Due apostoli e martiri complementari: Pietro e Paolo nel magistero dei Papi

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Laura De Luca – Città del Vaticano

In tempi di disorientamento, smarrimento, paure, in cui riaffiorano perfino venti di millenarismo, e in cui le seduzioni di nichilismo e materialismo non smettono di circondarci, tornare alla memoria storica delle radici della Chiesa ci restituisce il senso potente della cattolicità, della missione apostolica affidata da Gesù a Pietro e ai suoi successori.

L’occasione è la festa che celebriamo oggi…

In tutti i punti della terra i santi patroni delle varie Chiese raccolgono venerazione nella ricorrenza festiva di ciascuno.  San Pietro e San Paolo sono venerati dappertutto nel mondo per la più alta dignità del loro compito quale si è manifestato nel disegno di Cristo. Di fatto, San Leone Magno — le cui spoglie mortali riposano qui, presso la Confessione, come a corona insieme coi Papi più insigni dell’antichità — San Leone Magno dice che i due Apostoli Pietro e Paolo, araldi precipui del Vangelo, sono giustamente oggetto di culto straordinario in quest’Urbe gloriosa, centro della cristianità, per aver consumato qui il loro sacrificio, e segnato per ciò da Roma l’inizio della loro universale esaltazione.

Ascolta la voce di Giovanni XXIII

E infatti Pietro e Paolo sono i patroni della città di Roma. Così Giovanni XXIII il 29 giugno del 1961. Vent’anni prima, solo vent’anni prima si era in piena guerra. Davanti al pontefice, Pio XII, si apriva il panorama dolente di un’umanità prostrata da privazioni, sofferenze, paura, morte, fame distruzioni… Era sempre il 29 giugno. Anno 1941.

A Cristo crocifisso sul Golgota virtù e sapienza che converte a sè l’universo, guardarono, nelle immense tribolazioni della diffusione del Vangelo, vivendo confitti alla croce Con cristo i due principi degli apostoli, morendo Pietro crocifisso e Paolo curvando il capo sotto il ferro del carnefice, quali campioni, maestri e testimoni, che nella croce è conforto e salvezza, e che nell’amore di Cristo non si vive senza dolore

Ascolta la voce di Pio XII

Inevitabile la coscienza del dolore se si è sulla sequela di Cristo: la memoria della croce. Questo promemoria spetta ai principi degli apostoli, così complementari nella loro missione e perfino nel loro martirio. In questa stessa consapevolezza deve radicarsi la fede quotidiana di noi cristiani. Paolo VI, 29 giugno 1969.

….dobbiamo domandare a Pietro la fede, quella che da lui e dagli Apostoli ci deriva, quella che lo scorso anno abbiamo, in questa stessa ricorrenza, apertamente professata, quella di tutta la Chiesa. Sì, la fede: che saremmo noi, cattolici di Roma, senza la fede, la vera fede? Ma a noi è richiesto qualche cosa di più, se vogliamo essere i più vicini e i più esemplari cultori di San Pietro; è richiesta la fedeltà. La fede è di tutto il Popolo di Dio; ed anche la fedeltà; ma tocca principalmente a noi dare prova di fedeltà. (…) Cioè non potremmo dirci discepoli e seguaci e eredi e successori di San Pietro, se la nostra adesione al messaggio salvifico della rivelazione cristiana non avesse quella fermezza interiore, quella coerenza esteriore, che ne fa un vero e pratico principio di vita (…)  E noi vorremmo che questa fedeltà fosse da noi considerata non soltanto nella sua immobile adesione alla verità, da noi ricevuta da Cristo ed evoluta e fissata nel magistero della Chiesa, convalidato da Pietro, ma nella sua intrinseca capacità diffusiva ed apostolica; una fedeltà cioè non così statica ed immobile nel suo linguaggio storico e sociale da precludere la comunicazione agli altri, e agli altri l’accessibilità; ma una fedeltà che trovi nella genuinità del contenuto sia la sua intima spinta evangelizzatrice (cfr. 1 Cor. 9, 16: «Guai a me, scrive San Paolo, se non predicassi il Vangelo»), sia la sua autorità per essere dagli altri accettata (cfr. Gal. 1, 8: «Anche se noi stessi – scrive ancora S. Paolo – o un angelo del cielo venisse ad annunziarvi un altro vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia egli anatema»), e sia il carisma dello Spirito Santo che accompagna la voce del Vangelo (cfr. Io. 15, 20).

Ascolta la voce di Paolo VI

Una fede e una fedeltà dinamiche, dunque immerse in un mondo in frenetica trasformazione. Paolo VI ha davanti a sé il dramma della sperequazione mondiale, il fermento di una generazione inquieta in cerca di una consapevolezza nuova sul proprio destino…  Al Grande Giubileo del 2000 Giovanni Paolo II fa riecheggiare quella semplice domanda, quella elementare e solenne consapevolezza di cui il povero pescatore e l’antico persecutore dei cristiani furono capaci in forza dello Spirito Santo…

“Tu sei il Cristo!”. Alla confessione di Pietro Gesù replica: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). Beato te, Pietro! Beato, perché questa verità, che è centrale nella fede della Chiesa, non poteva emergere nella tua consapevolezza di uomo, se non per opera di Dio. “Nessuno – ha detto Gesù – conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27). (…) Saulo perseguitava i seguaci di Gesù e Gesù gli faceva sapere che era Lui stesso ad essere perseguitato in loro. Lui, Gesù di Nazareth, il Crocifisso, che i cristiani affermavano essere risorto. Se, ora, Saulo ne sperimentava la potente presenza, era chiaro che Dio l’aveva realmente risuscitato dai morti. Era proprio Lui il Messia atteso da Israele, era Lui il Cristo vivo e presente nella Chiesa e nel mondo! Avrebbe potuto Saulo con la sola sua ragione comprendere tutto ciò che un simile evento comportava? Certamente no! Era parte infatti dei disegni misteriosi di Dio. Sarà il Padre a dare a Paolo la grazia di conoscere il mistero della redenzione, operata in Cristo. Sarà Dio a permettergli di capire la stupenda realtà della Chiesa, che vive per Cristo, con Cristo e in Cristo. Ed egli, diventato partecipe di questa verità, non cesserà di proclamarla instancabilmente fino agli estremi confini della terra.

Ascolta la voce di Giovanni Paolo II

Fino agli estremi confini della terra a partire da Roma. Di qui la dimensione universale della città eterna. Di qui la sua eternità. Lo ricorda Benedetto XVI, da pochi mesi papa, il 29 giugno 2005.

Come Paolo, così anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: “Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli” (Sal 21,28). Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo così la promessa con la quale il salmo si concludeva.

Ascolta la voce di Benedetto XVI

Ascolta la puntata integrale de Le voci dei papi dedicata ai Santi Pietro e Paolo in onda domenica 27 giugno 2021

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