Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona sé stessa”. Con questa esclamazione Papa Francesco saluta la comunità filippina di Roma, presente idealmente tutta nella Basilica di San Pietro per la Messa di ringraziamento per i 500 anni dell’evangelizzazione del loro Paese d’origine, invitando i cattolici del Paese asiatico a far in modo che si dica anche della Chiesa, come di Dio, che “ha tanto amato il mondo”.
La processione con la Croce e il Santo Niňo
All’inizio della celebrazione Il Papa raggiuge l’altare della Cattedra, in processione con i concelebranti cardinali Luis Antonio G. Tagle, prefetto filippino della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, Angelo De Donatis, suo vicario per la Diocesi di Roma e otto sacerdoti della Comunità filippina. Con il canto “Bato balani sa gugma”, magnete dell’amore, vengono portati dandando accanto all’altare la croce di Magellano e una statuetta raffigurante il Santo Niňo, il Bambino Gesù.
Grazie al popolo filippino, testimone della gioia del Vangelo
E nell’omelia Francesco ringrazia il popolo filippino per la testimonianza della gioia del Vangelo ricevuta cinquecento anni fa, una gioia che oggi riporta “nel mondo intero e nelle comunità cristiane”. Anche nelle famiglie romane, “dove la vostra presenza discreta e laboriosa ha saputo farsi anche testimonianza di fede”. Il cardinal Tagle, salutandolo al termine della celebrazione, a nome di “noi migranti filippini a Roma”, ricorda che “quando arrivano i momenti di solitudine” “troviamo la forza in Gesù che viaggia con noi” e “quando ci mancano i nostri nonni, sappiamo di avere un Lolo Kiko” in Papa Francesco.
Il Vangelo non è una dottrina, è Gesù che ci è donato
La riflessione del Pontefice, nella quarta domenica di Quaresima, detta Laetare, è incentrata sulle parole che Gesù rivolge a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni, proposto dalla liturgia: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito”. Qui, spiega, “c’è il fondamento della nostra gioia. il contenuto del Vangelo”, che “non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita”.
E il fondamento della nostra gioia non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita.
Dio ha tanto amato, in Cristo
Francesco si sofferma quindi su due aspetti della: “ha tanto amato” e “ha dato”. Dio ha tanto amato: sono parole, quelle che Gesù rivolge a Nicodemo, anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro, che “ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio”. Un Dio che “da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio”.
In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita.
Ascoltiamo ancora la buona notizia: “Dio ti ama”
In Gesù, chiarisce il Papa, “Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, sei amato”. Può succedere che “l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede” non ci facciano più cogliere la grandezza di questo amore, e magari “scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa”. E’ il segno, prosegue Francesco, “che dobbiamo fermarci e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia”.
Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.
Dio non ci ama a parole, dona sé stesso nel Figlio
Guardando la seconda parola, Dio “ha dato” il suo Figlio, Francesco sottolinea che “proprio perché ci ama così tanto, Dio dona sé stesso e ci offre la sua vita”. La forza dell’amore è che, spiega, “frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono”. Chi ama “preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé”, come fa Dio, che esce da sé stesso perché “ha tanto amato”. In Gesù, innalzato sulla croce, Dio stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, come i serpenti che attaccano il popolo d’Israele nel deserto, “si è fatto peccato per salvarci dal peccato”. Dio “non ci ama a parole”, ricorda il Pontefice: “ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato”. Perché “Più si ama e più si diventa capaci di donare”.
Il viaggio in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia
Questa, esclama Papa Francesco, “è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Per questo oggi la Chiesa, con Isaia, esorta, nella Domenica “Laetare”: “Esultate e gioite, vi che eravate nella tristezza”. E ripensa al viaggio in Iraq: “Un popolo martoriato ha esultato di gioia, grazie a Dio, alla sua misericordia”.
La vera gioia è sentirci amati gratuitamente
A volte, prosegue il Papa, “cerchiamo la gioia dove non c’è”, in “illusioni che svaniscono”, “sogni di grandezza del nostro io”, “nell’apparente sicurezza delle cose materiali”, oppure “nel culto della nostra immagine”.
Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.
Grazie alle donne filippine, “contrabbandiere” di fede
Ricordando poi i 500 anni dell’arrivo dell’annuncio cristiano nelle Filippine, quando “avete ricevuto la gioia del Vangelo”, Francesco spiega che “questa gioia si vede nel vostro popolo, si vede nei vostri occhi, nei vostri volti, nei vostri canti e nelle vostre preghiere”. Ribadisce di aver più volte detto che qui a Roma le donne filippine sono “contrabbandiere” di fede, “perché dove vanno a lavorare” “seminano la fede. Questa è – permettetemi la parola – una malattia generazionale, ma una beata malattia. Conservatela”.
Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane. Penso a tante esperienze belle nelle famiglie romane – ma è così in tutto il mondo –, dove la vostra presenza discreta e laboriosa ha saputo farsi anche testimonianza di fede.
Una Chiesa che non giudica, ma accoglie e porta Cristo
Lo fate, prosegue, “con lo stile di Maria e di Giuseppe”, perché “Dio ama portare la gioia della fede con il servizio umile e nascosto, coraggioso e perseverante”. Non smettete, conclude il Pontefice rivolto ai fedeli filippini, “l’opera di evangelizzazione – che non è proselitismo”. L’annuncio cristiano che avete ricevuto “è sempre da portare agli altri”, prendendosi cura “di chi è ferito e vive ai margini”. Come il Dio che e ci dona sé stesso, anche la Chiesa “non è inviata a giudicare, ma ad accogliere; non a imporre ma a seminare; non a condannare ma a portare Cristo che è la salvezza”.
Il saluto di Tagle per i 10 milioni di filippini nel mondo
Nel suo ringraziamento a Papa Francesco al termine della celebrazione, il cardinal Tagle, parlando a nome dei Filippini “delle 7641 isole del nostro paese” e dei “dieci milioni di migranti filippini che vivono in quasi cento paesi nel mondo”, ricorda che tutti fanno tesoro “sella Sua premura per noi e per tutti i migranti presenti a Roma”. La fede dei cristiani filippini è stata ed è oggi “una fonte di speranza di fronte alla povertà, alla disuguaglianza economica, agli sconvolgimenti politici, ai tifoni, alle eruzioni vulcaniche, ai terremoti e persino all’attuale pandemia”. Ed ha dato un grande contributo “nel plasmare la cultura filippina e la nazione filippina”.
“Noi migranti filippini” abbiamo il nostro nonno nel Papa
“Quando ci mancano le nostre famiglie – conclude commosso il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli – ci rivolgiamo alla parrocchia, la nostra seconda casa. Quando non c’è nessuno con cui parlare, apriamo il nostro cuore a Gesù nel Santissimo Sacramento e meditiamo sulla sua parola. Ci prendiamo cura dei bambini a noi affidati come se fossero i nostri figli e degli anziani come se fossero i nostri genitori”. La sua preghiera finale è perché “attraverso i nostri migranti filippini, il nome di Gesù, la bellezza della Chiesa e la giustizia, la misericordia e la gioia di Dio, possano raggiungere i confini della terra”.