Adriana Masotti – Città del Vaticano
Due giorni di intensi attacchi a fine agosto con più di 60 vittime. A fare un bilancio del massacro avvenuto nella regione di Oromia, la più grande e popolata dell’Etiopia è stata ieri la Commissione etiope per i diritti umani. Oltre alle persone uccise, ci sono stati 70 feriti, case saccheggiate e furti di bestiame. Secondo l’istituzione pubblica indipendente più di 20.000 persone sono sfollate a causa di questi attacchi che hanno preso di mira diverse località del distretto di Amuru. Gli attacchi sono stati commessi da uomini armati provenienti da località dello stesso distretto o della vicina regione di Amhara, dopo l’uccisione di tre membri di quella comunità locale ad opera dell’Esercito di liberazione di Oromo durante un’operazione nella regione.
Gli inviati Usa e Onu nel Paese
Nel tentativo di fermare gli scontri che proseguono tra le forze congiunte etiopiche ed eritree, filo-governative, e i ribelli tigrini nel nord è arrivato in Etiopia l’inviato statunitense per il Corno d’Africa, Mike Hammer, che ieri ad Addis Abeba, si è incontrato con l’inviata speciale delle Nazioni Unite, Hanna Serwaa Tetteh ma, a detta di un portavoce Onu, senza la definizione di piani per una missione congiunta. Da parte sua Getachew Reda, portavoce del Fronte popolare di liberazione del Tigray, ha assicurato la disponibilità del Fronte ad incontrare “chiunque abbia una seria intenzione di risolvere pacificamente la guerra” nella regione tigrina.
L’appello dei vescovi cattolici: si lascino le armi
I combattimenti del mese scorso hanno infranto, di fatto, la tregua di cinque mesi seguita a quasi due anni di guerra civile. Le due parti in conflitto si accusano a vicenda di aver iniziato le ultime ostilità nel Tigray. Il 2 settembre scorso erano stati i vescovi cattolici locali a lanciare un appello per la fine della guerra che coinvolge le regioni del Tigray, dell’Amhara, dell’Afar, e altre ancora. “Si abbandonino le armi, sia dia priorità al dialogo e a quelle opzioni di pace che possano mettere termine alle sofferenze dei cittadini”, avevano affermato in un comunicato. “E’ assolutamente inaccettabile – scrivono i presuli – che si entri di nuovo in guerra, che con sé porta distruzione della ricchezza e depressione economica”.
Cinque giorni di preghiera per la pace in un Paese in forte crisi
I vescovi parlano degli “innocenti che soffrono di fame, delle malattie e dei danni psicologici, degli sfollati dalle loro case, dell’intera nazione che sta lottando sotto la pressione del costo della vita”. Più volte la Chiesa cattolica etiope ha invitato le parti a lanciare un appello alla pace, laddove purtroppo la guerra è ripresa violentemente. “Molte sono state le vite perse finora e molti i beni distrutti, scrivono i vescovi, che parlano di bambini, di donne e di anziani che vivono una fortissima crisi a causa dei segni lasciati dal conflitto”. Tutti noi speriamo nei colloqui di pace, precisano i presuli, dicendosi pronti come Chiesa cattolica a collaborare anche con altre istituzioni religiose. La Chiesa è fortemente preoccupata per l’agonia delle persone, conclude il messaggio, che invita i cattolici e i cittadini tutti dell’Etiopia ad unirsi in preghiera per la pace e la stabilità nel Paese, durante i cinque giorni del cosiddetto mese di Pagumen, il 13mo mese del calendario etiopie che ha inizio l’11 settembre.