di Andrea Piersanti
È come il respiro del Vangelo. Gesù si apparta per pregare, riprende il fiato, riordina i pensieri, pensa ai suoi fratelli e alle sue sorelle e si mette in ascolto del Padre. Poi il mondo fracassone e pasticcione, tragico e disperato, torna a far sentire i propri lamenti. Gli apostoli si accostano, lo chiamano, lo invocano e le folle si fanno più pressanti. Gesù allora sorride e, grazie al fiato che ha raccolto con la preghiera, può tornare a rivolgersi a tutti coloro che chiedono una Sua parola e il Suo aiuto.
Il respiro del Vangelo ha un suo ritmo sacro e indispensabile. È la fonte della nostra speranza. Gianfranco Rosi, con “In viaggio”, negli improvvisi silenzi del Papa ritrova quello stesso respiro e lo racconta con lo sguardo dell’umanità dolente che cerca di volgere gli occhi al cielo. Il film di Rosi è nella Selezione Ufficiale — Fuori Concorso al 79° Festival di Venezia e uscirà in sala il 4 ottobre, nel giorno in cui si celebra san Francesco. Nel 2013, appena eletto, Papa Francesco era stato a Lampedusa. Nel 2021 era andato in Iraq. Sono gli stessi luoghi che Rosi aveva raccontato nei suoi film Fuocoammare (2016) e Notturno (2020). L’incontro del regista con il Pontefice era quasi inevitabile, era come se fossero sullo stesso sentiero.
Papa Francesco, in nove anni di pontificato, ha compiuto 37 viaggi e ha visitato 59 Paesi. Da Lampedusa al Canada, il suo pellegrinaggio segue il filo rosso di alcuni snodi cruciali del nostro tempo: la povertà, la natura, le migrazioni, la condanna di ogni guerra, la solidarietà. Lo spiega una didascalia all’inizio del film. Rosi ha lavorato con il repertorio di questi nove anni ma, in occasione del viaggio in Canada, ha voluto girare anche qualcosa con la propria macchina da presa. Nonostante il repertorio usato da Rosi sia noto, per lo spettatore ha la stessa freschezza di un materiale inedito. Rosi ha accuratamente scelto i ritagli (i fegatelli li chiamava Fellini) che nessun altro avrebbe voluto. Nel suo film il Papa infatti spesso tace. È la vera svolta copernicana delle tante agiografie televisive e cinematografiche che hanno caratterizzato i primi nove anni del pontificato di Papa Francesco.
I mass media e i new media non riescono a fare a meno di star egocentriche e ciarliere. Ma il Papa non è così. Rosi ha avuto il dono di capirlo e il coraggio per raccontarlo. Le prime immagini del film alternano il volto del Papa, immobile e silenzioso, con quelle della terra (come se fosse capovolta) ripresa dalla stazione spaziale internazionale. Fuori sincrono la voce del Papa invita l’umanità a credere di più nella capacità di fare del bene che il Padre ha donato a ciascuno di noi. Sono solo i primi attimi del film, ma sono sufficienti per scrivere un libro.
Il silenzio del Papa è il tempo della preghiera al Padre. La terra capovolta che incombe appena fuori dagli oblò della stazione spaziale è la metafora schiacciante di un peso insopportabile (la nostra umanità zoppicante) e, nello stesso tempo, è anche l’ostacolo che ci impedisce di volgere lo sguardo al cielo (l’inquadratura occupa tutto lo schermo). La preghiera e l’umanità. Il respiro del Vangelo. Questo ritmo sacro caratterizza tutto il racconto di Rosi. Il Papa parla con schiettezza, come è abituato a fare. Chiede scusa per aver detto di voler aspettare le prove della colpevolezza del vescovo Barros e chiede perdono per la strage delle ragazze native nelle scuole cattoliche del Canada. Dice anche che la globalizzazione dell’indifferenza ci impedisce di piangere per le vittime del Mediterraneo o che tutte le guerre, nessuna esclusa, hanno una sola motivazione, i soldi.
Nel film di Rosi però, alla fine, il Papa più spesso tace. Quando incontra i musulmani, gli ebrei o gli ortodossi. Quando con la papamobile attraversa città osannanti di folla commossa o strade che invece sono state desertificate dalla politica e dalla violenza. La sua mano si alza sempre a benedire: le lacrime dei molti o le assenze degli altri. Il percorso di Rosi è ispirato. È difficile realizzare un film di montaggio. Di fronte al repertorio sterminato si ha sempre l’impellenza di aggiungere, mai di togliere. Dicono dallo staff della produzione che il regista abbia fatto e disfatto mille volte.
Rosi ci prende per mano e vuole farci capire che il messaggio del cristianesimo, e quindi l’apostolato di questo Pontificato, non è nella vittoria sul mondo (che infatti è capovolto), ma è nella umiltà della Croce. Mano a mano che le immagini del pellegrinaggio del Papa si accavallano le une alle altre, insieme con i silenzi, sempre più frequenti, Rosi inserisce, verso la fine, anche alcune immagini abbastanza sorprendenti. Il Papa è fuori fuoco. Sono nitidi fin nei dettagli i volti delle persone che incontra, ma Francesco è sfumato in una macchia di colore. È perfettamente a fuoco l’ambone con la Parola, ma il corteo del Papa che si avvicina è invece confuso nella pastorizzazione dell’immagine.
All’inizio del film il Papa invita l’umanità a non smettere di credere nelle proprie capacità di fare del bene. Alla fine del film, mentre il suo volto scompare nel fuori fuoco, rimane solo la forza della preghiera di fronte alla bestialità della guerra: «Signore fermaci!». È il respiro del Vangelo. Anche Gesù rimase solo mentre le folle osannanti scomparivano come la rugiada del mattino. Anche Gesù non smise un attimo di incitarci al bene. Anche Gesù, alla fine, di fronte alla follia della violenza estrema, invita il Signore a perdonarci perché non sappiamo quello che facciamo. È il respiro della preghiera. Possiamo e dobbiamo fare il bene. Siamo incapaci di fermarci di fronte alla morte perché solo la Grazia ci può salvare.