Sedici anni di missioni in oltre 23 Paesi poveri e spesso colpiti da conflitti prolungati e sanguinosi. Interventi chirurgici mirati a ridare un sorriso e spesso una speranza di vita in particolare ai più piccoli e con un’attenzione speciale alla formazione di personale medico locale. E’ questo in sintesi l’impegno che porta avanti fin dalle sue origini Emergenza Sorrisi, associazione di medici volontari fondata e guidata dal chirurgo plastico Fabio Massimo Abenavoli
Lucas Duran – Città del Vaticano
Fin dalla sua creazione Emergenza Sorrisi ha avuto come ambizione quella di mettersi a disposizione di persone, famiglie e bambini colpiti da malformazioni facciali, ma anche da ustioni da guerra, in Paesi in cui non potevano essere trattate adeguatamente per mancanza di risorse e di preparazione professionale. Per questa ragione un primo nucleo di chirurghi plastici maxillo-facciali, di anestesisti, d’infermieri, di logisti ha iniziato ad operare, ognuno mettendo a disposizione gratuitamente il proprio tempo e la propria professionalità. Negli anni il percorso si è andato strutturando, cercando di valorizzare al meglio le eccellenze locali a livello medico, raccogliendone e indirizzandone le sollecitazioni al fine di creare in ogni Paese coinvolto una struttura corrispondente a quella delle equipe mobili dell’associazione.
“E’ il caso – afferma il dottor Fabio Massimo Abenavoli nella sua intervista ai media vaticani – di quanto avviene ad esempio in Iraq, in Burkina Faso, in Benin. Non mi stanco di pensare che riuscire ad operare in questi Paesi è difficile, ma si può fare, che riuscire a creare le condizioni adeguate per agire è difficile, ma si può fare. La sfida più complessa però è quella di riuscire a consentire ai medici locali d’imparare e di continuare a lavorare anche in nostra assenza. Mantenere costante la presenza di un presidio medico efficiente, professionale e autonomo è davvero la cosa più difficile, ma è anche quella che, a conti fatti, ci stimola e gratifica di più”.
Dottor Abenavoli, come vengono scelti i componenti di una vostra missione?
Noi riceviamo in modo costante richieste da parte di medici, infermieri e altri professionisti di partecipare alle nostre missioni. Tutte figure che si propongono con entusiasmo e competenza. Tuttavia tra l’avere entusiasmo e l’essere pronti a partire c’è una differenza ed è proprio su questo che si basa la scelta del volontario adatto alla missione. I membri dei nostri team devono possedere, oltre che una profonda abilità nella propria specialità o competenza, anche una spiccata capacità di adattamento, una predisposizione a sapersi relazionare con le persone e un solido impegno etico.
Un altro aspetto che ci caratterizza è quello di essere sempre pronti ad inserire nei nostri team figure professionali innovative e non scontate. Faccio l’esempio di quanto avvenuto in una recente missione svolta da Emergenza Sorrisi a Nassirya, in Iraq, dove siamo presenti fin dall’inizio. In quell’occasione abbiamo deciso di portare con noi anche un osteopata pediatra, una figura professionale che io stesso non avevo valutato in precedenza. Ebbene i risultati si sono rivelati estremamente positivi. Grazie alle sessioni osteopatiche svoltesi prima e dopo l’intervento dei piccoli, noi chirurghi abbiamo potuto operare con maggiore agilità e senza, ad esempio, episodi di sanguinamento.
Quanto è cambiata la situazione, grazie anche alla vostra opera di formazione dei medici e del personale locale, nei Paesi dove siete presenti da più tempo?
Questo è un elemento che ci rende orgogliosi. Torno indietro di quindici anni e di nuovo a Nassirya. E’ lì che ho incontrato il dottor Aws Adel Hussona, il primo medico iracheno ad averci seguito e ad averlo fatto, da subito, con grande entusiasmo. Per ovvie ragioni, però, mancava in lui quella competenza che solo un solido percorso di preparazione medica può far conseguire. E’ così che abbiamo deciso di farlo venire in Italia, dove ha potuto rafforzare le proprio conoscenze e lavorare con noi in ospedale. Non è un caso che il Ministero della Sanità iracheno lo abbia nominato responsabile sanitario dell’Haboddi Teaching Hospital di Nassirya, centro di riferimento per il Paese nella chirurgia legata alle malformazioni al volto.
La storia del dottor Aws è soltanto uno dei tanti esempi che potrei riportare. Da qui si evince la funzione di Emergenza Sorrisi, volta ad incrementare ancora di più l’incidenza positiva di centri come quello di Nassirya, partecipando agli interventi più complessi, supportando le equipe locali con professionalità differenti: specialisti, anestesisti, ma anche figure innovative come l’osteopata pediatrico, creando così le condizioni di ulteriore sviluppo.
In tale sforzo di formazione e sviluppo, non manca l’apporto dato da un buon uso delle nuove tecnologie
In effetti questo è un altro dei punti per noi strategici. Anche in questo caso cerco di farmi comprendere con un esempio concreto: abbiamo messo a punto un piccolo casco che consente di osservare l’atto chirurgico in tempo reale. Così facendo il chirurgo che opera in Italia può essere visto in azione dai colleghi dei paesi in cui siamo presenti. Lo stesso possiamo fare noi da qui, osservando come operano i nostri colleghi nei loro paesi. Di recente abbiamo organizzato un importante congresso al Policlinico Agostino Gemelli, struttura di eccellenza assoluta, con il quale abbiamo stabilito una proficua collaborazione tesa proprio a sviluppare ulteriormente modalità di operazioni di questo tipo. Durante i lavori si sono così svolti interventi chirurgici a distanza, tutti andati a buon fine. L’intenzione, in futuro, è quella di rafforzare ancora di più la tecnologia di monitorizzazione all’interno della nostra azione.
Quanto contribuisce il vostro lavoro, attraverso il contatto con le popolazioni, a creare legami di solidarietà e di pace aldilà delle differenze culturali e religiose?
Direi che questo fa parte di quello che viene definito ‘sistema Italia’. Il nostro Paese e i suoi rappresentanti – in questo caso noi medici e il personale sanitario – riescono a entrare nel cuore della gente anche in Paesi considerati distanti dalle nostre consuetudini e a creare un clima di vera fratellanza. Un lavoro utile anche per le attività delle rappresentanze d’Italia. I nostri ambasciatori sono sempre molto orgogliosi del nostro intervento.
Cosa porta con sé nel proprio bagaglio il dottor Abenavoli al rientro di ogni missione?
Devo dire che, sempre di più, quando ritorno provo la sensazione di non essere riuscito a completare quello che considero il mio impegno principale: vedere che non siamo riusciti ad operare tutti, vedere che restano tante necessità non soddisfatte, vedere che si può fare di più è una specie di scossa elettrica. Una scarica che però diventa subito dopo anche quell’elemento che mi fa andare avanti con maggiore convinzione e che dà a tutti i nostri volontari lo stimolo per non mollare e per dare sempre di più.