo nella cattedrale, accolto dall’amministratore apostolico di Arabia del Nord Paul Hinder e dal parroco, dopo aver baciato la croce e asperso l’ingresso del tempio con l’acqua benedetta, ha raggiunto la cappella dedicata alla Madonna, dove tre bambini gli hanno portato dei fiori che ha offerto alla Vergine Maria. Si è raccolto in preghiera e infine ha firmato il Libro d’Onore della cattedrale, scrivendo: “Nostra Signora d’Arabia, tenera Madre che ha cura di tutti i suoi figli, accompagni e custodisca quanti qui la visitano e la invocano. Nelle sue mani ripongo con fiducia il cammino delle comunità cristiane del Golfo”.