Expo Dubai: gli ultimi giorni del “Padiglione della Fraternità”

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Dubai (Emirati Arabi Uniti)

L’ azzurro del cielo sopra il Vaticano, i vividi colori dei capolavori di Michelangelo e la cupola di san Pietro nella luce del tramonto. Con queste caratteristiche il padiglione della Santa Sede all’Esposizione universale di Dubai 2020 (spostata al 2021 causa Covid-19) non passa certo inosservato. Su sfondo azzurro, all’ingresso del padiglione, il suo tema “Deepening the connection”, “Approfondire la connessione”, in inglese e arabo, che ben si lega a quello di tutta l’Expo, “Connettere le menti, creare il futuro”. E la frase di Papa Francesco che chiude l’introduzione della sua ultima Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti, firmata il 3 ottobre 2020 ad Assisi, sulla tomba di San Francesco, sempre in arabo e inglese: “Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere un’aspirazione universale alla fraternità. Fraternità tra tutti gli uomini e le donne”.

La visita dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana

All’interno del padiglione il percorso che in pochi metri attraversa 800 anni, dall’incontro del 1219 tra San Francesco e il sultano d’Egitto Malik Al-Kāmil, nella riproduzione dell’affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi, a quello del 2019 tra Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, ad Abu Dhabi, sempre negli Emirati Arabi Uniti. Nel terzo anniversario di quell’evento, e della firma del Documento sulla Fratellanza Umana, i membri dell’Alto Comitato voluto dai due firmatari per rendere concreti i principi espressi nella loro dichiarazione comune, hanno visitato il padiglione della Santa Sede.

Trafny: qui la gioia dell’incontro tra culture

A far loro da guida tra i tesori esposti, il vicecommissario del padiglione, il polacco monsignor Tomasz Trafny, delegato del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e che ha progettato lo spazio insieme all’architetto Giuseppe Di Nicola. In questa intervista, monsignor Trafny ci racconta l’affascinante e rocambolesca storia del palinsesto (una pergamena scritta più volte), noto come “Bayt al Hikmah”, datato tra l’800 e l’830 dopo Cristo, unico testo sopravvissuto alla distruzione della Casa della Sapienza di Baghdad, cuore della cultura islamica delle origini, ad opera dei mongoli. E di come la presenza di questo reperto tanto caro all’Islam abbia favorito, in questi mesi, tanti incontri e scambi tra culture e fedi.

Ascolta l’intervista a monsignor Tomasz Trafny

Monsignor Trafny, la celebrazione del 4 febbraio della Giornata mondiale della Fratellanza Umana, è stato un po’ il clou della vostra presenza qui all’Expo 2020 di Dubai? Questo spazio è stato proprio creato per testimoniare come le culture possono vivere nello scambio…

Certamente, pensare il nostro padiglione senza un riferimento all’evento di Abu Dhabi sarebbe impossibile. Infatti uno dei temi principali è proprio testimoniare, raccontare la storia di un percorso che inizia dall’incontro tra San Francesco e il sultano d’Egitto nel 1219 e approda dopo 800 anni nell’incontro di Abu Dhabi e nella firma del Documento sulla Fratellanza universale e umana.

Uno degli elementi simbolo di questo percorso è sicuramente il palinsesto della biblioteca di Baghdad. Ci può spiegare la storia di questo oggetto e perché è così importante per i visitatori del mondo arabo?

E’ importante per i visitatori soprattutto per il fatto che, a quanto pare, è l’unico documento che può testimoniare l’esistenza della Casa della Sapienza di Baghdad, che era un grande centro culturale nell’epoca d’oro della cultura islamica. E pensiamo che è un documento che arriva a noi per una serie di circostanze molto curiose. L’autore, lo scriba che cerca di tradurre il testo greco della conoscenza astronomica, molto probabilmente non è perfettamente soddisfatto della propria traduzione e cestina questa pergamena che viene ripescata da qualcuno e venduta in un mercato. I poveri monaci, che non erano in grado di comprarne una nuova, acquistano quella pergamena già scritta, cercano di lavare l’inchiostro, per poi scrivere su di essa la storia delle comunità cristiane in Palestina, in siriaco. E così arriva alla Biblioteca Apostolica. Entrambe le storie sono interessanti, cioè il tentativo di tradurre la conoscenza astronomica dei greci, ma anche il fatto che poi, per tutta questa serie di circostanze, con la storia del Cristianesimo, questo documento approda nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Ci sono anche testimonianze dello scambio inverso, cioè di come la cultura araba ha arricchito la cultura cristiana occidentale?

Certamente! Presentiamo qui il “Liber abbaci” di Fibonacci, attraverso il quale, per la prima volta, il sistema numerico indo-arabo viene introdotto in Occidente. Noi sappiamo che grazie a questa opera progrediscono fortemente la matematica e l’astronomia e grazie alla conoscenza matematica degli arabi o, meglio, ad un sistema indo-arabo che è stato trasmesso da Fibonacci, era possibile anche riformare il calendario, come è testimoniato anche in questa sezione dello scambio culturale.

In questi mesi qui al padiglione ci sono stati degli episodi, degli incontri che testimoniano questo scambio culturale, anche di fedi, che lei vuole ricordare, che ha vissuto?

Ci sono moltissimi incontri positivi, soprattutto con visitatori arabi che vengono ad ammirare il palinsesto e scoprono per la prima volta anche questo passaggio, questa dinamica di scambi interculturali. Molti anche per la prima volta scoprono qualche cosa sulla storia di San Francesco e il suo incontro con il sultano d’Egitto. A dire il vero, questa è anche una scoperta per molti cristiani, per molti cattolici. Ci sono tante storie: una delle più commoventi, che veramente mi ha toccato, è quella che ha visto protagonista delle signore emiratine, che ho guidato nella visita. Ho spiegato tutto il percorso, a partire dall’idea dell’incontro, della Fratellanza, dello scambio culturale, per poi approdare all’idea che le religioni non devono per forza collidere, non devono per forza combattere una contro l’altra. E considerando che tutti pensiamo che siamo figli di Dio, dobbiamo utilizzare l’immagine di Dio per trovare ciò che ci unisce in maniera più profonda. Alla fine di questo percorso loro hanno detto: “Bene, qui ritorneremo con i nostri figli, perché vogliamo che anche loro sentano questo racconto, ma anche perché scoprano che possiamo insieme coesistere pacificamente in amicizia”. E questo è un percorso molto bello e anche una testimonianza poi dell’impatto che il nostro padiglione ha sulla vita, e anche sul pensiero, sulla riflessione delle persone che incontriamo, perché vengono a visitare questo padiglione.

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