Energia ed equilibri mondiali: le scelte sul petrolio

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’Opec+ ha annunciato l‘aumento della produzione di petrolio e nelle prime ore della mattina si registra un lieve calo del prezzo del greggio. L’incremento è previsto per i mesi di luglio e agosto: salirà del 50 per cento, ovvero a 648 mila barili al giorno. Il via libera è arrivato in una riunione lampo, dopo solo 11 minuti, e con il via libera della Russia. Il Gruppo di Vienna tornerà a incontrarsi il 30 di questo mese. Si tratta di un aumento delle estrazioni superiore a quello di 432 mila barili al giorno deciso nei mesi scorsi per frenare la corsa dei prezzi. Tecnicamente, la decisione è stata quella di anticipare di due mesi l’aumento previsto per settembre e di spalmarlo in eguale misura sui mesi di luglio e agosto.

La cosiddetta conferenza Opec+

Viene definito il “Gruppo di Vienna” o “Opec+”: si tratta della conferenza dei Paesi produttori di petrolio che dal 2016 ha superato l’originale formazione Opec, includendo dieci nuovi Paesi, tra i quali Russia, Kazakhstan e Messico. I 24 Paesi, nel complesso, controllano oltre la metà della produzione mondiale di greggio e circa il 90 per cento delle riserve note.

L’Arabia Saudita presidente del cartello

Il Wall Street Journal, che ha dato la notizia circa mezz’ora prima che venisse diffuso il comunicato ufficiale, sottolinea come si tratti di un cambiamento importante per Riad, che finora aveva resistito agli appelli di Stati Uniti, Regno Unito e altri Paesi occidentali per un aumento dell’attività estrattiva a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Importanti funzionari di Washington, riferisce sempre il quotidiano finanziario, erano stati nelle scorse settimane in Arabia Saudita per favorire un accordo. C’è attesa per la visita del presidente Usa, Joe Biden, nel Paese prevista entro la fine del corrente mese nell’ambito del viaggio internazionale che porterà il capo della Casa Bianca al vertice della Nato e al G7. Nelle ultime settimane diversi funzionari dell’amministrazione di Washington sono andati in visita a Riad per aumentare la pressione su un’azione dell’Arabia sul petrolio in modo da alleggerire le pressioni al rialzo sui prezzi e cercare di mettere al sicuro la ripresa economica globale. In particolare, la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha espresso in una nota la soddisfazione dell’amministrazione Biden per la decisione, riconoscendo “il ruolo dell’Arabia Saudita come presidente di Opec+ e principale produttore nel raggiungimento di questo consenso tra i Paesi membri” e “gli sforzi e i contributi positivi di Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Iraq”. Gli Stati Uniti “continueranno a utilizzare tutti gli strumenti disponibili per fare fronte alla pressione dei prezzi dell’energia”. Anche il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, è volato in Arabia Saudita nei giorni scorsi e, nel corso dell’incontro con il suo omologo saudita, ha definito l’Opec+ “importante e rilevante”.

Squilibri e riposizionamenti dei prezzi

Il timore ora è che l’aumento non sia in grado di fare la differenza a fronte del calo della produzione della Russia, il terzo big petrolifero al mondo. Il vice primo ministro russo, Alexander Novak, ha dichiarato a Rossiya 24 che invece la produzione petrolifera russa sta aumentando ulteriormente all’inizio di giugno rispetto ai livelli di maggio e ha aggiunto che è importante per Mosca continuare a cooperare con l’Opec+”. Per ragionare di equilibri energetici, considerando l’andamento degli ultimi anni e il fattore guerra, Radio Vaticana – Vatican News ha intervistato Salvatore Capasso, direttore di ISMed-CNR l’Istituto di Studi Sul Mediterraneo del Centro Nazionale Ricerche.

Ascolta l’intervista con Salvatore Capasso

L’ipotesi dell’aumento della produzione russa – spiega Capasso –  contrasta con la realtà di un’attività estrattiva già in calo e che difficilmente salirà in luglio alla luce delle sanzioni sempre più stringenti. Ci siamo illusi – dichiara subito Capasso – che le nuove fonti energetiche, alternative alle fossili, fossero dietro l’angolo. I sistemi produttivi sono lenti ad adattarsi – sottolinea – e poi non sarebbe neanche un bene un processo troppo rapido, perché sono alti in ogni caso, peggio se in un percorso troppo accelerato, i costi per la collettività dei cambi nella produzione.  

Il fattore inflazione

Capasso è convinto che si debba chiarire un punto: abbiamo pensato che, dopo la pandemia, la stessa ripresa di alcuni Paesi avesse prodotto un’inflazione legata alla maggiore domanda di risorse e beni vari, ma – spiega – non è così. Non c’è solo questo fattore, anzi un altro aspetto è più determinante e precisamente il fatto che proprio la transizione energetica è legata alla offerta/domanda di metalli come il nichel o il cadmio che non sono facilmente reperibili. E dunque è questo il motivo dell’impennata, poi  a catena, dei prezzi. 

L’andamento del prezzo del petrolio

Sul fronte prezzo del petrolio Capasso avverte che va considerato l’andamento nel tempo: c’è stato il record al ribasso di 30 dollari a barile che ha determinato anche squilibri per alcuni Paesi produttori come il Venezuela ed è normale poi che a simili squilibri si risponda con assestamenti vari.

Il terremoto della guerra

Certamente Capasso arriva poi al capitolo guerra: per quanto riguarda la guerra in Ucraina parla ovviamente del dramma della perdita di vite umane che mai vorremmo vedere e poi analizza i timori in prospettiva futura in relazione alla questione energetica. Dopo l’invasione del 24 febbraio è cambiata – sottolinea – l’idea che avevamo di globalizzazione e di multilateralismo. E, dunque, è proprio con questo che dobbiamo fare i conti quando parliamo di energia, una questione che – chiarisce – ha a che fare ovviamente moltissimo con gli equilibri e le relazioni tra i Paesi, perché attiene alla capacità produttiva alla base dello sviluppo.

Il peso dell’energia

Tra l’altro – ricorda Capasso – maggiore sviluppo non vuol dire maggiore dipendenza da vecchie fonti energetiche, perché invece le nuove tecniche produttive sono meno dipendenti e più “alternative”. Ma tutto questo – precisa – ci dice qualcosa proprio anche della dipendenza di Paesi con più o meno risorse o con più o meno moderne capacità produttive. E quindi richiama l’attenzione sulle scelte dell’Unione Europea che – dice – giustamente punta a Paesi, come l’Italia e gli altri sul Mediterraneo, per scommettere sulle risorse dei settori eolico, solare, dell’energia del mare, ma, torna a ribadire, che si tratta di processi lunghi. L’aspetto grave è che la guerra ha alterato l’ordine mondiale, portando altra morte, rispetto ad altri conflitti più o meno regionali, e portando un terremoto nei rapporti tra Stati e potenze. In definitiva, Capasso raccomanda di proseguire sulla via, che definisce obbligata, della transizione ecologica, cercando di non accelerare troppo, ma anche evitando che si autorizzino battute di arresto.